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» Recensione de Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni

Silvia Cosentino, 31/10/2008

In breve:
L’AMBIGUA PASSIONE DI COMPARE TURIDDU

Martedì 21 ottobre, il Maggio Musicale ha proposto la terza replica di Cavalleria Rusticana presso il Teatro Comunale di Firenze: il capolavoro di Pietro Mascagni è inserito nell’ambito di Recondita Armonia!, densa iniziativa che, dall’11 al 26 ottobre, prevede la messa in scena di tre opere e due balletti.


Il compositore livornese realizza il suo primo e più importante lavoro in occasione del concorso indetto dall’editore milanese Edoardo Sonzogno nel 1888: la base è quella della novella Cavalleria Rusticana di Giovanni Verga, inserita nella raccolta Vita dei campi del 1880.
Su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, l’opera viene rappresentata il 17 maggio 1890 al Teatro Costanzi di Roma, aggiudicandosi il primo premio e dando il via a una serie di successi in tutti i maggiori teatri del mondo; frequentemente eseguito insieme a Pagliaccidi Ruggero Leoncavallo, abbinamento proposto per la prima volta dallo stesso Mascagni al Teatro alla Scala di Milano nel 1926, l’atto unico è proposto da solo in questo nuovo allestimento per la regia di Mario Pontiggia.

La storia segue fedelmente quella della novella: “tornato da fare il soldato”, Turiddu non riesce a dimenticare Lola, alla quale aveva giurato eterno amore, ma ormai sposata con il carrettiere Alfio; deluso, il giovane si rifugia tra le braccia di Santuzza, compromettendo il suo onore e suscitando in lei il desiderio di vendetta al momento della scoperta della tresca con Lola.
La tragica fine è subito annunciata: Alfio uccide Turiddu, dopo aver scoperto la verità attraverso le parole di Santuzza.

Le scenografie realizzate da Francesco Zito catapultano immediatamente lo spettatore nella piazza di un paese della campagna siciliana di fine Ottocento: a sinistra, lo spaccato dell’interno di una chiesa barocca, di cui si vedono due altari laterali, una statua della Vergine riccamente ornata e un confessionale in primo piano; a destra, una gradinata e alcune case, fra cui quella di Lola; sullo sfondo, un parapetto affaccia su un vasto paesaggio marittimo, sovrastato dai mutevoli colori del cielo.
L’ambientazione è quindi estremamente realistica, come del resto i colorati costumi (anch’essi creati da Zito) e gli oggetti dei personaggi e delle comparse che animano la scena in modo vivace e armonico.
Il popolo contadino è, come nelle novelle di Verga, uno dei protagonisti dell’opera: vengono presentati l’amore per il lavoro quotidiano, il fermento religioso del giorno di Pasqua, la maldicenza nei confronti della disonorata Santuzza (il soprano Marianne Cornetti), l’accettazione incondizionata di quella cavalleria che porta al consumarsi di un fatto di sangue.

La giovane disonorata, in pesanti abiti scuri, è allontanata da questa realtà: il desiderio di entrare in chiesa, di accostarsi a quella religiosità visceralmente legata alla cultura di stampo popolare, è motivo ricorrente in tutto l’atto; in questo senso, lo spettatore assume la prospettiva di Santuzza, visto che la scenografia preclude la vista dell’altare (inteso come punto nevralgico) all’occhio di chi osserva.

L’antecedente matrimonio di Lola (il mezzo soprano Chiara Fracasso) con Alfio (il baritono Silvio Zanon) è perno della tragedia annunciata e origine dei comportamenti dei personaggi in scena: rivendicando il passionale amore per la giovane, Turiddu (il tenore Gustavo Porta) è già cosciente del proprio destino, sebbene s’atteggi con spavalderia.

Nel duetto, si esprime l’ambiguo rapporto con Santuzza, verso la quale egli nutre sentimenti di tenerezza e riconoscenza alternati a un’insofferenza, non priva di rabbia, verso colei che gli intralcia i piani. La musica e gli ampi movimenti scenici esprimono il patetico tentativo della ragazza di tenere Turiddu legato a sé, fino all’estremo e grottesco anatema (“A te la mala Pasqua, spergiuro!”) che rende ancora più chiara quella che sarà la conclusione della vicenda.
Nel suo essere scaltra e smaliziata, Lola appare allo stesso tempo incosciente nel suo agire, sottovalutando l’ira del marito Alfio, presentato come gioviale potente (quasi un boss) di campagna nella sua allegra sortita. Lucia (il contralto Alessandra Canettieri), madre di Turiddu, assiste inerme allo scorrere degli eventi, fino al tragico epilogo che la porta all’inevitabile perdita del figlio e al confronto, nell’ultima scena, con le altre due protagoniste femminili della storia.

Hanno ammazzato compare Turiddu!”, e le tre restano pietrificate sul palco, in un gioco enigmatico di sguardi, ognuna con il proprio e personale dolore, sebbene distrutte dalla stessa perdita.

Validi i cinque interpreti principali, sia nelle individuali caratterizzazioni dei personaggi sia nelle relazioni con gli altri; spiccano l’incisività vocale di Marianne Cornetti, seppur non troppo naturale nei movimenti, e l’intensità emotiva di Alessandra Canettieri; piacevole il caldo timbro e l’accurata l’interpretazione di Silvio Zanon, disinvolto tanto nei momenti distesi, come quello della godibile sortita “Il cavallo scalpita”, quanto in quelli di forte tensione emotiva. Particolarmente interessante risulta la performance di Gustavo Porta, commovente in “Mamma, quel vino è generoso” e che ben gestisce un personaggio non facile come quello di Turiddu, complesso da rendere proprio perché ambiguo e poco approfondito nelle intenzioni.

Il Maestro Pietro Rizzo dirige con sensibilità e sapienza l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, così come coinvolgente e puntuale è l’esecuzione del Coro del Maggio, diretto da Piero Monti.

Il risultato è quello di un allestimento convincente, in cui lo spettatore è totalmente coinvolto e commosso dalla leggerezza della vita campestre, la solennità della preghiera e l'intensità drammatica dei duetti.

 
 
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