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IL MAESTRO DI MUSICA

guglielmo novalis, 10/04/2013

In breve:
Dopo essere stato accolto a braccia aperte dal suo futuro benefattore Antonio Barezzi, Giuseppe Verdi si dovrà confrontare con l'organista di Busseto, Ferdinando Provesi, che sarà il suo vero primo insegnante di musica.


Se ti sei perso il secondo capitolo, lo puoi leggere al seguente link: "Il Mecenate"

Se ti sei perso il primo capitolo, lo puoi leggere al seguente link: "La Spinetta"

-Ferdinando, il ragazzo scrive qualcosa di grezzo ma che possiede un certo nerbo, possiede un talento e soprattutto una passione che mi fa ben sperare- esclamò Barezzi ponendo il suo mantello sul divanetto perlaceo della sala.

Provesi, il maestro di cappella e organista di Busseto, sospirò energicamente e aguzzò quei suoi due occhi già di per sé minuscoli.

-Signor Antonio se mi direte voi di far lezione al ragazzo io lo farò, non ne dubitate, anche se il ragazzo è una capra.-

-Non è una capra Ferdinando- sorrise Barezzi consapevole, ancor prima di entrare nell'abitazione del validissimo musicista, del suo proverbiale carattere scorbutico e indisponente. Ferdinando Provesi era il miglior musicista che conoscesse, e lo aveva aiutato ad imporsi alla cittadinanza come maestro di musica nonostante non andasse a genio a molti proprio a causa di quel suo essere tagliente come un'accetta. C'era stata poi anni prima una riprovevole diceria su un suo arresto in seguito ad un furto nel duomo di Sissa, ma vi era da scommetterci che quella fosse una fandonia inventata di sana pianta da qualcuno scottato da una delle proverbiale uscite del maestro.

-Capra, caprone, cane... Che dir si voglia.-

Barezzi gli rivolse un'espressione bonaria. - Sapete io penso di capirne un poco.-

Provesi annuì: - non volevo di certo offendere il vostro giudizio Barezzi, era solo per dirvi che vista la gratitudine che vi devo non è necessario che millantiate qualità che non esistono, d'altronde il figlio di un oste che ha fatto lezione fino ad ora con l'organista di Roncole...- Gli occhi di Provesi erano scuri e piccoli, ma possedevano la forza delle voragini che si potevano ammirare da altitudini notevoli. Prima che parlasse da quelle due fessure ci si poteva aspettare anche la fine del mondo, poi a volte, solo con alcuni, moderava i toni; ma anche se con le labbra usava termini diplomatici loro non rabbonivano mai quello che diceva. Erano spietati.

-Il ragazzo ha del nervo quando suona, e compone, oltretutto il povero organista di Roncole è morto proprio qualche giorno fa.-

-Pace all'anima dell'organista- replicò senza un particolare trasporto Provesi. Gli occhi non esprimevano il minimo rammarico, mentre la pelle cascante della guance rimaneva immobile e ferma.

-Comunque Ferdinando vedrete che non mi sbaglio, il ragazzo possiede qualcosa.-

Questa volta fu Provesi che sorrise, ma un sorriso che se avesse potuto tramutarsi in sapore avrebbe avuto quello di una cibaria andata a male.

- Come vi dicevo gli farò lezione.-

-Ho detto al padre del ragazzo di farlo trasferire in una pensioncina qui di Busseto, avrei potuto prendermelo in casa, ma preferisco vedere come se la cava il primo anno- spiegò Barezzi incrociando le braccia e fissando fuori dalla finestra, facendosi distrarre dai cinguettii dei passeri.

-Quanti anni ha il ragazzo?-

-Sui dieci mi pare.-

-Si può fare ancora qualcosa- la voce esprimeva una speranza che dallo sguardo non si percepiva.

-Su Ferdinando qualcosa potrà essere fatto, il padre ci tiene che frequenti il ginnasio con Don Seletti.- a quelle parole Provesi divenne immediatamente scuro in volto.

-Il prete? Me e il prete?-

Barezzi annuì: - ricordate Ferdinando? Avete appena detto che mi dovete gratitudine- sorrise consapevole di come quella sorta di piccolo sotterfugio che aveva adoperato per strappargli quella promessa potesse avere l'effetto di mettere Provesi in una situazione d'insofferenza. Si levò dal divano e riprese in mano il suo cappotto.

-Me e il prete!- Era davvero seccato.

Barezzi era un buon cristiano, ma aveva sempre appoggiato nel paese sia laici che atei, come Provesi, se li riteneva persone meritevoli e di umanità. Questo a volte gli aveva attirato le critiche dei bigotti del paese, dall'altro lato, quando aveva a che fare con gente irremovibile come Provesi, si ripeteva quanto fosse difficile stare in mezzo agli uni e agli altri. Ai bigotti per la loro ristrettezza mentale, agli atei per la loro mancanza di flessibilità, forse uguale difetto in entrambe le fazioni.

