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RECENSIONE DELL'OPERA “RIGOLETTO“ DI GIUSEPPE VERDI DAL TEATRO MASSIMO DI PALERMO

Redazione Liricamente, 13/05/2013

In breve:
Palermo 5/5/2013 -“ Perduto ha la gobba, non è più difforme? ” Rigoletto, dopo Nabucco ed Aida conclude il trittico dedicato al bicentenario della nascita del Cigno di Busseto.


La straordinaria modernità musicale e drammatica di questo popolare e amato capolavoro verdiano, si presta facilmente alle letture registiche più fantastiche, in cui il buffone di corte non  sempre ha la gobba e non sempre è difforme secondo la più popolare tradizione, quasi ad assecondare l'interrogativo dei cortigiani del primo atto. Nelle numerose rappresentazioni, talvolta è senza gobba oppure è difforme soltanto nel contesto della corte del duca ed assolutamente normale nella vita privata.

In buona sostanza la particolare lettura del regista Henning Brockhaus, con scene di Alessandro Camera, costumi di Patricia Toffolutti  e le luci di Roberto Venturi, ai limiti tra la sensualità e l'erotismo non avrebbe potuto rispettare il libretto di F.Maria Piave soltanto per l'aspetto di Rigoletto. 

L'impianto scenico, come noto fondamentalmente è quello di Nabucco e di Aida. Un grande cilindro che occupa l'intero palcoscenico con scalinate ad anfiteatro in cui cambiano soltanto le scene centrali dei tre atti. Tutto in rosso scuro, con evidenti segni di decadenza raffigurati da striature nere, che dovrebbe rappresentare appunto il degrado causato dal libertinaggio notturno e l'atroce dramma che ne consegue.

L'inizio del primo e del secondo atto sono particolarmente dinamici. Tutti si muovono in modo frenetico all'interno dell'arena. Presenza di acrobati, Rigoletto ed il Duca di Mantova su un cavallo a dondolo con ruote, figuranti tra cui donne ed uomini en travesti in succinti abiti prevalenti in rosso e nero danzano e mimano accoppiamenti vari. Viene coinvolto nei movimenti anche il coro maschile dei cortigiani che assume maggior rilievo scenico e partecipazione. Immancabile la semi nudità della figlia di Monterone. Caratteristica nel primo atto la presenza di alcuni fiati ed  alcuni archi dell'orchestra in esecuzione all'interno dell'anfiteatro. Rigoletto alterna il costume da pagliaccio con gli abiti borghesi, assistito da un piccolissimo mimo collaboratore, spesso presente in scena. 

Il ruolo del titolo è affidato al baritono greco in carriera Dimitri Platanias, esperto conoscitore anche di altri personaggi, non soltanto verdiani. Tipico timbro di baritono possente e sicuro in tutta l'estensione. Particolarmente valido nelle pagine in cui si richiede tutta la carica espressiva della veemenza, dell'ira e della vendetta, ma troppo costante e non molto coinvolgente emotivamente per il resto, in cui si ricercano un accurato ed accorato fraseggio ed una raffinatezza delle mezze voci e dei pianissimi, soprattutto nel duetto con Gilda del primo atto e nella  scena finale del terzo, eccezion fatta ovviamente per la conclusiva “Ah la maledizione ”. Probabilmente è penalizzato dalla scelta registica, che non gli concede come tradizione di assecondare meglio con i gesti ed i movimenti la recitazione. Buono nel duetto con Sparafucile  e nella declamazione di “Pari siamo ”. Ottimo all'inizio di “Cortigiani vil razza dannata ” in cui manifesta tutta la rabbia che ha in corpo, ma non altrettanto nella seconda parte in cui chiede pietà, cercando di convincere i cortigiani con le buone maniere. Quanto detto viene confermato dalla eccellente “Si vendetta, tremenda vendetta ” in conclusione del secondo atto in cui insieme a Desirée Rancatore - Gilda ottiene le maggiori ovazioni della serata, per la potenza e la padronanza espressa nel famoso travolgente duetto, che manda in delirio l'intero teatro e che come consuetudine viene bissato. Al solito però a buona parte del pubblico, scappano entusiastici e fragorosi applausi che coprono le bellissime ultime battute, senza aspettarne la conclusione.

