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Un giorno di regno, seconda opera di Giuseppe Verdi, sua unica
incursione nel genere comico prima di Falstaff – l'ultimo capolavoro del
genio bussetano – ha aperto la Stagione Lirica 2010, proseguendo
l'ambizioso progetto del Teatro Regio di Parma di completare l'intero
lavoro verdiano prima del Bicentenario del 2013, riprendendo ad alta risoluzione
ognuna delle opere rappresentate.
Per l'occasione è stato riproposto lo spettacolo creato ed interamente
firmato da Pier Luigi Pizzi nel 1997 per il palcoscenico parmigiano,
andato nuovamente in scena nel 2001 al Teatro Comunale di Bologna, al
Municipale di Piacenza e alla Scala di Milano.
L'imponente impianto scenografico neoclassico ed i colorati costumi
settecenteschi non sembrano affatto invecchiati, godendo ancora della freschezza
e dell'eleganza tipiche del regista milanese, che si è avvalso delle luci
belle e suggestive di Vincenzo Raponi e delle coreografie di
Luca Veggetti, semplici e d'effetto in alcuni punti, leggermente banali in
altri.
Ad avvalorare la rappresentazione di domenica 31 gennaio è la partecipazione
di Anna Caterina Antonacci, già titolare del ruolo della Marchesa del
Poggio nella produzione originale di Parma e nelle riprese bolognesi e
piacentine. La cantante ferrarese, che possedendo una voce scura e
particolarmente flessibile è in grado di interpretare parti sopranili e
mezzosopranili, molto apprezzata nel repertorio barocco e belcantista, è
propriamente adatta a vestire i panni della Marchesa, ruolo inizialmente
scritto per soprano, ma più confacente ad una vocalità brunita, che possieda
corposità nelle note gravi e centrali. La Signora Antonacci entra in
scena con la celebre cavatina “Ah! Non m'hanno ingannata!... Grave a core
innamorato” e si prodiga in un canto efficace, sicura nelle pagine più
liriche, abile nel trillo e nelle agilità della cabaletta “Se dee cader la
vedova”. Ma è nel secondo atto che l'artista mostra intensità, salde doti
tecniche e un buon uso dei chiaroscuri, con “Si mostri a chi l'adora”
arricchendo la successiva cabaletta “Sì, scordar saprò l'infido” con
interessanti variazioni. L'arduo "si" acuto, scritto da Verdi in un'aria che
scende al "la" grave, non è perfettamente pulito, ma non è certo motivo di
critica ed il pubblico accoglie calorosamente Anna Caterina Antonacci con
uno scrosciate applauso e grida di approvazione.
Il ruolo del protagonista è affidato al giovane baritono Guido Loconsolo,
che possiede una buona linea di canto, ma pare più adatto ad un repertorio
differente. Il Cavalier Belfiore in effetti può essere considerato un
ruolo protoverdiano, già precursore di Nabucco e necessiterebbe di
maggiore squillo, sicurezza negli accenti e fraseggio espressivo.
Lo stesso vale per la Giulietta di Alessandra Marianelli, che
non sembra sempre omogenea. L'aria “Non san quant'io nel petto” di gusto
belliniano e che richiama la Leonora dell'Oberto, avrebbe bisogno
di maggiore robustezza tecnica, come pure il duetto con Edoardo “Giurai
seguirlo in campo”. Decisamente migliore è “Cara Giulia alfin ti vedo…
Questo bene inaspettato”, pagina ricca di spunti lirici e patetici, che
potrebbe affiancare i più bei concertati del Verdi degli anni di galera,
dove la Signora Marianelli e il Signor Magrì donano buon esempio
di canto spianato.
Effettivamente la parte di Edoardo appare scritta per un tenore lirico
leggero, che pur possedendo chiare connotazioni verdiane è permeata
dell'eleganza del belcanto. Ivan Magrì possiede la giusta vocalità,
intensa e squillante, ma esigerebbe di maggiore sicurezza negli appoggi, abilità
nell'uso dei colori e padronanza del passaggio dal registro centrale a quello
acuto.
Accanto alle due coppie di innamorati sono il Signor La Rocca e il
Barone di Kelbar, unici ruoli per basso buffo scritti dal Maestro di Busseto,
di derivazione chiaramente donizettiana e a tratti rossiniana. Paolo Bordogna
nei panni del tesoriere, oltreche essere allegro e divertente, dimostra di
essere un interprete di altissimo livello, che seppur impegnato in gag comiche e
situazioni spassose – tanto da condurre i recitativi con accento emiliano
durante la serata del 9 febbraio – non si esibisce mai a discapito della voce,
sempre sicura, brillante, piena, ricca di accenti e con buona emissione. Esperto
del repertorio buffo preverdiano, ma già interprete di Fra Melitone ne
La forza del destino, palesa una vocalità luminosa e squillante che lo
renderebbe adeguato anche per l'ultimo capolavoro del Cigno.
Lo affianca Andrea Porta, artista di indubbia qualità e di buon gusto,
leggermente nascosto dalle innegabili doti del collega, col quale si trova
impegnato in tre bellissimi duetti durante tutto l'arco dell'opera.
Completano il cast Ricardo Mirabelli e Seung Hwa Paek nei panni
del Conte Ivrea e del servo Delmonte e il Coro del Teatro Regio
di Parma, guidato da Martino Faggiani, mostra sempre uno standard
elevato di preparazione, come pure l'Orchestra diretta da Donato
Renzetti.
Nella recita del 9 febbraio il ruolo della Marchesa del Poggio è stato
sostenuto da Davinia Rodriguez, che si trova in difetto a dover competere
con l'eleganza e la presenza scenica di Anna Caterina Antonacci. Anche la
parte vocale non è sgombra di imperfezioni, probabilmente dovute ad una
tessitura troppo distante dalla sua vocalità.
Giulietta di Kelbar è interpretata da Arianna Donadelli, in
possesso di una voce pulita seppur piccola. La cavatina sembra essere eseguita
più lentamente rispetto al consueto, ma il giovanissimo soprano non si risparmia
nelle agilità e nelle variazioni nel da capo.
La scelta di affidare numerosi ruoli ad artisti agli inizi della loro
carriera, fa onore ai teatri che decidono di offrire queste opportunità, ma non
pare particolarmente appropriata in una rappresentazione che deve entrare a far
parte della prima e più importante enciclopedia verdiana, ripresa in alta
definizione e registrata su supporti video digitali. |