Fiorenza Cedolins, al suo debutto nel ruolo della regina Maria di
Scozia, riesce abilmente a mostrare tutte le qualità della sua voce, con
un bel colore e timbro tipici del soprano lirico pieno, ma soprattutto sfoggia
una tecnica importante che le permette di affrontare le difficili agilità del
ruolo, tra l'altro abbellite da alcune variazioni, gli ardui passaggi di
registro, soprattutto tra la zona centrale e quella grave, i pianissimi dedicati
ai passaggi più patetici, alcune tinte drammatiche nel concertato finale della
seconda parte e nella breve scena con Cecil. Durante la lunga
conclusione dell'opera la signora Cedolins non esita a risparmiarsi ed è
ampiamente applaudita al termine di “Quando di luce rosea” oltre che
raggiunta da numerose richieste di bis dopo la commovente preghiera “Deh! Tu
di un'umile”, dove è efficientemente accompagnata dal Coro del Teatro
La Fenice, guidato da Claudio Marino Moretti, e da Pervin
Chakar nel ruolo di Anna Kennedy.
Sonia Ganassi e José Bros si confermano altissimi interpreti del
belcanto. Il mezzosoprano emiliano, esperta del ruolo di Elisabetta,
si trova perfettamente a suo agio nelle insidie della parte, soprattutto nei
passaggi più acuti e nelle agilità, dove dimostra chiaramente la sua
inclinazione a rischio di risultare leggermente debole nelle zone più gravi. La
cavatina che apre il melodramma “Ah! Quando all'ara scorgermi” è resa
mirabilmente, ma le emozioni più intense vengono regalate al pubblico durante
l'ultima apparizione del personaggio in “Quella vita a me funesta”. Il
tenore spagnolo è preciso e musicale e sa mostrare le sue qualità vocali, senza
mai cercare di sovrastare i personaggi femminili, proprio come il compositore
bergamasco aveva indicato.
I protagonisti, guidati dall'abile bacchetta di Fabrizio Maria Carminati
sul podio dell'Orchestra del Teatro La Fenice, sono validamente
affiancati da Mirco Palazzi nel ruolo di Talbot, basso
riminese che qui avvalora le sue qualità di belcantista, e da Marco Caria,
giovane baritono nei panni di Cecil.
L'allestimento è interamente firmato da Denis Krief, che si conferma un
vero maestro di gestualità, suggestione, movimenti scenici, impianti
drammaturgici e disegno luci. Ciononostante il regista franco-italiano non è
avulso da uno stile che sembra più una copia di se stesso che una tendenza
artistica. In effetti tanto i costumi quanto la scenografia claustrofobica
ricordano diverse sue messe in scena di altri titoli e la mancanza assoluta di
chiari riferimenti epocali in un dramma a fortissima caratterizzazione storica è
certamente discutibile.
La scelta di ambientare Maria Stuarda all'interno di un labirinto può essere
geniale, se si considerano gli intrichi personali e politici di cui sono
entrambe vittime le due protagoniste, ma oltre due ore di musica collocate in un
dedalo risultano essere alquanto noiose, mentre i costumi delle regine sembrano
più simili agli abiti del pubblico seduto in sala che rievocanti il rinascimento
inglese. La coproduzione con il Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, il San
Carlo di Napoli e il Massimo di Palermo è un buon indice di collaborazione tra
le Fondazioni del paese, ma in molti si domandano se sia necessario spendere del
denaro in altri nuovi allestimenti, quando la situazione economica nazionale
rischia di costringere i teatri a diminuire il numero delle rappresentazioni.
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