Meno penalizzata dalla regia invece Desirée Rancatore, ad eccezione del dover cantare nella sua candida camera da letto sospesa a mezz'aria. La famosa giovane soprano, per la prima volta Gilda  nel suo capoluogo siciliano, ma che ha superato oltre centoventi rappresentazioni nel ruolo anche in campo internazionale, è indubbiamente la più credibile dei colleghi. Si muove e recita con sicurezza e disinvoltura, profonda conoscitrice del complesso ruolo, lo risolve con abilità. Non è la consueta Gilda, affidata spesso a soprani leggeri di coloratura che hanno poca espansione vocale, oppure a soprani lirici che hanno invece limiti nelle agilità. Possiede entrambe le caratteristiche e l'estensione è ampia sino ai sovracuti, forte dell'esperienza nei ruoli di coloratura e d'agilità oltre alla maturazione nel registro centrale, che le ha consentito il successo nel debutto di Traviata  nello scorso mese di gennaio a Monte Carlo. L'esecuzione di “Caro nome ” è completa di sovraccuti, eseguiti come "agilità legate", anziché "picchiettati" da tradizione, per dar maggior rilievo all'espressione melodica espressione di sensualità e desiderio dell'innamorata romantica fanciulla. “Tutte le feste al tempio ” è esemplare. Nell'adagio, preceduto dalla bella introduzione dell'oboe, la melodia del patetico appassionato drammatico racconto di Gilda  colpisce soprattutto per il sincero amore  espresso nei confronti del Duca, che colma e perdona il suo senso di colpa. Non è dimessa ed impersonale secondo tradizione, Gilda esprime tacita sensualità nel primo atto, è donna completa dopo la prima esperienza con il Duca pur rispettando l'importante ruolo di figlia nel secondo, sacrifica per amore con orgoglio e coraggio la propria vita, pur sapendo di determinare la disperazione di Rigoletto. Toccanti le sue ultime raffinate e drammatiche battute “Lassù in ciel ” prima di spirare. 

Le ovazioni per “Caro nome”, per la cabaletta di “Si vendetta, tremenda vendetta ” e per il finale sono debitamente fragorose ed interminabili.

Asseconda le direttive registiche Massimiliano Pisapia/Duca di Mantova : è un Duca maturo. Possiede un bel timbro di tenore lirico con una notevole facilità nell'estensione in cui gli acuti sono spinti con potenza e fermezza. Rende però di più verso l'eroico piuttosto che per il romantico, come se non tutte le pagine fossero adatte alla sua vocalità. La sua migliore performance, oltre che nell'ottimo esordio della spensierata  ballata “Questa o quella per me pari sono ”, è nel recitativo “Ella mi fu rapita” e nella cabaletta “Possente amor mi chiama ” del secondo atto, piuttosto che nell'adagio "Parmi veder le lacrime"  ed in "È il sol dell'anima, la vita è amore” nel duetto del primo atto con Gilda, in cui manca il fraseggio morbido ed appassionato del tenore romantico. Applauditissimo a scena aperta nella celebre canzone “La donna è mobile ” dell'ultimo atto, cavallo di battaglia dei più grandi Tenori, che risolve con assoluta sicurezza di accenti e di potenza vocale nell'acuto finale.

Convincente nella vocalità e nella sensualità Chiara Fracasso, giovane mezzosoprano in carriera, ottima interprete di Maddalena cui spesso sono destinate artiste dalla vocalità non del tutto appropriata al ruolo, in antitesi con l'irremovibile fratello Sparafucile del giovane Andrea Mastroni, dall'imponente timbro di basso profondo che si distingue sin dall'esordio nell'incontro con Rigoletto. Sin dalla vincita del concorso Giuseppe di Stefano del 2007, calca con successo i maggiori palcoscenici. 

Partecipano entrambi nell'esecuzione dello straordinario quartetto del terzo atto insieme a Gilda e Rigoletto, in cui i quattro ben distinti ruoli vocali degli altrettanti personaggi si fondono e si armonizzano con i rispettivi diversi stati d'animo, sostenuti dall'esemplare esecuzione orchestrale diretta dal giovane Direttore Giuseppe Finzi che riesce poi a far simulare una perfetta tempesta che cresce gradatamente mentre si compie l'atroce delitto di Gilda, coadiuvato dal vento eseguito a bocche chiuse con maestria dai tenori e con un bel gioco di luci. 

Con ricchezza di colori e di intense variazioni dinamiche in tutto il contesto dell'opera, con tendenza alla prevalenza delle sonorità più intense e con tempi abbastanza sostenuti, ma con il rispetto delle melodie e della delicatezza degli archi e dei fiati, come  nei pizzicati e negli staccati, Giuseppe Finzi mantiene un giusto equilibrio con il palcoscenico spesso sin troppo movimentato e rumoroso.

Il coro di voci maschili dei cortigiani, ben istruito dal nuovo direttore Piero Monti è rilevante, dal ritmato “Zitti zitti “ del primo atto, allo “Scorrendo uniti remota via ” sino al suddetto grande effetto dell'increscioso vento.

Tra gli altri artisti, credibile il Monterone  del basso-baritono Nicolò Ceriani  dal  timbro esteso, chiaro ed intenso e sufficientemente dignitosi gli altri, Patrizia Gentile-Giovanna, Paolo Orecchia-Marullo, Aldo Orsolini-Matteo Borsa, Claudio Levantino-Conte di Ceprano, Pinuccia Passarello-Contessa di Ceprano ed Anita Venturi-Il paggio.

Calorosi consensi per tutti ed in particolare per Desirée Rancatore, per Dimitri Platanias e per la direzione d'orchestra, dal gremito turno domenicale complessivamente soddisfatto.

(Su teatromassimo.it  foto e video dello spettacolo)

 

Gigi Scalici

 

 

 

 
 
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