Sabato 17 ottobre il Giglio di Lucca ha dato inizio
alla Stagione Lirica 2009-2010 con Il barbiere di Siviglia,
allestimento dell'Opera Giacosa di Savona in coproduzione con il
Donizetti di Bergamo, il Sociale di Rovigo e lo stesso teatro
toscano.
Un gruppo di interpreti complessivamente gradevoli va a
salvare l'andamento di uno spettacolo fiaccato da scelte registiche (Francesco
Torrigiani) e scenografiche (Greta Podestà) poco pertinenti e
lontane dalla freschezza del capolavoro rossiniano. La dimora di Don Bartolo
è rappresentata da una torre chiara le cui pareti vengono aperte e chiuse più
volte (fin troppe, tanto da far risultare monotono il movimento) per scoprire o
celare un interno dai colori pastello. Elemento ricorrente è quello del mare: i
costumi "pirateschi" (anch'essi di Podestà) di Figaro e del coro, le
buffe caravelle-zattere con cui i personaggi si spostano, oggetti come il
cannocchiale, il forziere e lo spazzolone per pulire il ponte, fino al forte
riferimento su Ehi di casa... buona gente...
" in cui i personaggi vanno a "formare" la prua di una nave agitata
da un ipotetico mare in tempesta. Non si riesce a cogliere la ragione di questa
scelta, se non un poco originale "riferimento
a un mondo, quello di pirati e fanciulle da salvare, che tanto successo
sta riscuotendo negli ultimi anni, specialmente in ambito cinematografico. Le
luci si mantengono quasi sempre soffuse, giocate sul controluce nel fondale, in controtendenza con la vivacità della
musica e il ritmo coivolgente nei momenti più comici. Le circa tre ore di
spettacolo scorrono così lente, soprattutto il primo atto, di certo impegnativo
per orchestra, cantanti e pubblico.
Su tutti, il baritono
Domenico Colaianni va a risollevare le sorti della messinscena con il
suo Bartolo macchiettistico, marionetta nei movimenti meccanici e clown nella
mimica facciale; puntuale la sua performance canora, agile anche nei momenti
più rapidi e incalzanti. Allo stesso modo divertente il basso Enrico
Giuseppe Iori, Don Basilio buffo nella sua imponente solennità. Il contralto
Annarita Gemmabella offre una Rosina dalle simpatiche smorfie,
disinvolta in canto e recitazione, seppur poco consapevole nell'uso della
gestualità. Postura statica, soprattutto nella prima parte, per Francesco
Marsiglia, già apprezzato per il suo timbro tenorile, fin troppo
possente per il ruolo del Conte d'Almaviva.
Il baritono Damiano
Salerno convince nella resa della furbizia di un giovane e prestante
Figaro: peccato trovarlo indisciplinato dal punto di vista mimico e in
frequente difficoltà nel seguire il tempo del Maestro Elio Boncompagni.
Suscita sorriso il giovane soprano Marta Calcaterra nel ruolo di una
trasandata Berta, dalla voce sicura e gradevole. Nota dolente diffusa è quella
dei recitativi, affrontati con eccessiva velocità da cui deriva un'inevitabile
perdita di effetto "nelle parole
pronunciate. Buona la prestazione dell'Orchestra Sinfonica di Sanremo e
del Coro Pietro Mascagni di Savona, diretto da Franco Giacosa.
Al di là dell'indiscutibile preparazione di
alcuni fra gli interpreti, si accoglie la chiusura del sipario con un certo
sollievo, dispiaciuti di aver assistito a uno spettacolo
povero (al di là del significato economico del termine) nelle idee
e nelle soluzioni, che rende poca giustizia alla genialità del suo compositore.