La lirica oggi: intervista al maestro Claudio Desderi
Gloria Bellini, 22/03/2009
In breve: Liricamente intervista il celeberrimo baritono e direttore d'orchestra Claudio Desderi docente all'Accademia della Voce di Torino.
In questo piacevole colloquio, assolutamente da leggere e da ascoltare, l'artista esprime la propria opinione su temi "scottanti" che investono il teatro dell'opera in Italia in questo periodo di crisi e offre ottimi spunti ai giovani che desiderano intraprendere la carriera artistica. Buona lettura e buon ascolto!!!
Nato e cresciuto in una famiglia di musicisti con il padre, Ettore Desderi, compositore, direttore d'orchestra, direttore di conservatorio,
la madre, Andreina Desderi Rissone, soprano, Claudio Desderi
potrebbe essere definito un musicista universale.
Ha studiato fin da piccolo violino, viola e poi canto, ed ha iniziato da
giovanissimo la carriera da cantante lirico fino a diventare direttore
d'orchestra ed anche stimato insegnante. Abbiamo fatto una piacevolissima
intervista con il MaestroClaudio Desderi confrontandoci su temi
di estrema attualità che, in questo momento di crisi, interessano la nuova
generazione di giovani cantanti.
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Intervista a Claudio Desderi (20 MB)
1) Ci racconti brevemente il suo percorso da studente e la sua carriera da
cantante, da direttore d'orchestra e da insegnante… Sono più di quarant'anni di vita in musica: nato in una famiglia di
musicisti, ho cominciato con il violino, ho proseguito con la viola con
l'intenzione di diventare direttore d'orchestra. Il canto è stata un'esperienza
formativa prima di giungere al completamento da direttore d'orchestra. Il canto
ha avuto uno sviluppo immediato per il fatto che ho studiato al conservatorio di
Firenze, nella classe di canto tenuta da mia madre con severità da “aguzzina”…
che ha portato i suoi frutti perché ho iniziato la carriera prestissimo, a soli
22 anni.
È stata onestamente una carriera facile, non ho fatto una vera gavetta perché ho
debuttato con il Maggio Musicale Fiorentino in trasferta al Festival
di Edimburgo conIl Signore Bruschino, e subito dopo alla
Scala in collaborazione con l'Accademia Chigiana per “The
Rake's Progress” di Stravinskij con il direttore Bartoletti
e poi con il direttore Abbado con l'opera di Prokof'ev “L'amore
delle tre melarance” e la “Cenerentola” di Rossini
e da lì in giro per il mondo.
Nel frattempo continuavo a studiare viola e direzione d'orchestra. Nel 1988 ho
iniziato a insegnare e a privilegiare il rapporto con gli strumentisti e la
voce. Nel 1998 il Teatro Regio di Torino mi ha proposto la direzione
artistica, quindi ho deciso di chiudere con il canto e di dedicarmi solo alla
direzione d'orchestra.
Nel 2006 Riccardo Muti mi ha convinto a ricominciare (dopo ben 8 anni) a
studiare canto per realizzare un “Don Pasquale” a Ravenna di cui è
stato prodotto anche un dvd con giovani cantanti ed è stata un'esperienza
davvero bellissima.
2) Lei ci ha detto che la sua carriera all'inizio è stata facile. Secondo
lei, per un giovane cantante, oggi, che opportunità ci sono? Rispetto a quando ho cominciato io le opportunità per i giovani cantanti si
sono centuplicate. Nel '86-87 a Fiesole abbiamo fondato un'accademia che
inizialmente in Italia non era ben vista, oggi ce ne sono moltissime: persino
gli enti lirici, che sono diventati fondazioni, hanno creato delle accademie
perché non sanno come amministrarsi e come produrre spettacoli regolarmente,
quindi puntano sulla formazione per potersi gestire, anche se in realtà sono
scuole fittizie.
Purtroppo constatiamo che i giovani vengono instradati nella carriera del mondo
dello spettacolo senza una formazione di base consolidata. La politica di
innesto dei giovani cantanti, solisti, direttori purtroppo oggi è fatta...
“televisivamente”, mi spiego: ci si inventa un personaggio, lo si sostiene per
un breve periodo fintanto che dura la pubblicità e poi lo si brucia, se ne
prende un altro, lo si brucia...
