Venerdì 21 novembre il Teatro del Giglio di Lucca ha proposto
Manon Lescaut
per la regia di
Lutz Hochstraate: dopo
Le Villi e
La Rondine,
si tratta del terzo appuntamento lirico di questo 2008 di celebrazioni
pucciniane, che si concluderanno con il galà
Buon compleanno, Maestro!
il 22 dicembre.
Questo nuovo allestimento del primo, decisivo successo del Maestro è giocato
su uno slittamento temporale nell'ambientazione, espresso da scene e costumi
di
Carlo Tommasi: non la seconda metà del XVIII secolo, come indicato
nel libretto, bensì la fine del XIX.
Il primo atto si svolge, infatti, nei pressi di una stazione ferroviaria: al
centro del palco, la fiancata di un vagone e una volta a vetri tipica
dell'epoca. Ai lati, le porte della locanda, dai muri color crema, a sinistra,
un'elegante colonnina con quattro quadranti di orologio e quattro sedute,
spazio riservato ai momenti più intimisti e all'incontro fra Manon e Des
Grieux; a destra, un luogo di chiassoso ritrovo con tavolini e sedie,
prevalentemente occupato dagli armonici e gioiosi movimenti scenici del
Coro per la Lirica Toscana.
In tale contesto si inserisce la voce calda e la vivace interpretazione del
baritono Francesco Marsiglia (già apprezzato Prunier in La
Rondine), nei panni di Edmondo, l'amico che con affetto si adopera alla
fuga dei due innamorati. Fin da subito si è colpiti dalla voce sicura del
soprano Paoletta Marrocu, disinvolta nel ruolo della volubile Manon
(giunta ad Amiens in treno e non in diligenza, secondo la lettura di
Hochstraate), in quel "bizzarro contrasto di amor, di civetteria, di
venalità, di seduzione", citato nell'introduzione al libretto. Al suo
fianco, il baritono Davide Damiani rende con efficacia l'opportunismo e
la malizia di Lescaut così come il basso Stefano Rinaldi Miliani, dal
potente timbro, fa di Geronte una figura comica e maldestra. Non convince la
performance del tenore Kamen Chanev: sebbene offra un'esecuzione canora
complessivamente corretta, rivela un certo impaccio nei movimenti e una
lontananza dalla bruciante passione che dovrebbe animare il personaggio,
difetti riscontrabili già nella romanza Donna non vidi mai, troppo
tiepida nella rappresentazione dello smarrimento d'amore.
Nel secondo atto, la base scenografica precedente accoglie la camera di Manon
con un'ampia porta al centro, un elegante letto con coltri viola sulla
sinistra e una porta a vetri sulla destra; pesanti tappezzerie di velluto
bordeaux adornano le pareti mentre stoffe turchine, lo stesso colore della
ricca veste di Manon, rivestono divano e poltrone. Da notare come il trucco,
la pettinatura della ragazza (parrucca e neo settecenteschi), il madrigale e
il minuetto spezzino inevitabilmente la continuità con il periodo suggerito
nella prima parte.
Nel terzo atto, la parte centrale della scena è occupata dalla fiancata della
nave diretta in Louisiana; ai lati, sbarre di prigione da cui, a sinistra,
escono le deportate e, a destra, i curiosi osservano ciò che accade. Tutto è
immerso in una luce viola, a suggerire una cupa atmosfera notturna. Qui si
rivela migliore l'interpretazione di Chanev, convincente nel dare espressione
all'angosciosa supplica di Des Grieux (con la romanza Pazzo son!) al
comandante di Marina, il basso Leonardo Nibbi.
La concezione dello spazio scenico cambia totalmente nel quarto atto: una
spessa cornice bianca posta sul proscenio inquadra la landa desolata di New
Orleans e il cielo infuocato (tipico delle prime locandine realizzate nel
1893); Manon e Des Grieux si muovono su un piano inclinato verso la platea,
come imprigionati in una stampa giapponese. Il vuoto che il circonda
contribuisce ad esasperare la drammaticità dei gesti, conferendo un
inappropriato senso di ridicolo alla scena; al di là della pertinenza delle
suggestioni, la resa simbolica di questa ultima parte mal si accorda con il
realismo dei tre atti precedenti.
La trasposizione temporale operata da Hochstraate non manca di suscitare
perplessità: se è vero che la musica di Puccini riesce a rendere universali e
moderne le passioni rappresentate (a tal proposito, si ricorda l'osservazione
del Maestro a Marco Praga, in riferimento al confronto con la Manon di
Massenet: "Lui la sentirà alla francese, con la cipria e i minuetti. Io la
sentirò all'italiana, con passione disperata"), è innegabile come certe
vicende narrate siano necessariamente figlie del contesto in cui si
sviluppano. Fenomeni quali l'imposizione della vita monastica e la
deportazione delle prostitute sono infatti difficilmente allontanabili dal
loro periodo storico, senza considerare i già citati aspetti musicali
(madrigale e minuetto) che concorrono a inquadrare con precisione gli eventi
narrati.
Buona l'esecuzione dell'Orchestra per la Lirica Toscana: da
sottolineare la sensibilità con cui il Elio Boncompagni dirige lo
splendido intermezzo che precede il terzo atto. Pulito in vocalità e
interpretazione, il coro (Maestro Marco Bargagna) esprime con vivacità
l'allegra confusione nel primo atto: studenti, borghesi e popolani
s'intrattengono all'osteria, esaltando i piaceri dell'amore e del
corteggiamento. Nella terza parte viene data voce alla folla, invasa da
morbosa ansia di assistere allo "spettacolo" della deportazione: accalcati
contro le sbarre in convulso movimento, gli astanti scandiscono con facili
commenti lo straziante appello delle cortigiane destinate a partire.
A sipario ancora chiuso, orchestra e coro rivolgono un appello di carattere
sindacale, attirando l'attenzione del pubblico sull'inadeguatezza della
retribuzione percepita e soprattutto sul concreto rischio di una più o meno
prossima conclusione dell'attività. Come portavoce dell'Orchestra e Coro
per la Lirica Toscana, uno dei cantanti denuncia, infatti, la mancanza di
fondi adeguati e lo scarso investimento sugli spettacoli di volta in volta
allestiti. Il pubblico accoglie l'annuncio con un convinto applauso, con un
calore non di certo riservato all'esito dello spettacolo: l'uscita degli
artisti per i ringraziamenti è infatti accompagnata da un tiepido battere di
mani e da fischi, alcuni dei quali provenienti dagli stessi orchestrali nei
riguardi di Boncompagni, con il quale si sono creati momenti di tensione nei
giorni precedenti.
La città si aspettava qualcosa in più da questo importante, nonché costoso,
appuntamento pucciniano: circa 640.000 euro per un allestimento di cui è facile
dimenticarsi e che al momento non prevede altre repliche oltre alle tre serate
lucchesi. Il modesto ciclo di rappresentazioni operistiche proposto dal Teatro
del Giglio per questo 150esimo avrebbe richiesto di certo un epilogo meno
traballante.