Il soggetto è imitato dal Filtro di Scribe. Gli è
uno scherzo; e come tale è presentato ai cortesi Lettori": inserita da Felice
Romani nel libretto di L'elisir d'amore, la simpatica nota segnala la
fonte e fornisce l'immediata chiave di lettura per lo squisito capolavoro di
Gaetano Donizetti. Il fortunato allestimento del Teatro dell'Opera di
Roma, presentato al Maggio Musicale Fiorentino tra il 16 e il 23
dicembre, ne propone un'interessante e godibile versione con due differenti cast
(qui rendiamo conto del secondo), tesa a sottolineare i caratteri tipici del
genere "opera comica", in pressoché totale aderenza con la premessa citata.
Accogliendo in pieno ciò che testo e musica vogliono
suggerire, il regista Fabio Sparvoli concepisce lo svilupparsi degli
eventi attraverso molteplici livelli teatrali, in cui i personaggi si muovono
come residui di commedia dell'arte. L'ampio palco del Comunale
costituisce solo uno dei piani narrativi: la fattoria di Adina (scene firmate da
Mauro Carosi), con il grande granaio sviluppato su alti pilastri, gradoni
e solai, è luogo di fervente attività nel primo atto e di festeggiamenti
campestri nel secondo; dominano i toni di giallo e arancione, così come per gli
abiti e gli ampi copricapo realizzati da Odette Nicoletti.
In questo principale luogo di finzione, si inserisce il
colorato carretto di Dulcamara, trainato da una motoretta: pista da circo,
luminosa ribalta su cui il ciarlatano inganna il pubblico. Allo stesso modo,
l'improvvisato teatrino di marionette costituisce un ulteriore spazio di
narrazione: con tanto di stoffa decorata a creare separazione dal reale
(ammesso che tale sia), barba finta e guance rosse, l'imbonitore coinvolge Adina
nella messinscena della Barcarola, astuto escamotage per
sorprendere gli astanti.
L'elisir non è solo stilizzato melodramma gioioso:
a fianco di stilemi comici si sviluppa, infatti, un'inquietudine, uno spessore
emotivo che va al di là del semplice romanticismo di maniera. Nello
spettacolo, tale complessità è risolta visivamente attraverso le luci (di
Vinicio Cheli): brillante giallo nei momenti corali e più comici, lunare
azzurro in quelli intimi, riflessivi, in cui i protagonisti, in particolare
Nemorino, sembrano abbandonare i fili da burattino per divenire più reali.
Come fuggiti da un teatrino di marionette, i personaggi
principali si muovono con ampi gesti, amplificando emozioni e reazioni con una
mimica facciale accentuata: ciò è particolarmente evidente in Adina, Belcore e
Dulcamara, che maggiormente risentono di quel retaggio dalla commedia
dell'arte; più naturale risulta essere Nemorino, che, in duetti e
terzetti, s'inserisce nello scherzo, contrapponendo la sua umanità.
Particolarmente gradevole e divertente è il timbro
cristallino del soprano Rosanna Savoia, nei panni di Adina: nel
suo muoversi da bambola, accentuato anche dai colorati abiti con ampie gonne che
lasciano scoperte le caviglie, esprime una volubilità che, se all'inizio appare
stereotipata, diviene sempre più credibile (distintiva dell'animo femminile) con
il procedere della vicenda. Accorto l'uso della voce, limpido negli insidiosi
passaggi dalle note quasi sussurrate, giocate, a quelle più vigorose negli
acuti.
Quella del baritono Vincenzo Taormina, il sergente
Belcore, risulta essere l'interpretazione più vicina a personaggi estremamente
caratterizzati: altissimo e fiero nella sua uniforme colorata, dall'incedere
ingessato e dal canto volutamente innaturale, quasi privo di anima, richiama
alla mente uno dei gendarmi di Pinocchio.
Il basso comico Paolo Bordogna si trova a proprio
agio nel ruolo del dottor Dulcamara, in impeccabile quanto stravagante tenuta:
un po' capocomico, un po' domatore di leoni, porta impomatati baffetti
all'insù, frac con pantaloni a colorate strisce verticali, panciotto e grosso
papillon sgargianti e scarpe alla Duilio. Per quanto efficace e spassosa,
l'interpretazione di Bordogna non sfrutta a pieno l'opportunità di presentarsi
quale incontrastato mattatore (un po'come accade con il Figaro rossiniano):
scoppiettante ingresso di colui che è destinato a muovere i fili della vicenda,
la travolgente cavatina risulta infatti un po' sotto tono sia
nell'espressività vocale sia gestuale, per quanto correttamente eseguita dal
punto di vista tecnico.
Da rilevare la performance dell'attore Mario Brancaccio,
il servo di Dulcamara, silenziosa presenza dall'incolta zazzera rossa che
contribuisce a movimentare la scena, rendendola surreale, a catalizzare
l'attenzione del pubblico attraverso una travolgente mimica clownesca.
Il tenore Emanuele D'Aguanno colpisce per la
disinvoltura e la vivacità con cui dà espressione alla personalità di Nemorino,
semplice contadino travolto dall'amore per Adina e dal raggiro di Dulcamara:
volutamente goffo nei movimenti, è esilarante nel duetto con la ragazza, a
seguito della sbronza, e struggente nell'esternazione del turbamento
sentimentale. Un vero peccato che la voce risulti insicura nell'intonazione (la
romanza Una furtiva lagrima ne risente in modo particolare), poco
energica e spesso fuori tempo, con conseguenti momenti di difficoltà anche per i
compagni di terzetto e quartetto.
Nella direzione del Maestro Bruno Campanella, sul
podio dell'Orchestra del Maggio, è evidente la volontà di ristabilire
l'equilibrio tra sonorità e voci, mantenendo più basso il volume degli
strumenti: s'intende ricreare l'effetto delle orchestre belcantistiche, assai
più esigue rispetto a quelle di epoche successive, nonché composte da elementi
di struttura differente dall'attuale. Se è vero che tale soluzione porta in luce
il canto, è altrettanto vero che alcuni momenti della rappresentazione perdono
vigore e slancio, smorzando i forti contrasti, tra brillante e patetico, da cui
questa opera è caratterizzata. Coinvolgente la presenza del Coro del Maggio,
(diretto da Pietro Monti), mai deludente in esecuzione canora e presenza
scenica: dinamica collettività dedita al lavoro campestre, popolo pronto a
commentare, nonché giudicare, fatti e persone.
Dopo aver assistito a questa bella produzione tutta
italiana, presente dal 2001 in teatri italiani e non, si rientra a casa allegri:
in un periodo tanto difficile per prosa e lirica (la rappresentazione è stata
preceduta dall'ormai tristemente consueto filmato-appello contro il taglio dei
fondi allo spettacolo), non si può che essere soddisfatti di un allestimento ben
strutturato, capace di rinnovarsi nel corso degli anni, mantenendo freschezza e
voglia di giocare.