Io non condivido trasmissioni come “Amici”, “X factor”, etc…, tutte formule per
giocare sui giovani da lanciare che non sono applicabili al mondo della musica
classica e della musica la lirica, perché la preparazione per arrivare è
totalmente diversa.
Per intraprendere una professione come la nostra, non ci si inventa da un giorno
all'altro, non funziona che dal mattino alla sera tu arrivi ad un punto perché
sei giusto per lo schermo televisivo e allora da quel momento per 15 giorni o
per sei mesi ti insegnano qualcosa e poi sei lanciato.
Da noi servono otto-dieci anni di studio per poter raggiungere una preparazione
tale che possa garantire il professionismo.
Io ho avuto fortuna perché ho iniziato a studiare violino a cinque anni e ho
debuttato dopo sedici, diciassette anni di studio di musica in generale, non è
che mi sono svegliato un mattino e ho detto “vado a fare un provino per vedere
se mi prendono…”
Purtroppo oggi si ragiona sulla “moltitudine”, sul modello “fame – saranno
famosi”, e in base a questo si vive un po' come sul principio “vinco alla
lotteria e la mia vita cambia”, ma per l'arte non è così.
3) Che preparazione deve avere un cantante? - Prima di tutto deve avere una base musicale non inferiore a quella degli
strumentisti,
- secondo deve avere una conoscenza approfondita della storia della musica per
capire in che periodo sono stati scritti i ruoli che studia, in quale ambito
storico-letterario queste opere sono state composte,
- deve avere una base di letteratura importante, un minimo di conoscenza
umanistica, di letteratura greco-latina i cui riferimenti nelle opere antiche
sono numerosi (es. i libretti di Metastasio)
- deve apprendere la recitazione e ampliare le proprie capacità interpretative e
sceniche utili per rendere credibili i personaggi che si interpretano, così come
il teatro dell'opera e i registi richiedono oggi
- avere una dose di umiltà e modestia naturale che consenta di interagire e
“fare squadra” con i colleghi e consenta di rispettare il direttore e il regista
nella scala gerarchica dell'opera.
4) Secondo lei i giovani d'oggi presentano queste caratteristiche? No, o perlomeno solo alcuni presentano queste caratteristiche, perché in
Italia si vive da anni con grandi qualità individuali che nascono, ma non con
una formazione collettiva di base.
È bello ampliare il numero dei conservatori e delle accademie di base, ma se non
si riforma la scuola modernizzando l'insegnamento creando dei professionisti
capaci, non si possono ottenere dei miglioramenti. Anche in conservatorio la
formazione degli strumentisti mira a formare solisti più che musicisti
d'orchestra. Si fanno poche ore di musica d'assieme, poche ore di esercitazioni
orchestrali, quindi manca il senso del lavoro collettivo della musica.
Ci vorrebbe una riforma che modifichi questa impostazione che alimenta il culto
del solista.
5) A proposito della riforma che ha investito i conservatori tramutandoli in
università, cosa ne pensa? È stata una follia totale!
Dall'oggi al domani è stato deciso con un decreto che i conservatori
diventassero università…, senza pensare alla formazione degli insegnanti per
questo nuovo incarico.
Nella realtà dei fatti sono tutte formule raggiratrici, organizzate per ovviare
al problema dell'aumento degli stipendi agli insegnanti, che costituiscono,
però, un vero freno alle riforme necessarie!!!
Oltretutto gli insegnanti dei conservatori dovrebbero essere tutti docenti che
insegnano dall'ottavo anno in su e non si sa chi debba fare la formazione di
base.
Bisogna ancora definire quali saranno le accademie e le scuole di formazione di
base e quali saranno i conservatori di alta formazione musicale (in numero
limitato, spero).
La stessa cosa vale per i teatri: è inutile parlare di riorganizzazione se non
si stabilisce quali siano i teatri di trazione, i teatri di importanza
nazionale, i teatri che hanno un proprio ambito.
Con il federalismo e con l'attribuzione alle Regioni della formazione
all'interno dei propri teatri, si rischia che ogni Regione appaghi le esigenze
di assegnazione degli incarichi per opportunità politica (come spesso accade) e
non si operino scelte volte a rispondere alle esigenze formative.
