Désirée Rancatore è indubbiamente un'Adina di riferimento. Donizetti non l'aveva scritta così, ma secondo i canoni dell'epoca la parte era musicata sulle corde dei primi interpreti, per poi lasciare ampio spazio alle variazioni. Pertanto la Rancatore fa in parte riferimento alla tradizione dei lirico leggeri del passato, ma soprattutto appunta lo spartito di note personali, dimostrando anche di essere un'ottima musicista. La sua voce negli ultimi tempi ha acquisito colore e corposità nella zona centrale, ma non certo a discapito dei suoi punti di forza. La sua tecnica impareggiabile nelle agilità, negli staccati e nelle appoggiature, unita ad una naturale elasticità e ad un'eccellente tenuta dei sovracuti, fanno di lei il soprano di coloratura per antonomasia, ma con una marcia in più nella capacità di legare i suoni e nella rotondità del canto spianato.
La affianca un invincibile Francesco Meli. Se anni fa un noto tenore modenese è stato decretato il miglior Nemorino della storia, oggi tale primato rischia di sfuggire dalle mani dell'Emilia per approdare sulla costa ligure. L'omogeneità e la morbidezza della linea di canto; l'espressività e l'eleganza del fraseggio, tanto nei tratti comici, quanto negli accenti patetici; la raffinatezza delle mezze voci, sorrette da un'esemplare tenuta dei fiati, tale da permettergli l'esecuzione di bellissime forcelle; la ricchezza delle sfumature e dei cromatismi fanno di Meli un vero fuoriclasse. Sulla carta il ruolo di Nemorino è abbastanza semplice, ma è davvero complesso saperlo interpretare così bene, in un tripudio di colori che sapientemente spaziano dall'Almaviva rossiniano in “Esulti pur la barbara” fino al Foscari verdiano in “Adina, credimi”. Gli ultimi anni della carriera del tenore genovese lo hanno visto affrontare sempre più spesso ruoli ben più corposi e ciò ha contribuito positivamente alla graduale maturazione della sua voce, che ha acquisito spessore e volume, senza perdere, grazie ad una solida tecnica, la luminosità degli acuti, anzi oggi ancor più squillanti. I sovracuti di testa restano l'eredità proveniente dal repertorio leggero.
Nicola Ulivieri sa essere un ottimo Dulcamara, molto apprezzato per la sua musicalità e la purezza del suono, in quanto non cede alle macchiette di tradizione, che rischiano di sporcare il canto.
Purtroppo il Belcore di Fabio Maria Capitanucci appare stanco e poco brillante, così la voce risulta opaca e tirata al limite negli acuti.
Efficace la Giannetta di Annie Rosen; divertente il mimo, assistente del dottor Dulcamara, Mario Brancaccio; buona la prova del Coro diretto da Claudio Fenoglio.
Corresponsabile del successo di questo Elisir è Giampaolo Bisanti alla guida della brava Orchestra del Teatro Regio, che sa creare un amalgama ben compatto, con un dialogo sempre presente tra buca e palcoscenico, direttamente connesso col pubblico in platea. Come già notato altre volte, grande pregio di questo direttore è la capacità e l'umiltà di saper seguire gli interpreti, non come mero accompagnatore, ma fraseggiando accanto a loro con la compagine orchestrale. In questo modo la sua guida sa creare un lavoro di squadra, intensificando le emozioni trasmesse agli spettatori, obiettivo principale – almeno così dovrebbe essere – dello spettacolo dal vivo.
Un grande ringraziamento va agli artisti impegnati nella recita, che hanno voluto dedicare alla memoria di Alida Ferrarini.
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