-Il prete gli insegnerà il latino, voi il contrappunto.-

-Sperando che Seletti non mi faccia infuriare.-

-Non temete, vedrete che voi farete il vostro lavoro, e Seletti il suo, nessuno pesterà i piedi a nessuno- e con un sorriso rassicurante, stuzzicandosi i suoi bei baffi color cenere uscì dalla porta.

Giuseppe uscì dalla stanza, il Pugnatta era giù nella sala centrale della sua pensione a fare i conti. Tutti i giorni quell'uomo faceva i conti, Giuseppe pensava che avesse davvero una vita assai vuota se non faceva altro che contare i soldi che possedeva. Diceva di fare il calzolaio, ma aveva poi davvero tempo per le scarpe?

-Buondì Giuseppe- lo salutò in tono gioviale. Era un uomo corpulento e sosteneva di essere un gran appassionato di musica. Ogni tanto lo braccava dicendogli che lui era un gran conoscitore e che gli faceva piacere aver qualcuno in pensione col quale poter discutere di musica. Avrebbe evitato come la peste di fare due chiacchere con lui, già quelle della mattina precedente erano bastate. Suo padre si era raccomandato di essere educato e solerte, non fare l'arrogante e rispondere sempre in tono gentile. Se si era dato così tanta pena per raccomandargli tutte cose ovvie evidentemente la sua conoscenza del Pugnatta doveva essere stata piuttosto approfondita.

-Salve signor Alfredo.-

-Ti stai recando dal maestro Provesi?-

-Si.-

-Salutamelo calorosamente, siamo molto amici.-

Giuseppe annuì e uscì. Suo padre pagava ben trenta centesimi al giorno per mantenerlo a Busseto in quella pensione, e il minimo che poteva fare era dimostrarsi il miglior allievo che questo Provesi avesse mai avuto. Diligente, intuitivo, capace...

-Era stato Barezzi a raccomandarsi con lui in questo caso. “Sii sempre mite e solerte, non contraddirlo mai, e se non capisci non digli mai che si è spiegato male, digli solo che non capisci tu.”

Che questo Provesi fosse davvero così rigido e dal carattere impossibile come gli aveva accennato Don Seletti un paio di giorni prima? Il suo maestro di latino gli aveva riferito che diceva di fare anche il poeta, ma che, nonostante una certa propensione a scrivere in rima, fosse tutta cartaccia inutile. Il Pugnatta invece, una delle rare volte in cui aveva riferito cose di un certo interesse, sosteneva che Provesi avesse fatto circolare per Busseto parecchie satire aventi per soggetto i preti della Fabbrica, in particolare proprio Don Seletti, e il suo gusto per la musica scadente e noiosa. Chissà che personaggio era questo Maestro di cappella...Ma a Giuseppe non interessava quello che in paese si raccontava di questo maestro, non voleva dare peso a chicchere che non gli avrebbero recato nessun beneficio, e si voleva esclusivamente dedicare alla musica. Solo a quella.

Tutti quei pensieri colmarono il tempo del suo tragitto, e lui si trovò di fronte alla casa del maestro in un tempo che gli parve molto più breve di quello preventivato. Era una bella casa, con le mura color biscotto, un bel tetto rosso, e con un curato giardinetto davanti. Suonò il campanello e venne ad aprirgli una donnina anziana, con gli occhi cerulei e l'abito di velluto rosso.

-Sono Giuseppe Verdi, sono venuto per la lezione con il Maestro Provesi- disse con tono cristallino.

-Si, vieni. Il maestro è con un altro allievo, puoi aspettare in salotto.-

-Grazie.- Entrò nell'atrio di quella villetta elegante e la donna gli indicò una sedia dove aspettare. Non era di certo la casa di Barezzi, ma era stata arredata con molto gusto: le pareti color avorio ospitavano una gran quantità di ritratti, la maggior parte di cantanti, probabilmente. Giuseppe non attese molto, dopo alcuni minuti apparve sulla soglia dell'atrio un uomo alto, con i capelli neri come l'inchiostro e lo sguardo feroce. Le sue labbra erano una linea rossa appena sopra il mento e il naso era enorme, ma conferiva al suo volto ancora di più quell'aria minacciosa.

-Sei Giuseppe Verdi?- Chiese con voce intrisa di sufficienza.

-Si maestro- rispose lui prontamente balzando in piedi.

-No, non è ancora il tuo turno, aspetta pur qui, intanto tieni questo- disse porgendogli un volume dalla copertina ocra.

-Cos'è?- Domandò Verdi.

-Un po' di cultura, così la tua attesa non sarà vana.-

L'uomo scomparve di nuovo, e Giuseppe aprì il volume.

Storia della musica. Il maestro Provesi non sembrava un uomo amabile, anzi gli aveva dato l'impressione di essere piuttosto scocciato. Forse quel giorno gli era pure morto il gatto o chissà.

