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» Recensione opera Pagliacci di Leoncavallo - Maggio Musicale Fiorentino

Silvia Cosentino, 28/02/2009

In breve:
Nei giorni scorsi il Maggio Musicale Fiorentino ha proposto il capolavoro di Ruggero Leoncavallo I Pagliacci, nel celebre allestimento curato da Franco Zeffirelli.


Dopo un tuffo nella tradizione belcantistica con L'Elisir d'amore e Lucia di Lammermoor, il Maggio Musicale Fiorentino propone il capolavoro di Ruggero Leoncavallo I Pagliacci, nel celebre allestimento curato da Franco Zeffirelli.

Solitamente introdotta da balletti o affiancata a Cavalleria Rusticana, altro manifesto del verismo lirico, l'opera viene in questo caso anticipata da alcune fra le più belle pagine sinfoniche di Mascagni e Puccini: sotto la direzione di Patrick Fournillier, l'organico del Maggio esegue brani da L'Amico Fritz, Guglielmo Ratcliff, Cavalleria e Manon, saggi di quel “poema sinfonico scenico” teorizzato da Ferdinando Fontana, in cui l'orchestra diviene elemento narrativo e descrittivo sempre più emancipato dal primato del canto.

La complessità di Pagliacci non renderebbe necessaria alcuna integrazione: a fronte di una trama esile e relativamente breve, l'ambigua psicologia dei protagonisti e il gioco metateatrale richiedono un'intensa partecipazione da parte dello spettatore, chiamato a interpretare la natura delle pulsioni da cui il dramma ha origine.


Recensione de I Pagliacci di Ruggero Leoncavallo al Maggio Musicale Fiorentino - Salvatore Licitra (Canio) nel momento dell'aria Vesti la giubba Le intenzioni dell'autore sono chiarite fin da subito dalla voce del commediante Tonio (il baritono Seng-Hyoun Ko) sulla ribalta, a sipario chiuso, in veste di Prologo: in sgargiante tenuta da clown, faccia bianca, parrucca colorata e abito con lustrini, il deforme personaggio ricorda che non ci sarà finzione, ma vera tragedia, scandagliata nella sua completezza di atti, reazioni ed emozioni alla maniera del romanzo naturalista. Protagonista non è, quindi, l'illusione portata in scena dall'attore, ma la nuda verità dell'uomo, spietatamente rappresentato nelle proprie aspirazioni e bassezze. Il cantante coreano delinea un personaggio più penoso che crudele, imprigionato nel dolore, fisico e psicologico, di un corpo sgraziato; il timbro è pieno e caldo, l'intonazione precisa, sebbene l'esecuzione tradisca incertezze nell'accordo con la direzione orchestrale di Fourniller.

Per la prima volta nella sua carriera di regista e scenografo teatrale, Zeffirelli decide di allontanarsi dalle indicazioni del libretto e di attualizzare la vicenda, ambientandola in un degradato sobborgo: sullo sfondo, la grigia facciata di un edifico in cui si aprono scorci di tristi abitazioni e negozi, dominati da televisori e luci a neon; al centro, così come sull'impalcatura che ricopre il caseggiato, un vorticoso brulichio di persone, adulti e bambini, piccoli delinquenti e prostitute, tutti colti nella naturalezza dell'agire quotidiano. Biciclette, una roulotte e un'automobile muovono ancor più la scena, in una frenesia di azioni scomposte e disordinate.


Recensione de I Pagliacci di Ruggero Leoncavallo al Maggio Musicale Fiorentino - Amarilli Nizza (Nedda) e Salvatore LicitraCome raramente accade, si coglie l'impaccio del Coro del Maggio, a disagio in gestualità e spostamenti, disorientato da un'atmosfera inusuale per la lirica. Il palco è fin troppo carico di cose e persone, il voluto caos manca di quell'ordine interno che è canone teatrale necessario a mantenere leggibile il fulcro dell'azione: l'ingresso della compagnia di attori perde forza, le divertenti acrobazie dei clown non trovano spazio adeguato, mentre la riflessione di Canio riguardo alle sostanziali differenze fra teatro e realtà viene fagocitata dal disordine scenico creatosi. In look da guappo (i costumi sono di Raimonda Gaetani), il capocomico è interpretato dall'energico Salvatore Licitra: complessivamente preciso nell'esecuzione, il tenore restituisce i caratteri di un uomo vittima della propria violenza e dell'incapacità di gestire il dolore.

Le necessità poetiche espresse nel Prologo trovano giusta espressione quando, non senza sollievo, la scena si spopola e lascia spazio a Nedda, la sempre elegante Amarilli Nizza, persa nel proprio sogno di una vita diversa. Ammaliante tanto in costume da attrice quanto in dimessa tenuta domestica, la sua interpretazione colpisce per la consueta dolcezza delle movenze e per il fascino del timbro particolarmente corposo, disinvolto in potenza e delicatezza. Momenti di forte intensità soprattutto nel duetto con Silvio, interpretato dal baritono Luca Salsi, di significativa presenza scenica e sicura esibizione canora.


Recensione de I Pagliacci di Ruggero Leoncavallo al Maggio Musicale Fiorentino - Licitra e Nizza nel finaleNel secondo atto il fondo scenico si riveste di giganti teloni colorati raffiguranti volti di clown sorridenti; a sinistra, lo sfavillante palco in cui andrà in scena la commedia, al centro le sedie in cui si dispone il chiassoso pubblico. Tra giochi di luce, pareti girevoli, frizzi e lazzi d'ogni tipo (difficile immaginare che la modesta compagnia di Canio possa usufruire di tutti questi effetti speciali), inizia la vicenda di Pagliaccio, alle prese con il tradimento di Colombina; simpatica e coinvolgente la presenza del tenore Mark Milhofer, nei panni di Peppe/Arlecchino, vivace nell'interpretazione seppur vocalmente debole. In un'altalena fra spiritosa finzione, in cui si respirano atmosfere musicali tratte da Rossini e Donizetti, e tragica realtà, si arriva alla conclusione della vicenda: anche in questo caso, l'epilogo è stemperato dall'affollamento indisciplinato sul palco, con conseguente allentamento della tensione drammatica.

Sulla scia della tradizione iniziata da Fernando de Lucia ed Enrico Caruso (primo disco d'oro della storia grazie a Pagliacci), l'ultima battuta "La commedia è finita" è affidata a Canio: viene quindi a mancare quella fondamentale coerenza drammaturgica che vede in Tonio il motore della vicenda, dall'espressione delle necessità poetiche nel Prologo, passando dai “tristi frutti dell'odio” fino alla cruda conclusione da lui sancita.

Applausi contenuti per l'uscita degli artisti, di certo penalizzati dall'esuberanza di una scenografia che, seppur spettacolare, si rivela inutile se non controproducente a un dramma che trova nella complessa psicologia dei personaggi tutto ciò di cui ha bisogno per essere espresso al meglio.


Recensione de I Pagliacci di Ruggero Leoncavallo al Maggio Musicale Fiorentino - Una visione d'insieme del secondo atto

 
 
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