Ad inaugurare la XXX edizione del ROF (Rossini Opera Festival) è Zelmira,
ultimo lavoro scritto dal compositore pesarese nel suo periodo napoletano.
L'opera si inserisce perfettamente nell'ottica di un festival, anche se
difficilmente riuscirebbe ad entrare nel repertorio stabile dei teatri lirici.
Rossini era certamente uno sperimentatore e in Zelmira si possono
ascoltare numerose pagine che presagiscono alcuni capolavori dei suoi
successori, ma risulta essere di non facile ascolto, soprattutto a causa di un
libretto molto debole, di una trama contorta e situazioni sceniche abbastanza
incongruenti.
Nella serata di martedì 18 agosto Kate Aldrich, alle prese con il
difficile ruolo della protagonista, mostra chiare ed intense capacità di
interprete rossiniana ed evidente è la sua preparazione sui repertori del
barocco e del belcanto, forse talvolta messa in difficoltà nei passaggi più
acuti, ma indiscutibilmente celate da una buona e naturale linea di canto. La
tecnica importante, che qui si denota soprattutto nelle parti più
virtuosistiche, è accompagnata da un timbro morbido e una voce sinuosa, che
contribuiscono all'alto livello della professionalità del mezzosoprano
americano.
Lo stesso vale per Gregory Kunde nei panni di Antenore, che pur
non avendo una voce perfettamente pulita, interpreta molto bene la parte
tenorile ardua e ricca di insidie. Dotato di un forte spessore, un buono squillo
e un bel vibrato, il cantante statunitense mostra la sicurezza, la tecnica e
l'esperienza che derivano da oltre trenta anni di carriera e contribuisce in
prima persona alla buona resa dello spettacolo. L'aria “Mentre qual fera
ingorda” è accolta con lunghi e scroscianti applausi.
Emma, confidente di Zelmira, è Marianna Pizzolato. Con
la sua bella voce scura, il giovane mezzosoprano palermitano interpreta con
rigore il ruolo di contralto, esibendo la disciplina e la scrupolosità della sua
formazione musicale. Leucippo, complice di Antenore, interpretato
da Mirco Palazzi, non è certamente un ruolo comprimario, seppur privo di
grandi pagine solistiche e il basso riminese sa donare il giusto spessore alla
parte.
Juan Diego Florez è Ilo, sposo di Zelmira. L'artista
peruviano è indiscutibilmente un interprete rossiniano di primaria eccezione e
lo dimostra con una linea di canto sempre pulita, vibrato naturale e mai
eccessivo, acuti e sovracuti molto ben appoggiati, mirabili mezzevoci, tecnica
vocale ineccepibile, ma questo ruolo non gli rende giustizia e soprattutto la
sua voce così leggera e soave non si amalgama perfettamente con quella dei
colleghi, certamente più intensi. Ad ogni modo al termine della sua cavatina “Terra
amica” il pubblico manifesta apertamente e lungamente la sua approvazione.
Alex Esposito è Polidoro ed incarna con trasporto il padre di
Zelmira e la cavatina “Ah, già trascorso il dì” è un chiaro
esempio di tecnica vocale e una toccante lezione di arte scenica. Non sorprende
che l'eccellente basso bergamasco sia diventato in pochi anni interprete di
riferimento per alcuni ruoli mozartiani e rossiniani.
Completano il cast Francisco Brito e Savio Sperandio.
Roberto Abbado, sul podio dell'Orchestra del Teatro Comunale di
Bologna, dona il giusto vigore all'opera di Rossini e buona è la prova del
Coro diretto da Paolo Vero, mentre il nuovo allestimento di Giorgio
Barberio Corsetti, che ne firma anche la scenografia accanto a
Cristian Taraborrelli e costumi dello stesso Taraborrelli e di
Angela Buscemi, è un eccezionale esempio di sperpero di denaro.
È impossibile comprendere il filo conduttore di una regia verosimilmente
improntata sulla messa in mostra dei danni provocati dalle guerre e dalle
invasioni, senza però comprenderne la ragione. All'inizio dell'opera alcune
statue cadute e parzialmente coperte di sabbia riempiono la scena cupa e scura e
potrebbero rappresentare le rovine di Lesbo, per poi però essere
incomprensibilmente sollevate verso l'alto da tiranti d'acciaio. Le sale
sotterranee del tempio sono trasformate in specie di fosse, o trincee, visibili
da un enorme e rumoroso specchio inclinato sul palcoscenico, dove mimi e
figuranti sporchi di sangue e di acqua fangosa, giacciono e si lamentano
coricati al suolo.
Le sole scene un po' vivaci sono quelle ambientate nella sala magnifica della
reggia di Lesbo, dove però si mescolano senza motivo apparente i protagonisti e
le guardie reali in vesti militari contemporanee con i sacerdoti in abiti
d'epoca. Visti i problemi economici in cui versano i teatri ed i festival
italiani, forse sarebbe stato meglio riutilizzare l'allestimento del 1995.
Infine è doveroso segnalare che il nuovo teatro predisposto all'interno dell'Adriatic
Arena ha causato non pochi problemi di visibilità a tutto il pubblico pagante
accomodato nei posti del settore B, a causa della mancanza di inclinazione del
parterre e del palcoscenico troppo basso, così poco elevato da vedersi di fronte
alla scena il direttore d'orchestra, l'arpa, i contrabbassi e gli archetti dei
legni, oltre ovviamente alla copertura causata dagli spettatori collocati nelle
file davanti.