» Recensione opera Turandot di Puccini al Festival Puccini di Torre del LagoSilvia Cosentino, 08/08/2009 | In breve: 31/07/2009 - Il Festival Pucciniano torrelaghese ha proposto la
terza replica della Turandot firmata da Maurizio Scaparro, ricco allestimento che ha debuttato lo scorso anno sullo stesso palco. Se da un lato lo spettacolo non offre particolare originalità interpretativa, dall'altro colpisce per l'estrema cura di ogni minimo dettaglio, sia esso visivo o musicale. | |
| (Clicca sulle immagini per allargarle - Foto tratte dal sito del Festival Puccini di Torre del Lago)
Venerdì 31 luglio il Festival Pucciniano torrelaghese ha proposto la
terza replica della Turandot firmata da Maurizio Scaparro, ricco
allestimento che ha debuttato lo scorso anno sullo stesso palco. Se da un lato
lo spettacolo non offre particolare originalità interpretativa, dall'altro
colpisce per l'estrema cura di ogni minimo dettaglio, sia esso visivo o
musicale.
Forte impatto per la monumentale scenografia concepita da Ezio
Frigerio, giocata sulla simbologia di quanto vi è di apparentemente oscuro e
invalicabile nel mondo della principessa di morte.
 Il primo atto si svolge di fronte a un granitico portale scandito da quattro
colonne, sormontato da un piccolo ponte levatoio a svelare la statuaria
Turandot, imprigionata nella propria clausura fisica e mentale. Nella
seconda e terza parte, i pilastri abbandonano il blocco per andare a delimitare
lo spazio scenico, in cui s'inserisce uno spaccato dell'elegante reggia con
tetto a falde spioventi tipico della pagoda; sullo sfondo campeggia una
caleidoscopica vetrata, che acquisisce i colori più disparati con il mutamento
delle luci. Altrettanto imponenti i costumi di Franca Squarciapino:
pesanti tuniche dai toni grigio-blu per il popolo di Pechino, vesti sgargianti
per i tre ministri, abiti impreziositi da gemme e strass per la principessa, in
netto contrasto con il dimesso abbigliamento di Liù. Il notevole impianto
illuministico si rivela determinante per la valorizzazione di tutti questi
pregevoli elementi e per l'efficace resa delle atmosfere, dal blu lunare agli
accesi giallo e arancio.
A fare da pendant a tanta maestosità, la carismatica direzione del non
ancora trentenne Valerio Galli, che risolve con agilità la partitura,
rendendo scorrevoli i passaggi più complessi; l'Orchestra del Festival
recepisce ed esegue con prontezza e precisione, così come il Coro e i
cantanti, la cui potenza vocale riesce contrastare i notevoli problemi acustici
dell'arena (è infatti triste consuetudine che l'organico vada a sovrastare le
voci soliste).
A proprio agio nel ruolo di Calaf, più volte interpretato, il tenore
Francesco Hong si distingue ancora per la pienezza del timbro, mai
esitante nelle variazioni complesse, e per la struggente espressione della
tenacia che muove il protagonista. Voce altrettanto interessante quella del
soprano Elena Popovskaya, Turandot bella e raffinata nel
progressivo smarrimento di fronte all'inedito incontro con l'amore. Una Liù
sottotono per la melodiosa esecuzione di Mimma Briganti: la lettura
proposta tende infatti a sottolinearne soprattutto la remissività, tralasciando
l'impressionante forza d'animo di questo fondamentale personaggio. Divertente la
performance di Leo An, Leonardo Caimi e Mauro Buffoli (Ping,
Pong e Pang), sebbene le tante risorse offerte da questi ruoli potrebbero
consentire scelte registiche più coraggiose.
Tale riflessione è da estendere alla tradizionale impostazione conferita
all'allestimento, ammaliante ma non particolarmente innovativo dal punto di
vista scenico e recitativo; si resta comunque positivamente impressionati
dall'attenzione dedicata a ogni singolo aspetto della rappresentazione, che
risulta così pulita ed elegante, efficace nel ritmo sostenuto e nella sicurezza
espressa da pressoché tutti gli artisti coinvolti.
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