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Recensione dell'opera Oberto Conte di San Bonifacio di Giuseppe Verdi dal Teatro La Scala di MIlano

guglielmo novalis, 07/05/2013

In breve:
Si tratta di un'opera nuova, scritta da un Maestro nuovo, da esporre nientemeno che nel primo teatro del mondo; ci voglio pensar ancora molto. (Giuseppe Verdi, 6 ottobre 1838)


Oberto Conte di San Bonifacio è  forse più che un'opera, la fiaba della perseveranza verdiana per eccellenza. Per motivi che esulano dalla critica in sé ho ultimamente approfondito enormemente quella parte di biografia verdiana in cui viene concepito questo primo tassello della sua produzione operistica, e non riesco a non vedervi, nonostante sia per molti versi un'opera mediocre, l'inizio prepotente di un uomo che credeva nel proprio destino e nei propri mezzi.

Giuseppe Verdi dopo essere stato rilegato a Busseto come maestro di musica, impegno al quale cedette vista la pressione dei suoi concittadini, aveva cominciato a scrivere il suo Rocester, e Pietro Massini, maestro di canto a capo del Teatro dei Filodrammatici di Milano, lo aveva incoraggiato nel suo progetto da operista, promettendogli il suo appoggio per l'eventuale rappresentazione dell'opera. Composta l'opera, su libretto di un misterioso Antonio Piazza, occorreranno ben due anni per poterla vedere rappresentata (e nel frattempo i rimaneggiamenti la renderanno Oberto Conte di San Bonifacio su libretto di Temistocle Solera).

Il giovane Verdi si sposa con Margherita Barezzi, nasce la piccola Virginia, e visto che la via di Milano appare troppo difficoltosa (Massini non era più a capo del Teatro dei filodrammatici) cerca di farlo a rappresentare al Teatro Ducale di Parma: ma presto va incontro a una cocente delusione. L'impresario di Parma, un certo Granci, lo liquida adducendo il fatto che è troppo rischioso per lui puntare su un emerito sconosciuto con un'opera nuova.

A questo punto il giovane Verdi, con il sostegno senza indugi di sua moglie, abbandona il lavoro di Busseto, e decide di trasferirsi a Milano, per inseguire il sogno di veder rappresentata la sua opera.

Massini per la primavera del 1839 sembra riuscire a farla rappresentare in Scala, programmata come un evento di beneficenza in onore del Pio Istituto filarmonico e con un cast davvero eccezionale: Moriani (il tenore della bella morte) la Strepponi (futura compagna del cigno di Busseto), il basso Ronconi e il soprano Kemble, ma l'imprevisto è davvero dietro l'angolo, Moriani si ammala, le prove vengono sospese e la rappresentazione cancellata.

Che dire  questo punto tutto sembra perduto, se non per il fatto che all'impresario Merelli della Scala, alla ricerca di nuovi compositori,  perché reclamati a gran voce dagli spalti scaligeri, capta nel dietro le quinte di una produzione una conversazione fra la Strepponi e Ronconi, in cui parlano della bella musica dell'Oberto, e di come fosse stato un peccato non poterla eseguire per quella primavera (almeno così riporta la Vita Aneddotica di Pougin).

A questo punto Verdi viene finalmente esaudito  e il 17 novembre 1839 va in scena L'Oberto Conte di San Bonifacio in Scala.

Il successo non è travolgente (come lo sarà poi per Nabucco nel 1842) ma è comunque tale da fargli firmare un contratto con La Scala per altre tre opere.

Oberto già anticipa il senso del dramma in Verdi per il taglio delle scene, l'energia feroce dei ritmi nell'orchestrazione e la totale assenza di un sentimentalismo arcaico; si tratta per ovvie ragioni un'opera a tinte cupe dal gusto donizettiano, ma possiede quella concisione ed essenzialità drammatiche che sono solo di Verdi.

In Scala ora, non si può chiamare un direttore più in ruolo (se così possiamo dire) di Riccardo Frizza per un'operazione di questo genere, il gesto scenografico accattivante, la completa padronanza della scrittura verdiana, l'occhio e l'orecchio sempre vigile a ciò che accade sul palcoscenico, ne fanno un'interprete raffinato e vigoroso del primo Verdi.

La regia moderna di Mario Martone è stata sempre pertinente e convincente, rendendo i personaggi e le vicende, il perfetto intreccio narrativo di una sorta di telenovela postmoderna.

I costumi di Ursula Patzak sono stati encomiabili, soprattutto quelli di Cuniza- Sonia Ganassi e di Fabio Sartori- Riccardo (quando è uscito con la camicia di satin zebrata  allo stile Cavalli e il medaglione al collo mi è sembrato James Gandolfini dei Soprano, geniale!!)

Sul fronte vocale l'Oberto di Michele Pertusi è stato il trionfatore assoluto della serata, la voce non è  quella di un basso propriamente verdiano, ma quando si sente il fraseggio, la parola sempre messa in risalto in un canto impreziosito da effetti e da cesellature nobilissime non si ha molto su cui riflettere. Si sente Verdi cantato forse come lo stesso compositore  avrebbe desiderato. Pertusi è anche un attore formidabile in scena, sembra davvero un attore di prosa, naturale, espressivo, mai sopra le righe.

Fabio Sartori è stato un Riccardo solido, con un timbro generoso e può dirsi soddisfatto della propria performance.

Maria Agresta ha dato prova di una luminosa voce da soprano lirico con un settore medio-grave incredibilmente ben gestito, le agilità sono migliorabili, ma trovo che sia una delle rivelazioni più interessanti del panorama lirico odierno.

Cuniza era Sonia Ganassi, che a dire il vero mi ha deluso, il mestiere e la sua esperienza la salvano in ogni caso, il piglio aggressivo della signora Ganassi in scena fa in modo di non rendere banale e monotona un personaggio davvero noioso come Cuniza, ma la voce è divenuta opaca, si sente un certo sforzo nei centri, e qualche difficoltà nei gravi, il che costringeva la Ganassi a ricorrere al registro di petto in maniera piuttosto frequente; confido che sia stata l'indisposizione di una serata. Completava il cast José Maria Lo Monaco nei panni di Imelda.

Sempre una nota di merito per il coro egregiamente preparato dal Maestro Bruno Casoni.

 

 

 

 

 

 

 
 
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