Provesi riapparve dopo un'ora accompagnato da un ragazzo alto e dinoccolato, con occhiali spessi come fondi di bottiglia, una capigliatura bionda e lo sguardo spento.

-Mi raccomando Ruggiero, fammi un buon lavoro.-

-Certo maestro, già stasera mi metto all'opera.-

Il tono di Provesi era stato fermo ma non antipatico, e il ragazzo gli aveva risposto prontamente.

-Ecco qui Giuseppe Verdi, su entra.-

Il ragazzo che stava uscendo non lo degnò del minimo sguardo e uscì. Giuseppe fece finta di nulla ed entrò nello studio del maestro.

Le pareti erano rosso carminio con un disegno stilizzato raffigurante un'arpa che si ripeteva sistematicamente, mentre un pianoforte a mezza coda, decisamente più umile e dallo sguardo più bonario rispetto a quello di Barezzi, sostava al centro della sala. Quel pianoforte gli strizzò l'occhio. Giuseppe si rallegrò nello scorgere almeno un volto amico quel giorno. Di fronte a lui c'era un tavolo di legno molto bello, sul quale stavano spartiti penna e calamaio, poi nella parete di fronte alla porta una biblioteca di tutto rispetto ospitava una quantità di volumi che avrebbe potuto rasentare il migliaio, rifletté ammirato Giuseppe.

-Allora, intanto diciamoci subito che confido estremamente poco in te come allievo- disse Provesi chiudendo la porta dietro di sé. Quella frase ebbe l'effetto di un secchio di acqua gelida versato sulla sua testa.

-Scusate?-

-Ho promesso a Barezzi che ti avrei fatto lezione, ma dubito molto del tuo talento, non dubito che fra un poco mollerai, comunque procediamo, siediti al piano e fammi sentire come suoni.-

-Che vi suono?- Balbettò Giuseppe.

-Che sai suonare?-

-Ho un po' di cose mie.-

-Per carità! Fammi sentire qualcosa, che ne so, di Bach.-

-Non ho con me nulla di Bach.-

Provesi aguzzò i suoi occhietti di nera ossidiana e si diresse verso gli scaffali sulla parete centrale, si stirò e afferrò un volume dalla copertina rossastra.

-Ecco qui.-

-Ma io non le conosco.-

-Un po' di prima vista.-

Giuseppe si sedette al piano. Che disdetta cominciate la prima lezione con un disastro, nella prima vista era davvero scadente.

-Maestro non le posso far sentire qualcosa di mio?-

Provesi tacque, si sedette al suo fianco davanti al pianoforte ed emise una sorta di grugnito, un suono che svelava disprezzo e impazienza: mentre contraeva il viso Giuseppe notò evidente l'ossatura del suo volto sotto la carne morbida e flaccida.

-Ragazzino suona Bach o fuori di qui.-

Giuseppe sospirò. Sarebbe stata una disfatta. Iniziò a suonare, e il risultato fu davvero terribile. Provesi si appoggiò allo schienale foderato di velluto della sua poltroncina e cominciò a massaggiarsi la fronte con la sua mano candida e dalle dita affusolate.

-Sei un disastro.- Sentenziò alla fine con una calma che sapeva di preambolo della tempesta.

Giuseppe sospirò, non poteva terminare quella sua esecuzione di Bach tanto deludente facendosi cacciare da quel maestro. Doveva inventarsi qualcosa. Cominciò a suonare la ballata del gobbo. Ovviamente il maestro si sarebbe infuriato per la sua insolenza, ma poi magari qualcosa lo avrebbe fatto riflettere sulla possibilità di continuare a fargli lezione.

Provesi rimase muto per tutta la durata dell'allegra canzoncina. Continuava a tenere chiusi gli occhi e a massaggiarsi la fronte come segno di estrema frustrazione, ma poi, molto lentamente, si tolse la mano dalla fronte e l'appoggiò al suo ginocchio. Strizzò gli occhi e attese.

-Cos'è?- Chiese rudemente dopo che Giuseppe ebbe terminato.

-L'ho chiamata la ballata del gobbo.-

Provesi si prese qualche minuto prima di esprimersi a parole.

-Le mani sono impostate male.-

-Perché?- Chiese ingenuamente Giuseppe.

-Sono impostate male, le tieni piatte, mentre invece devi sempre pensare di avere quasi un'arancia sotto di esse, le dita curve, e le braccia con meno tensione possibile, non stai seminando i campi, poi, riguardo alla ballata...- Di nuovo qualche secondo di attesa – la ripresa è banale, la melodia principale ha qualcosa di interessante ma va rivista da capo a fondo per ingentilirla, e bisogna che abbia un inizio uno sviluppo e una conclusione, fatta come l'hai fatta tu sembra solo la conclusione di qualcosa mai cominciato.-

Non perdetevi il prossimo capitolo.

 
 
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