Un prologo e tre atti (a riprodurre la struttura del ciclo intero) per la terza
giornata della saga, la più ardua dal punto di vista compositivo e
caratterizzata da temi musicali difficili da memorizzare. Invariato il sodalizio
vincente tra Metha, al suo secondo Anello fiorentino dopo quello del
1979-81 con Luca Ronconi, e Carlus Padrissa, alla guida dell'allestimento
firmato Fura dels Baus, anche stavolta rispettoso di quella fondamentale
unità parola-musica-scenografia tipica del genio tedesco.
Con formula invariata, la scena di Roland Olbeter è giocata attraverso
elementi meccanici, schermi elettronici semoventi e un sipario trasparente su
cui vengono proiettate immagini e luci (firmate da Peter van Praet): il
tutto gestito attraverso cambi a vista, in linea con quel distacco wagneriano
ben lontano dal realismo.
La vicenda riprende dalla conclusione di Siegfried, dal risveglio
di Brünnhilde che determina il passaggio dal regno degli dei a quello degli
uomini. Sospese in aria con un'imbracatura, Le tre Norne (Daniela Denschlag,
Pilar Vázquez, Eugenia Bethencourt) filano le trame del destino,
passato presente e futuro, che finiscono per intrecciarsi in modo caotico in
segno di cattivo presagio. Su una variante musicale del corno e sul tema
d'amore, i due amanti si presentano avvinghiati su un tondo letto di fiamme ed
eruzioni vulcaniche: il tenore Lance Ryan interpreta il corpulento
Siegfried, facendo rimpiangere la potente vocalità e la disinvoltura corporea di
Leonid Zakhozhaev. Come nella giornata precedente, il protagonista è eroe goffo,
non privo movenze e reazioni ingenue, presto preda della corruzione del mondo.
Il soprano Jennifer Wilson è Brünnhilde, potente e impeccabile nel canto:
pur tradendo una certa rigidità nella mimica, risulta a proprio agio nel ruolo
dell'eroina passionale vittima dell'inganno, pronta a trasformarsi per vendetta.
Come sempre abile, l'Orchestra del Maggio segue il ritmo del viaggio di
Siegfried, in groppa a un cavallo-gru verso la capitale dei Ghibicunghi,
metropoli fluttuante dominata dal colore rosso, espressione della nostra epoca
in crisi. Buon sauvage attratto dalla città e dal denaro, il protagonista
abbandona la propria purezza, la stessa che lo ha reso finora immune alla
maledizione, annunciata dai tromboni. Con forti richiami all'economia padrona,
gli schermi sono popolati da numeri, così come i costumi (Chu Uroz) dei
tre fratelli: il gigantesto Gunther (il basso Stefan Stoll), bianco nel
vestito e nel viso; la tenera Gutrune (il soprano Bernadette Flaitz),
rinchiusa in una sfera fluttuante, campana di vetro per una bellezza immortale;
il malvagio Hagen (il basso Hans Peter König), contenuto, austero nei
movimenti, accompagnato da una melodia minimale che introduce il metallico tema
ghibicungo. Su consiglio di questi ambigui personaggi, le cui individualità sono
appena accennate tanto da risultare complessivamente inconsistenti, Siegfried
abbandona la propria natura per uniformarsi agli altri: la veste di pelli lascia
il posto a un completo scuro, così come i dread a un'ordinata testa
calva.
Dimentico del proprio passato a causa del filtro di Gutrune, il
protagonista si appresta a conquistare Brünnhilde per darla in sposa a Gunther;
si allontana su una barca, una macchina fluttuante che oscilla su quattro gru,
con l'elmo magico generato dal tema del fuoco. Il ritorno alla rupe della
valchiria è il momento più moderno dal punto di vista musicale: l'orchestra
racconta i patti appena stabiliti, fondendo con le melodie del corno, delle
memorie amorose e della cavalcata. Quando l'eroina precipita nell'amara realtà
con l'inganno di Siegfried, i sei schermi ruotano mostrando il retro, dodici
piramidi aguzze di colore nero, mentre Brünnhilde viene soggiogata
dall'abbraccio di figuranti nudi.
Impegnati nell'unico coro presente nel ciclo del Ring, le voci del
Maggio Fiorentino rendono con possenza l'arrivo dei vassalli di Gunther per
il sacrificio agli dei: uomini e donne in abito scuro maschile e occhiali da
vista, massa informe ossessionata dalla difesa della propria città.
Lo spettacolo raggiunge il culmine di bellezza nel Preludio al terzo
atto, il più unitario dal punto di vista musicale. Sul celebre accordo
primigenio (in Mi bemolle), si ritorna al tema del fiume, verso l'antica
melodia di rimpianto dell'oro; i video evocano immagini acquatiche, mentre i
figuranti sostengono alghe composte da bottiglie di plastica. Le tre Figlie del
Reno emergono da vasche trasparenti piene d'acqua, eseguendo evoluzioni
accompagnare da clarinetti, ultima novità tematica del ciclo. Splendido
l'intreccio vocale tra il soprano Silvia Vázquez, il mezzosoprano
Ann-Katrin Naidu e il contralto Marina Prudenskaya, impegnate in
un'ammaliante nenia resa ancor più accattivante dalle trasparenze dell'acqua.
La parte finale dell'opera riserva momenti di particolare impatto come quello
della marcia funebre, in cui la musica è protagonista con una vera e propria
sfilata di temi: si abbassano le luci, un gruppo di figuranti trasporta il corpo
dell'eroe in mezzo alla platea; il lenzuolo mortuario che lo ricopre porta la
scritta in lingue diverse “Siegfried siamo tutti noi”.
La saga si avvia alla conclusione, si chiudono le sciagure generate dal
desiderio di potere, metafora furera dell'accumulazione capitalista; con
la restituzione dell'anello, la Natura e il Reno recuperano il proprio
equilibrio. Su tre temi musicali differenti, le Ondine si rasserenano, la
torre di persone sospese in aria del Walhalla arde nel fuoco, mentre gli schermi
riportano le parole piene di romanticismo pensate da un giovane Wagner per
Brünnhilde, ma di fatto mai incluse nella stesura definitiva: “Se passò come
un soffio la stirpe degli dei / se torno a lasciare il mondo senza signore / al
mondo mostro ora il tesoro del mio più sacro sapere. / Non valori, non ori,
neppure la magnificenza degli dei; / né casa, né corte, né altero splendore; né
il falso legame, / né i torbidi patti, neppure la dura legge di ipocrite
abitudini, / fortunati nella gioia e nel dolore, / lasciate esistere solo
l'amore.”
La Gesamtkunstwerk, l'opera d'arte totale, è giunta a conclusione.
Alles was ist, endet. |