La regia dell'artista torinese è molto divertente, ma rischia di eccedere in un
pout-pourri di effetti e allusioni da varietà. L'antefatto dell'abbandono di
Marie è narrato da alcune azioni mute sulle note dell'ouverture, ma
la fine del racconto è purtroppo sciupata da una serie di petardi scoppiettanti.
I soldati del reggimento ricordano un gruppo di simpatici burattini,
Sulpice è ferito e dotato di un divertente braccio meccanico, mentre
Marie assomiglia alla Lady Oscar disegnata da Riyoko Ikeda. Inoltre
durante i recitativi si odono alcuni riferimenti a Frankenstein Junior, Fantozzi
e Gialappa's Band. La scenografia è funzionale, ma non sempre interamente
visibile dalla platea, mentre i costumi sono giustamente in linea con la
caricatura dei personaggi.
Silvia Dalla Benetta è una Marie strepitosa, e la sua
tecnica importante le permette di affrontare il faticoso ruolo con facilità, sia
nelle parti più liriche sia nei tratti ricchi di colorature. Il recente
cambiamento di repertorio che sta affrontando il soprano vicentino, che l'ha
portata a debuttare ruoli più drammatici come le verdiane Gulnara e Odabella e a
riprendere Violetta, le sta conferendo un colore più scuro e una maggiore
dimestichezza nel registro grave, senza intaccare la sicurezza nei sovracuti e
la delicatezza nei piani e nei filati. Il pubblico la accoglie calorosamente fin
dalla sortita “Au bruit de la guerre” e dall'inno “Chacun le sait,
chacun le dit”, riccamente contornati di agilità molto ben eseguite e note
sovracute saldamente appoggiate, e la applaude lungamente sia alla conclusione
de “Il faut partir”, dove si mostra più lirica e raffinata, sia in
secondo atto con “Par le rang et par l'opulence” e “Salut à la France”.
Oltre alle doti vocali Silvia Dalla Benetta si distingue anche per le sue
spiccate qualità interpretative, che in questo allestimento la portano ad essere
un vero e proprio maschiaccio, e presenta un personaggio molto credibile. La
fatica fisica che deve sostenere per cantare, correre e saltellare sul
palcoscenico per tutta la durata dell'opera è certamente apprezzabile.
Gianluca Terranova è un Tonio vocalmente più scuro di
quanto non siano i tenori solitamente impegnati in questo ruolo, ma ciò non gli
impedisce di eseguire correttamente la cabaletta “Pour mon âme”, attesa
da tutti gli spettatori. Le tecniche di appoggio e di emissione non sono delle
migliori, ma l'artista possiede certamente tutte le qualità necessarie per poter
diventare un grande interprete del repertorio lirico.
Dionisia Di Vico veste i panni di una divertente Marchesa,
subito ben accolta dopo l'aria “Pour une femme de mon nom”, dove mostra
la corposità della sua voce mezzosopranile, mentre Sulpice è
interpretato da Giovanni Guagliardo. Completano il cast Manrico
Signorini, Gianluca Bocchino, Giuliano Pelizon e gli attori Ariella
Reggio e Massimiliano Borghesi nei ruoli degli spassosi
Duchessa di Krakentorp e del figlio.
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Il coro del Teatro Lirico Giuseppe Verdi è diretto da Lorenzo
Fratini, mentre la guida dell'Orchestra è affidata a Gérard
Korsten, che purtroppo risulta essere privo della verve donizettiana fin
dalla sinfonia e per tutta la durata dell'opera, tanto che in alcuni punti gli
interpreti sembrano dettare il tempo con i loro gesti in palcoscenico.
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