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Recensione Opera «Elisir d'amore» di Donizetti Teatro Maggio Fiorentino

Silvia Cosentino, 11/01/2009

In breve:
Il fortunato allestimento del Teatro dell'Opera di Roma, presentato al Maggio Musicale Fiorentino tra il 16 e il 23 dicembre, ne propone un'interessante e godibile versione con due differenti cast (qui rendiamo conto del secondo), tesa a sottolineare i caratteri tipici del genere "opera comica", in pressoché totale aderenza con la premessa citata.


(Clicca sulle immagini per allargarle - Foto tratte dal Teatro del Maggio Musicale Fiorentino)

Il soggetto è imitato dal Filtro di Scribe. Gli è uno scherzo; e come tale è presentato ai cortesi Lettori": inserita da Felice Romani nel libretto di L'elisir d'amore, la simpatica nota segnala la fonte e fornisce l'immediata chiave di lettura per lo squisito capolavoro di Gaetano Donizetti. Il fortunato allestimento del Teatro dell'Opera di Roma, presentato al Maggio Musicale Fiorentino tra il 16 e il 23 dicembre, ne propone un'interessante e godibile versione con due differenti cast (qui rendiamo conto del secondo), tesa a sottolineare i caratteri tipici del genere "opera comica", in pressoché totale aderenza con la premessa citata.

Accogliendo in pieno ciò che testo e musica vogliono suggerire, il regista Fabio Sparvoli  concepisce lo svilupparsi degli eventi attraverso molteplici livelli teatrali, in cui i personaggi si muovono come residui di commedia dell'arte. L'ampio palco del Comunale costituisce solo uno dei piani narrativi: la fattoria di Adina (scene firmate da Mauro Carosi), con il grande granaio sviluppato su alti pilastri, gradoni e solai, è luogo di fervente attività nel primo atto e di festeggiamenti campestri nel secondo; dominano i toni di giallo e arancione, così come per gli abiti e gli ampi copricapo realizzati da Odette Nicoletti.

Immagine dell'Opera Elisir d'amore al Maggio Musicale Fiorentino In questo principale luogo di finzione, si inserisce il colorato carretto di Dulcamara, trainato da una motoretta: pista da circo, luminosa ribalta su cui il ciarlatano inganna il  pubblico. Allo stesso modo, l'improvvisato teatrino di marionette costituisce un ulteriore spazio di narrazione: con tanto di stoffa decorata a creare separazione dal reale (ammesso che tale sia), barba finta e guance rosse, l'imbonitore coinvolge Adina nella messinscena della Barcarola, astuto escamotage per sorprendere gli astanti.

L'elisir non è solo stilizzato melodramma gioioso: a fianco di stilemi comici si sviluppa, infatti, un'inquietudine, uno spessore emotivo che va al di là del semplice romanticismo di maniera. Nello spettacolo, tale complessità è risolta visivamente attraverso le luci (di Vinicio Cheli): brillante giallo nei momenti corali e più comici, lunare azzurro in quelli intimi, riflessivi, in cui i protagonisti, in particolare Nemorino, sembrano abbandonare i fili da burattino per divenire più reali.

Come fuggiti da un teatrino di marionette, i personaggi principali si muovono con ampi gesti, amplificando emozioni e reazioni con una mimica facciale accentuata: ciò è particolarmente evidente in Adina, Belcore e Dulcamara, che maggiormente risentono di quel retaggio dalla commedia dell'arte; più naturale risulta essere Nemorino, che, in duetti e terzetti, s'inserisce nello scherzo, contrapponendo la sua umanità.

Immagine dell'Opera Elisir d'amore al Maggio Musicale Fiorentino Particolarmente gradevole e divertente è il timbro cristallino del soprano Rosanna Savoia, nei panni di Adina: nel suo muoversi da bambola, accentuato anche dai colorati abiti con ampie gonne che lasciano scoperte le caviglie, esprime una volubilità che, se all'inizio appare stereotipata, diviene sempre più credibile (distintiva dell'animo femminile) con il procedere della vicenda. Accorto l'uso della voce, limpido negli insidiosi passaggi dalle note quasi sussurrate, giocate, a quelle più vigorose negli acuti.

Quella del baritono Vincenzo Taormina, il sergente Belcore, risulta essere l'interpretazione più vicina a personaggi estremamente caratterizzati: altissimo e fiero nella sua uniforme colorata, dall'incedere ingessato e dal canto volutamente innaturale, quasi privo di anima, richiama alla mente uno dei gendarmi di Pinocchio.

Il basso comico Paolo Bordogna si trova a proprio agio nel ruolo del dottor Dulcamara, in impeccabile quanto stravagante tenuta: un po' capocomico, un po' domatore di leoni, porta impomatati baffetti all'insù, frac con pantaloni a colorate strisce verticali, panciotto e grosso papillon sgargianti e scarpe alla Duilio. Per quanto efficace e spassosa, l'interpretazione di Bordogna non sfrutta a pieno l'opportunità di presentarsi quale incontrastato mattatore (un po'come accade con il Figaro rossiniano): scoppiettante ingresso di colui che è destinato a muovere i fili della vicenda, la travolgente cavatina risulta infatti un po' sotto tono sia nell'espressività vocale sia gestuale, per quanto correttamente eseguita dal punto di vista tecnico.

Da rilevare la performance dell'attore Mario Brancaccio, il servo di Dulcamara, silenziosa presenza dall'incolta zazzera rossa che contribuisce a movimentare la scena, rendendola surreale, a catalizzare l'attenzione del pubblico attraverso una travolgente mimica clownesca.

Immagine dell'Opera Elisir d'amore al Maggio Musicale Fiorentino Il tenore Emanuele D'Aguanno colpisce per la disinvoltura e la vivacità con cui dà espressione alla personalità di Nemorino, semplice contadino travolto dall'amore per Adina e dal raggiro di Dulcamara: volutamente goffo nei movimenti, è esilarante nel duetto con la ragazza, a seguito della sbronza, e struggente nell'esternazione del turbamento sentimentale. Un vero peccato che la voce risulti insicura nell'intonazione (la romanza Una furtiva lagrima ne risente in modo particolare), poco energica e spesso fuori tempo, con conseguenti momenti di difficoltà anche per i compagni di terzetto e quartetto.

Nella direzione del Maestro Bruno Campanella, sul podio dell'Orchestra del Maggio, è evidente la volontà di ristabilire l'equilibrio tra sonorità e voci, mantenendo più basso il volume degli strumenti: s'intende ricreare l'effetto delle orchestre belcantistiche, assai più esigue rispetto a quelle di epoche successive, nonché composte da elementi di struttura differente dall'attuale. Se è vero che tale soluzione porta in luce il canto, è altrettanto vero che alcuni momenti della rappresentazione perdono vigore e slancio, smorzando i forti contrasti, tra brillante e patetico, da cui questa opera è caratterizzata. Coinvolgente la presenza del Coro del Maggio, (diretto da Pietro Monti), mai deludente in esecuzione canora e presenza scenica: dinamica collettività dedita al lavoro campestre, popolo pronto a commentare, nonché giudicare, fatti e persone.

Dopo aver assistito a questa bella produzione tutta italiana, presente dal 2001 in teatri italiani e non, si rientra a casa allegri: in un periodo tanto difficile per prosa e lirica (la rappresentazione è stata preceduta dall'ormai tristemente consueto filmato-appello contro il taglio dei fondi allo spettacolo), non si può che essere soddisfatti di un allestimento ben strutturato, capace di rinnovarsi nel corso degli anni, mantenendo freschezza e voglia di giocare.

 
 
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