Devo però anche dire che ci sono dei teatri virtuosi come alcuni teatri veneti,
per esempio, che riescono a sopravvivere molto bene che si danno una propria
autonomia perché gestiscono le risorse in modo corretto.
Esistono invece fondazioni poco virtuose che presentano buchi di decine di
migliaia di euro e pretendono l'intervento dello Stato per sanarle. Quindi
subentra lo Stato imponendo il commissariamento che di solito anziché aumentare
le produzioni per ovviare alla crisi, propone di tagliarle. Non è questa la
soluzione, bisogna aumentare le produzioni, perché non è possibile che un teatro
alzi il sipario per 3 produzioni l'anno con sole cinque recite per un totale di
quindici sere in un anno! Chi lavora in teatro deve sapere che non può pensare
di lavorare solo venti ore alla settimana finalizzate solo a una o due
produzioni e qualche concerto ogni tanto e poi spetta agli amministratori
gestire in modo ottimale le risorse.
6) Ma secondo lei, perché oggi siamo in questa situazione? Siamo in questa situazione perché il passaggio dagli enti lirici statali
alle fondazioni è stata un'utopia convinti del fatto che solo con il
finanziamento pubblico i teatri sarebbero precipitati, mentre con finanziamenti
anche di privati ci sarebbero state molte più risorse per salvare il teatro
dell'opera. A favore di questa teoria si sono schierati anche menti illustre
quali lo scrittore Alessandro Baricco o il regista Franco Zeffirelli
(n.r. ci si riferisce alla polemica sfociata lo scorso 24 febbraio sul
quotidiano Repubblica). Nessuno dice però che non c'è nessun privato che sia
disposto ad investire su un'attività solo per pagare i debiti pregressi, e che
sicuramente nessuno investe su una struttura che magari conta 500 dipendenti
quando per mandarla avanti ne basterebbero anche solo 300…
Io penso che fintanto che non ci si libera di questi retaggi
dell'amministrazione statale, queste proposte di privatizzazione (simili al
modello anglosassone), che io considero ottime, difficilmente potranno essere
applicate.
7) Lei cosa consiglia di fare per cambiare? Bisogna avere prima di tutto la volontà di cambiare, bisogna parlare con le
associazioni interne al teatro dell'opera utilizzando il loro linguaggio, perché
purtroppo ci sono pochi tecnici che conosco bene questo mondo.
L'Accademia della Voce di Torino è una delle realtà che sta operando in
questo senso perché sta organizzando incontri con personalità importanti, avendo
un paio di istituzioni che operano bene con la scuola di base organizzando anche
scambi culturali con istituzioni estere in modo da dare la possibilità agli
studenti di mettersi alla prova in concerti e spettacoli verificandosi
direttamente al termine del proprio percorso di studi.
Questa è una formazione utile, non fine a se stessa.
8) Dato che l'ha nominata, cosa ne pensa dell'Accademia della voce di Torino
da un punto di vista formativo? Io sono coinvolto da anni e vedo con quale impegno è presente sul territorio
proponendo con entusiasmo una diversificazione di linguaggi grazie a molti
docenti che apportano con il proprio metodo novità per i giovani che
frequentano.
Ci sono personalità come la Dessì, la D'Intino che vengono a
insegnare e portano la loro esperienza internazionale ai ragazzi dell'accademia.
9) Quali sono le caratteristiche che deve avere un buon cantante e quali deve
avere un direttore d'orchestra? Innanzitutto essere ottimi musicisti, stimarsi l'un l'altro e avere pazienza
degli eventuali difetti reciproci e trovare fra la via di mezzo per dare il
massimo quando collaborano assieme.
10) Lei incarna entrambe le figure, qual è il suo peggior difetto e miglior
pregio? Io sono molto diretto nel mio modo di fare e dico sempre quel che penso,
però forse per i giovani questo può essere molto più utile anziché dire sempre
“bene, bene, bene, bene” e poi lasciarli al loro destino.
Vado preso, quindi, per come sono. Il pregio è che non abbandono mai quelli con
cui lavoro, anche coloro dei quali magari non ho molta stima, ma se si lavora
insieme non mi tiro mai indietro.
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