Silvia Dalla Benetta si mette in gioco, attraverso un programma difficile, non solo per la lunghezza, ma soprattutto per la difficoltà, passando da pagine scritte per vocalità liriche, fino al lirico spinto e dal drammatico al drammatico di agilità. Appoggio ed intonazione sono saldissimi mentre i suoni sono cristallini e ben incanalati:gli accenti e il fraseggio sono così espressivi che riesce a fare rivivere ben dieci diverse eroine verdiane in una sola serata.
Inizialmente la concentrazione sul canto è tale che l'interpretazione sembra lasciata in secondo piano, ma ciò è dato soprattutto dalle parole introspettive di Leonora (Oberto, Conte di San Bonifacio) e da quelle sognanti di Elvira (Ernani). La resa dei personaggi passa poi attraverso la struggente Medora (Il corsaro), l'implorante Luisa Miller, che pare inginocchiata ai piedi di Wurm, e l'istrionica Violetta Valery, che sogna il suo amore per Alfredo dall'alto delle gradinate del Teatro Olimpico.
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La seconda parte comincia con il lirico Il Trovatore, per poi gettarsi a piedi pari nella drammaticità de La forza del destino, Don Carlo e Aida, in cui l'artista, attraverso la propria voce, la propria consapevolezza tecnica e le proprie doti interpretative, riesce a trasmettere pienamente il concetto di accento verdiano. Forse non tutti i filati sono così sottili come quando è concentrata su di un unico ruolo – a tale proposito si ricordino le recenti Violette di Torino, Firenze e Torre del Lago; le Lucie di Berna e Fermo; la Liù di Pisa – ma sarebbe materialmente impossibile in un concerto che assembla diverse vocalità così mastodontiche. E mancano anche i sovracuti che tradizionalmente inserisce nei da capo e nelle cadenze, sempre tralasciati per il medesimo motivo. Ma le qualità già citate, a cui vanno aggiunte un'innata eleganza e un'affascinante capacità di legare i suoni, sono il segno indiscutibile di una professionista che è in grado di interpretare il giovane Verdi, fino a I vespri siciliani, e il Donizetti serio come poche altre possono fare in questo periodo della storia della lirica.
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In effetti un'altra grande prova di preparazione è data dalla concessione del bis: dopo il peso di “Pace, pace, mio Dio”, “Tu che le vanità” e “Ritorna vincitor” dimostra di saper alleggerire e di non aver perso l'elasticità necessaria per rendere al meglio “Mercé, dilette amiche”.
Il direttore artistico e musicale dell'Orchestra del Teatro Olimpico dirige con sapienza e fermezza di polso, esprimendosi al meglio pur non avendo a disposizione l'organico perfetto per il repertorio verdiano, che necessiterebbe di un maggior numero di archi, altrimenti in disequilibrio rispetto agli ottoni e alle percussioni. Detto questo, Giampaolo Bisanti va lodato per la sua guida energica, che si riconosce particolarmente nelle sinfonie di Oberto, Conte di San Bonifacio, Giovanna d'Arco e I vespri siciliani, anche se il volume ridotto di violini primi e secondi non permette di cogliere al meglio la precisione di tutti i suoni. Meno fluente e fin troppo accentuata è l'ouverture di Luisa Miller. Maggiormente chiara è l'eleganza trasmessa attraverso i preludi di Macbeth, La traviata, ma soprattutto dell'ultimo atto di Don Carlo – davvero affascinante e così suggestivo da far immaginare di essere all'interno del chiostro di San Giusto – e di Aida.
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Infine è da considerarsi eccellente l'accompagnamento della voce di Silvia Dalla Benetta, alla quale lascia lo spazio necessario per fraseggiare e sostenendola adeguatamente nell'incalzare delle cabalette. Sono pochi i direttori d'orchestra a non voler primeggiare, obbligando gli interpreti a seguire i loro tempi, mentre Giampaolo Bisanti dimostra di saper guidare e arginare il flusso senza volerlo restringere o allargare artificiosamente; e con ciò rende un incomparabile servizio alla musica, alla cultura e all'arte dell'opera lirica.
Ovazioni per i due artisti e per la valida Orchestra del Teatro Olimpico al termine di una lunga ed impegnativa serata.
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