Il trovatore di
Giuseppe Verdi inaugura la
Stagione lirica 2009-2010 del Teatro Municipale di Piacenza, con un allestimento del
Teatro Bellini di Catania, in coproduzione con il
Teatro Comunale di Bolzano.
Roberto Laganà Manoli firma l'intero spettacolo, prediligendo un solo impianto scenografico – che a Piacenza sembra essere stato ridotto rispetto all'originale catanese – coadiuvato da immagini di dipinti di
Pieter Brueghel il Vecchio e Hieronymus Bosch, tra cui le celebri Torre di Babele e Tentazione di Sant'Antonio. La regia è molto semplice, ma perfettamente funzionale e lascia ampio spazio agli interpreti, mentre i bellissimi costumi, visibilmente di epoca rinascimentale, traspongono la vicenda di un centinaio d'anni, ma con numerosi richiami medievali.
La sera della prima, venerdì 23 ottobre, Stuart Neill nei panni di Manrico crolla inesorabilmente nella scena madre dell'opera. Nei primi due atti il tenore americano mostra uno squillo particolarmente interessante e riceve numerosi consensi da parte del pubblico, pur mancando completamente il personaggio e restando sempre immobile sulla scena. Procedendo nello spettacolo “Ah! Sì, ben mio” è risolta con alcune incertezze nei chiaroscuri, voce poco elegante e non perfettamente pulita, e durante la cabaletta sbaglia addirittura le parole, si ferma, riparte per fermarsi di nuovo e conclude regalando alla platea un lunghissimo acuto, come per scusarsi. Gli applausi che seguono sono timidi.
Olga Romanko è una Leonora totalmente priva di filati, non pronuncia un solo piano o pianissimo e sembra affaticata fin dall'inizio dell'opera. La voce si muove pesantemente e, nel passaggio dal registro centrale a quello grave,
cambia completamente ed è sempre discontinua, per tutta la durata dello spettacolo.
Azucena è dignitosamente interpretata da Katerina Jalovcova, che non possiede propriamente la vocalità che ci si aspetterebbe in un simile ruolo, ma risolve la parte con perizia, credibilità e una forte presenza scenica. “Stride la vampa!” e “Condotta ell'era in ceppi” mostrano qualità nel suono e acuti facili, seppur non perfettamente puliti. Accolta freddamente nella prima parte, gli scroscianti applausi finali le rendono giustizia, soprattutto in conseguenza di un “Ai nostri monti” eseguito in maniera molto efficace.
Carlo Kang torna a cantare per la Fondazione Arturo Toscanini dopo i successi bussetani de
I vespri siciliani e La forza del destino, mostrandosi ancora più nobile nel fraseggio e con un accento decisamente intenso. Ne “Il balen del suo sorriso” il canto è elegante ed emozionante ed ottiene il primo caloroso consenso della serata da parte del pubblico. La linea di canto è precisa e sostenuta.
Marco Spotti, alle prese con il terribile ruolo di Ferrando, fa affidamento su una voce che corre, dal timbro particolarmente scuro, potente nelle note più gravi, saldo negli acuti e apre efficacemente l'opera con la difficile “Abbietta zingara”.
Tra i comprimari Alice Quintavalla si distingue soprattutto per la bellezza della sua voce ed una musicalità degna di una protagonista, pur non avendo un'emissione particolarmente potente, mentre
Ruiz è il bravo Alessandro Fantoni. Completano il cast Diego Arturo Manto e Cosimo Oreste.
Antonello Allemandi, alla guida dell'Orchestra Regionale dell'Emilia-Romagna, cede alle inflessioni bandistiche del primo
Verdi, ma in maniera costante e mai eccessiva.
Buona la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da
Corrado Casati.