» Recensione Trilogia popolare di Verdi al Teatro Comunale di FirenzeSilvia Cosentino, 28/10/2009 | In breve: Firenze - Dal 3 al 16 Ottobre 2009.
Secondo anno di successo per la rassegna autunnale Recondita Armonia, gustosa iniziativa del Maggio Musicale Fiorentino dedicata ai melomani di tutte le età: il Teatro Comunale ha visto avvicendarsi le repliche delle tre opere che compongono la cosidetta Trilogia popolare (o romantica) verdiana: Rigoletto, Il Trovatore e La Traviata. | |
| (Clicca sulle immagini per allargarle - Foto per gentile concessione del Maggio Musicale Fiorentino)
Secondo anno di successo per la rassegna autunnale Recondita Armonia,
gustosa iniziativa del Maggio Musicale Fiorentino dedicata ai melomani di
tutte le età: dal 3 al 16 ottobre il Teatro Comunale ha visto
avvicendarsi le repliche delle tre opere che compongono la cosidetta Trilogia
popolare (o romantica) verdiana. Di alta qualità nella loro
freschezza, gli spettacoli sono stati promossi da un'accattivante quanto
insolita campagna pubblicitaria, che proponeva le tre opere come cibo in scatola
“ad alto contenuto d'emozione”: da Rigoletto “intenso e
aromatico da gustare freddo”, a La Traviata “dolce e amara, da
guarnire con lacrime e baci”, passando per Il Trovatore “forte e
piccante da servire ben caldo”. La squadra guidata dal regista Franco
Ripa di Meana (scene, costumi e luci portano le firme rispettivamente di
Edoardo Sanchi, Silvia Aymonino e Guido Levi) ha tenuto incollato
alla poltrona un pubblico attento ed eterogeneo, grazie anche alla complicità di
prezzi complessivamente accessibili, arrivando a rasentare il raro ed
entuasiasmante tutto esaurito.
Svolti sullo stesso pavimento scuro rifrangente, gli allestimenti hanno come
filo conduttore la presenza di un unico ambiente a far da grande contenitore, in
cui i vari elementi si inseriscono di volta in volta per scorrimento orizzontale
e verticale.
Nel rappresentare la maledizione sul destino di Rigoletto e il contrasto
insanabile tra l'adesione alla corruzione della corte e la purezza redentrice
della figlia Gilda, la scena è spoglia, dominata da fondale e quinte
neri, la cui oscurità viene accentuata da luci laterali di taglio provenienti
dal primo piano (di cui si fa ampio uso anche nei momenti più intimi e
drammatici della Traviata). Una lucida parete scura semovente e
rifrangente come il pavimento delimita e seziona gli spazi, scoprendo via via
pochi ma significativi elementi: un'automobile dorata con interni di velluto
rosso fuoco a identificare l'alcova del Duca di Mantova; la dimora di
Rigoletto, casa delle bambole dai colori pastello, ideale rifugio e
possibilità di riscatto; il barcone sul fiume, luogo del tragico compimento
finale.
Il Trovatore si apre su un interno del palazzo di Aliaferia: pareti blu
elettrico, un'alta porta sulla sinistra, una finestra all'inglese sulla destra e
un ampio camino sul fondo. Nel corso della messinscena, lo spostamento di questi
tre vani, di colore bianco laccato, andrà a comporre gli altri luoghi della
narrazione (giardino, accampamento, convento...), fino alla conclusiva
eliminazione delle pareti. La colorata riproduzione tridimensionale in miniatura
dei due territori rivali, Biscaglia e Aragona, incombe appesa sottosopra al
soffitto per poi essere posta al centro e in fondo al palco. Probabile richiamo
a quanto vi è di magico nella vicenda, la luna risulta essere elemento
fondamentale: man mano che la storia prosegue, la sfera diviene sempre più
grande, fino a invadere, “ingombrare”, abbandonando la propria naturale
collocazione in cielo.
Un ampio ambiente decorato alle pareti con tappezzeria verde a fiori bianchi,
probabile richiamo alla camelia, per l'opera che vede protagonista Violetta.
Lo spazio, in cui si inseriscono vari pezzi di mobilio (tavoli, lampade, sedie,
poltrone...), viene ristretto da un grande panneggio rosso fuoco calato
dall'alto a creare un'angosciante sezione di tre pareti, dove dominano due
lampadari a goccia. Dello stesso colore, un enorme divano è protagonista dei
movimenti nel primo e nel terzo atto: qui appare però smontato, invaso dagli
elementi d'arredo ammassati uno sull'altro, a creare caos e desolazione. Di
forte impatto è l'inizio sul Preludio, in cui Violetta, vittima
consenziente nel suo vestito rosso, osserva come una spettatrice esterna la
mondanità in cui vive ma che non la rappresenta; in questo senso, quell'enorme
drappo (così come gli abbaglianti neon dei tavoli da gioco) suggerisce angoscia
e claustrofobia, sensazioni che lasciano posto allo squallore dell'ultimo atto.
