La Fondazione Festival Pucciniano, arrivata alla
cinquantottesima edizione del Festival Puccini, per la prima volta si cimenta
con un'opera di un altro compositore, scegliendo La traviata per aprire
ufficialmente i festeggiamenti per l'imminente Bicentenario Verdiano.
Purtroppo le aspettative erano molte, in gran parte disattese, soprattutto
nell'allestimento firmato da Paolo Trevisi. La regia ha l'unico
pregio di essere filologica e di seguire pedissequamente le note del libretto;
per il resto è monotona e noiosa, tiene i protagonisti quasi immobili al centro
del palcoscenico e il coro pressoché disposto alla greca. Le scene fisse di
Poppi Ranchetti avrebbero avuto la loro efficacia con
un'attività e un gesto più presenti; in questo modo invece aggiungono altro
tedio al lavoro soporifero.
I costumi della Fondazione Cerratelli non rendono omaggio,
né all'opera, né ai protagonisti: Violetta è abbigliata in modo goffo,
il coro e i comprimari sono quasi sempre in nero. In poche parole: è tutto
funzionale, ma manca totalmente il nervo verdiano.
Al contrario, lo spigliato e disinvolto Fabrizio Maria Carminati
dirige egregiamente e con buon polso l'Orchestra del Festival Puccini,
sempre attenta e ben concentrata sulla sua bacchetta.
Silvia Dalla Benetta, considerata da alcuni artisti presenti
in sala una delle migliori Violette degli ultimi tempi, è certamente
un'interprete di altissimo livello, ma costretta nell'immobilità di una regia
banale e quasi inesistente, oltreché obbligata a non poter rendere al meglio
certe sfumature vocali a causa della pessima acustica del Gran Teatro all'aperto
Giacomo Puccini, non riesce a superare se stessa, come invece è
accaduto di recente al Maggio Musicale Fiorentino. Da notare è
la bellezza dei legati, soprattutto in primo atto, probabilmente richiesti dal
Maestro Carminati e che presumibilmente le hanno causato sforzo
nei lunghi fiati, ma il risultato è ottimo. Le pagine meglio riuscite sono
quelle di terzo atto, dove l'artista vicentina riesce a trasmettere l'emozione
del momento proprio grazie alla staticità ed insuperabile è la resa vocale di “Addio
del passato”, di cui esegue anche l'intensa seconda strofa e cimentandosi
in una cadenza davvero toccante.
Massimiliano Pisapia sarebbe ancora un eccellente
Alfredo se non chiudesse i suoni delle vocali aperte e se i suoi acuti non
fossero spesso indietro. Per il resto l'intonazione e il fraseggio sono buoni,
ma la mancanza di omogeneità nel passaggio e la chiusura di certi suoni non
rendono piacevole all'ascolto la sua esecuzione.
La performance di Stefano Antonucci nei panni di Germont
è ottima, accurata e precisa. Il fraseggio è espressivo, i colori sono ben
dosati e la linea di canto è particolarmente morbida. L'unico neo lo si può
riscontrare nelle note molto basse, in cui si percepisce una certa incertezza.
Oltre alla celebre “Di Provenza il mar, il suol” anche il lungo duetto
con Violetta è reso in maneira eccellente e col giusto pathos.
La rosa dei comprimari, provenienti dal Maggio Formazione, è
indiscutibilmente di bassissimo livello, esattamente come già accaduto a Firenze
poche settimane fa. Ciò non contribuisce certamente alla buona resa dello
spettacolo ed è incomprensibile come si sia potuto ripetere lo stesso errore,
alle spalle dei giovani artisti che stanno investendo sul loro futuro.
Accattivanti le coreografie, nel solo coro dei mattatori, di Walter
Matteini, ben eseguite dagli Imperfect Dancers.
Buona la prova del coro diretto da Stefano Visconti.
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