» Recensione opera Manon Ldi Puccini al Festival Puccini di Torre del LagoSilvia Cosentino, 23/08/2009 | In breve: 13/08/2009 - Il 55esimo Festival Puccini di Torre del Lago ha
proposto la terza e ultima replica di Manon Lescaut, per la regia
di Paul-Emile Fourny; il nuovo allestimento è realizzato in coproduzione
con l'Opéra di Nizza, consolidando così il sodalizio tra i due teatri
iniziato già due anni fa con La Rondine. | |
| (Clicca sulle immagini per allargarle - Foto tratte dal sito del Festival Puccini di Torre del Lago)
Giovedì 13 agosto il 55esimo Festival Puccini di Torre del Lago ha
proposto la terza e ultima replica di Manon Lescaut, per la regia
di Paul-Emile Fourny; il nuovo allestimento è realizzato in coproduzione
con l'Opéra di Nizza, consolidando così il sodalizio tra i due teatri
iniziato già due anni fa con La Rondine.
Poppi Ranchetti concepisce una struttura a gradoni sormontati da rovine
di serliane e colonne tuscaniche, enigmatica ricostruzione del Ninfeo Bramante a
Genazzano, tuttora d'incerta e non documentata datazione: vivace o lugubre sotto
le luci di Jean Paul Caradori, tale desolazione richiama la
corruzione che porta Manon, e con lei Des Grieux, alla tragedia
finale. Pannelli dai colori intensi, d'impatto cromatico fin troppo violento
rispetto al resto della scenografia, raffigurano sezioni decorative di giardino
per poi diventare prigione e ridursi in frammenti man mano che la vicenda
procede. Pochi altri elementi si inseriscono in questo contesto: tavoli e sedie
dell'osteria nel primo atto, un'ampia testiera di letto e ricche coltri nel
secondo; qui grande importanza è riservata alla simbologia di specchi e ai
gioielli, espressione di quella vanità e sete di ricchezza da cui Manon è
incapace di separarsi.
Mimi e ballerini si muovono sulla scena, dando corpo a sentimenti e pulsioni:
l'irrefrenabile voluttà dei due amanti, la cupidigia, la disfatta conclusiva,
quest'ultima efficacemente suggerita dal curvo e ipnotico incedere tra le rovine
di figure femminili vestite di rosso. Elegante il Minuetto nel secondo
atto, con maschere e abiti dall'ambiguo richiamo arlecchinesco, mentre risulta
superfluo il passo a due inserito nel celebre Intermezzo. Giovanna Fiorentini
realizza costumi aderenti al periodo storico in cui la vicenda si
svolge: blu per studenti e borghesi, giallo per le ragazze, una ricca veste
color panna con motivi dorati per Manon (in tono con la coperta
dell'alcova), sostituita da una tunica informe nel quarto atto.
Si rilevano carenze registiche per quanto riguarda i movimenti degli interpreti
principali: si respira una scarsa consapevolezza dello spazio, oltre a un certo
impaccio nell'accompagnare il canto con il gesto. Le performance non risultano
particolarmente entusiasmanti: corrette ma anonime quelle di Giovanni
Guagliardo (Lescaut) e Alessandro Guerzoni (Geronte);
incerta nell'intonazione e negli acuti, spinti troppo sulla gola, quella di
Marcello Giordani (Des Grieux). Riflessione a parte merita Martina
Serafin, splendida interprete di Manon, energica e sicura
nell'emissione vocale, ammaliante nel timbro caldo e pieno; convincente il
percorso del personaggio, tanto nei momenti sfrontati quanto in quelli
drammatici, con toccanti climax nella romanza In quelle trine morbide e
nell'aria Sola... Perduta... Abbandonata.
Al di là dei noti problemi acustici, risulta equilibrata e precisa l'esecuzione
dell'Orchestra e del Coro del Festival Puccini, diretti rispettivamente
da Alberto Veronesi e Francesca Tosi. Colpisce la scelta di inserire il
Preludio al secondo atto, un intermezzo sinfonico composto da
Puccini probabilmente nel 1891 e poi eliminato del corso della complessa
genesi: dato che l'opera venne inizialmente concepita in cinque parti, con un
secondo quadro sul nido d'amore di Manon e Lescaut, questa pagina
musicale avrebbe quindi dovuto essere d'introduzione al terzo atto, di passaggio
verso la prigione dorata di Geronte. Scelta apprezzabile, ma che comunque
non va ad aggiungere nulla alla coerenza dell'opera, essendo i temi musicali del
preludio comunque presenti nella prima parte del secondo atto, in cui la
protagonista ricorda il tempo trascorso con l'amato.
Si rientra a casa non particolarmente incuriositi o colpiti, con la sensazione
che le scelte registiche non siano state in grado di tenere testa alla
travolgente carica passionale presente nella partitura che consacrò Puccini a un
successo destinato a divenire internazionale.
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