L'idillio in campagna è invece individuato da un quadretto da sogno, in cui i
personaggi agiscono su una pedana arredata con un rassicurante gusto familiare.
Altro denominatore comune nei tre allestimenti è la simbologia cromatica del
costume.
Rigoletto è in bilico sulle sue due esistenze parallele, così come due
sono le facce del vestito indossato: variopinto Arlecchino e spenta figura nera
allo stesso tempo. Altrettanto significativo l'abbigliamento dei personaggi di
corte, tenuta scura per gli uomini-becchini (resa ancor più inquietante dalle
maschere bianche durante il rapimento) e tute aderenti di pelle nera per le
donne, a cui fa da contraltare l'ampio abito color verde acqua della dolce
Gilda. Come al candore del costume di Leonora si contrappone il nero
di Azucena, allo stesso modo Violetta alterna uno sgargiante rosso
a castigati toni caldi per concludere in una trascurata mise chiara da
camera; le altre donne hanno ricche toilettes, tra cui spiccano velluti
estrosi e variopinti.
Da sottolineare l'ampio parco di validi interpreti e di direttori, sul podio di
un'Orchestra del Maggio sempre attenta e preparata; in modo particolare
colpisce la performance del Coro (guidato da Piero Monti), ogni volta
convincente nella sua versatilità canora e recitativa.
All'andamento rapido di Rigoletto, in cui i duetti dominano sulle arie,
corrisponde una recitazione fresca e dinamica, in linea con i fluidi cambi
determinati dallo scorrimento degli elementi scenici. Allo stesso modo di ampio
respiro la direzione di Stefano Ranzani, sebbene si riscontri
qualche difficoltà nella calibrazione dei volumi all'inizio dei vari atti.
Potente nel timbro baritonale, malgrado qualche incertezza nell'intonazione,
Ivan Inverardi risolve con efficacia e naturalezza la deformità di
Rigoletto, creando momenti di forte intesa emotiva con il soprano
Annamaria Dell'Oste, voce melodiosa e perfetta nei virtuosisimi. Il tenore
James Valenti è un Duca atletico e ambiguo, piacevole
nell'esecuzione seppur a tratti spinta di gola sugli acuti. Da segnalare
l'interpretazione del basso Konstantin Gorny (Sparafucile) e del
contralto Nicole Piccolomini (Maddalena), entrambi incisivi nei
gesti asciutti e nella perfetta performance canora.
Nel Trovatore spicca il timbro corposo e potente del soprano Kristin Lewis
(Leonora), delicata e sicura nei passaggi tonali; a una straordinaria
esecuzione canora si accompagna purtroppo una recitazione spesso statica, poco
coerente nei movimenti. Toccante l'interpretazione di Anna Smirnova: la
cantante affronta con intensità e precisione la parte da contralto di Azucena
(a cui Verdi, come in altri casi, dà la definizione di mezzosoprano),
dando risalto alla travolgente ossessione di vendetta con una gestualità ampia
ed essenziale. Altrettanto convincente Juan Jesús RodrÃguez nei panni del
Conte di Luna, ruolo-stereotipo del baritono antagonista. Peccato
rimanere delusi dal tenore Valter Boring, incerto e debole Manrico
dal punto di vista sia canoro (il pubblico non manca di esternare disappunto di
fronte a una traballante Di quella pira) sia recitativo. Nel passaggio
dal Maggiore al Minore, nelle parti di clarinetto, fagotto e timpano, la
direzione di Massimo Zanetti tende a evidenziare il costante richiamo
al presagio di morte e al destino funesto di cui i protagonisti sono preda.
Nell'ultimo capitolo della trilogia, l'energico e toccante soprano Yolanda
Auyanet interpreta con vigore Violetta, incantando con voce stabile e
presenza scenica significativa. Altrettanto intensi il tenore Carlos Cosias,
Alfredo dal timbro corposo e sicuro nell'intonazione (seppur a tratti
debole nel volume), e Simone Piazzolla, Germont dallo splendido
timbro baritonale. Dato più rilevante, in questo caso, è la direzione di
Daniele Callegari, che sceglie un tempo rapido e incalzante nei momenti
d'insieme (con qualche difficoltà da parte del coro) e un spiccato risalto,
nelle parti romantiche o drammatiche, a strumenti differenti a seconda della
suggestione prevalente, esaltando così la partitura in tutta la sua complessità.
La godibile offerta di Recondita Armonia ha consentito di
apprezzare la straordinarietà di questo percorso verdiano nel suo complesso:
gustare sia l'emancipazione dalla tradizionale successione di “numeri”
(Cavatine, Duetti, Finali...) verso situazioni narrative di più ampio respiro in
Rigoletto e La Traviata sia lo sguardo più canonico in Il Trovatore,
comunque già proiettato verso una modernità di linguaggio decisamente inconsueta
per l'epoca.
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Silvia Cosentino, 31/10/2008
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