Con i tempi che corrono, forse Otello è l'opera verdiana più difficile da mettere in scena, soprattutto per il protagonista. Sono pochi gli artisti che oggi possono reggere la parte in maniera soddisfacente e quei pochi sono molto costosi. Il Teatro Municipale di Piacenza, come purtroppo è accaduto negli ultimi anni, non riesce ancora a reggere il confronto con il suo glorioso passato e anche questa produzione, seppur in netto miglioramento rispetto al precedente Don Carlo, non appaga pienamente il pubblico degli appassionati. E va sottolineato che i melomani più accaniti aspettano con ansia l'arrivo della prossima stagione, interamente firmata Cristina Ferrari.
Lo spettacolo ideato anni fa da Pier Francesco Maestrini per il San Carlo di Napoli, poi acquistato dal Regio di Parma, si avvale delle bellissime scene di Mauro Carosi e dei validissimi costumi di Odette Nicoletti, creando un amalgama altamente efficace, realista e ad alto impatto emotivo. La regia è opportuna ed incisiva in tutto il primo atto e in parte nel quarto, ma nel resto dell'opera cede il passo ad elementi aggressivi gratuiti ed inutili da parte di Otello e a momenti monotoni nei finali secondo e terzo. Gli scatti d'ira, l'epilessia e la riconversione del protagonista poco centrano con il lavoro di Boito e Verdi, né con l'eleganza della musica che accompagna la vicenda.
Sul fronte musicale, Maurizio Barbacini non compie prodezze, ma sa dirigere con cura la valida Orchestra Regionale dell'Emilia Romagna. Il suono è pulito, i tempi sono precisi, i cromatismi seguono le indicazioni di partitura e il dialogo tra buca e palcoscenico è ben saldo. Positiva è anche la prova dell'ensemble del Coro Lirico Amadeus Fondazione Teatro Comunale di Modena, Coro del Teatro Municipale di Piacenza e Scuola Voci Bianche della Fondazione Teatro Comunale di Modena.
Tornando al protagonista, Kristian Benedikt ha alle spalle oltre dieci anni di carriera internazionale con ruoli verdiani che vanno da Elisir d'amore, Lucia di Lammermoor, Rigoletto e La traviata a Tosca, Die Walküre, Ernani e Otello. Non si vuole polemizzare in merito al suo repertorio, ma è doveroso constatare su quali tessiture si inerpica il cantante. Misurando la sua performance col metro della crisi, del teatro di provincia e della scarsità di professionisti in grado di ricoprire questo ruolo in maniera adeguata, il risultato che ne consegue è sufficiente, ma tralasciando queste attenuanti si evincono diverse mancanze. Kristian Benedikt va premiato per l'intonazione, per la capacità di tenere gli acuti in avanti e per le doti interpretative – che purtroppo le scelte di regia hanno voluto snaturare con eccessiva veemenza e scelte poco probabili – ma la voce tende spesso a tirarsi e opacizzarsi, perdendo di rotondità e di squillo. Se la sortita con “Esultate!” non entusiasma, ma lascia sperare in un miglioramento, “Ora e per sempre addio sante memorie” e “Dio potevi scagliar "disattendono ogni aspettativa.
Considerazioni più o meno simili valgono per l'alfiere di Alberto Mastromarino, di cui, inizialmente, si apprezzano l'uso degli accenti e l'espressività del fraseggio, ma si nota immediatamente una certa mancanza nel legato. Gli stessi pregi e difetti si mostrano anche nel celebre Credo e nel duetto con Otello – che tra l'altro risulta essere molto noioso – dove l'assenza di squillo e l'emissione dei piani un poco dubbia, poiché sembrano più parlati che cantati, non contribuiscono certamente a rendere piacevole questa interpretazione.
Fortunatamente la Desdemona di Yolanda Auyanet si presenta con una qualità nettamente superiore e gli applausi che riceve, anche a scena aperta, ne sono la dimostrazione. Già dal celebre duetto d'amore di primo atto la professionista spagnola esibisce una vocalità ben timbrata, morbida e rotondeggiante, prodigandosi in un canto elegante e ricco di sfumature, con pianissimi e filati raffinati. Questa linea di canto è mantenuta ben omogenea anche in secondo atto e nella lunga scena della Canzone del salice e dell'Ave Maria, intense ed emozionanti. L'unico appunto sta nell'eccessiva marcatura dell'accento drammatico in terzo atto, che porta Yolanda Auyanet a perdere di morbidezza.
Molto buona è la prova di Arthur Espiritu nel ruolo di Cassio, che dimostra di possedere una bella voce luminosa. Invece l'Emilia di Elena Traversi è purtroppo inadeguata, le note più alte sono molto tirate ed in generale manca di malleabilità.
Efficaci il Roderigo di Gianluca Bocchino, il Lodovico di Enrico Turco, il Montano di Matteo Ferrara e l'araldo di Stefano Cescatti.Â
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