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Recensione dell'opera Falstaff di Giuseppe Verdi dal Teatro La Scala

guglielmo novalis, 02/03/2013

In breve:
" Le ultime note del Falstaff tutto é finito!Va, vecchio John...Cammina per la tua via finché puoi...Divertente tipo di briccone; eternamente vero, sotto maschere diverse, in ogni tempo, in ogni luogo! Va... Va...Cammina cammina...Addio!!! ( Biglietto inviato da Giuseppe Verdi a Giulio Ricordi al termine della composizione di Falstaff)


Quando un grande teatro mette in scena una grande opera con un grande cast, un grande direttore e un grande regista, l'effetto é prorompente.

Sono tornato a casa rinfrancato nel corpo e nello spirito. Questi sono i miracoli che può fare la musica, si ancora oggi, io ci credo fermamente, la musica può renderci diversi, e quando non vengono portate avanti trame ordite ma a guidare é il talento, quello puro sano e forte, allora il teatro riassume pienamente quella funzione catartica per la quale era nato molti anni fa.

Il giovane Harding, direttore ormai affermato a livello internazionale ha dato una sua lettura del Falstaff molto leggiadra e mai invasiva, fedele alla partitura e implacabile a livello ritmico, non si é lasciato mai prendere la mano, una guida sempre  ferma e misurata (in un'opera come questa é fondamentale che qualcuno abbia sempre in pugno la situazione, meglio essere prudenti e fedeli alla partitura piuttosto che farsi travolgere da rivisitazioni personali rischiosissime talvolta.)

La regia di Carsen è bellissima: minimalista, ma deliziosa. Ambientata in un'ipotetica campagna inglese degli anni 50', al posto della giarrettiera un hotel di lusso, le comari di Windsor chiaccherano in un una sala da tè, Fenton è il cameriere (decisamente ben riuscita quest'idea) e Ford si maschera in texano con tanto di occhiali e cappello da cow-boy per impersonare Fontana. Riuscitissimo.

Il sipario si alza, e un Bryn Terfel appesantito di qualche chilo annaspa in questo lettone da hotel cinque stelle luxory, con di fianco eleganti carrelli cosparsi dei suoi avanzi. L'aspetto di Falstaff è sudicio, la camiciola che indossa è lercia, ma ecco che inizia il battibecco fra il dott. Cajius, Pistola e Bardolfo. Bravissimi Carlo Bosi, Alessandro Guerzoni e Riccardo Botta, attori divertente e musicalmente impeccabili.

Terfel è proprio Falstaff, la voce non gode dello stesso smalto di una decina d'anni fa, ma la sua resa del personaggio è davvero ammirevole, e comunque possiede ancora uno strumento che può sovrastare l'orchestra in qualsiasi momento.

Non posso che rendere merito a questo artista. 

Prima che la sua scena sia terminata dalla platea della Scala si leva un Bravo, sentito e meritato.

Chi è il leone si sa già, comunque vada.

Massimo Cavalletti riserva un'interpretazione di Ford convincente e divertente, dando sfoggio di una voce di notevole qualità timbrica, sonora e ampia. Bravo Antonio Poli nei panni di Fenton, che avevo ascoltato qualche anno fa e che non mi aveva particolarmente convinto, in questa occasione l'ho trovato invece perfettamente calato nel ruolo e capace anche di pregevoli iniziative musicali.

Sul versante femminile sicuramente ha spiccato su tutte le altre la Quickly di Marie-Nicole Lemieux, una verve incandescente, una comare capace di giochini e mezzi sorrisi per poter tenere testa più che egregiamente al Falstaff-Terfel mattatore della serata. La voce è poderosa, ormai in teatro certe voci si sentono raramente, quando sono accompagnate poi da doti artistiche come la signora Lemieux ha dimostrato di possedere, è una gran bell'avvenimento.

Invece sono rimasto deluso da Carmen Gianattasio, forse ero giunto in teatro con aspettative un po' troppo alte, non avevo mai avuto il piacere di sentirla dal vivo, ma non ho avuto la percezione di un'Alice con la A maiuscola. Vero che si tratta di un debutto ma nella prima parte la sua voce si confondeva spesso con quella di Nannetta, e ho sentito un poco più del suo proverbiale colore brunito nell'ultimo atto, ma al di là del bel do piazzato nella terribile fuga finale non mi ha particolarmente entusiasmato. Che la signora si sia risparmiata perché aveva sulle spalle ben dieci recite come unica Alice? Forse.

Nannetta era Ekaterina Sadovnikova, una bella presenza e filati pregevoli, mentre Manuela Custer era Meg, corretta anche se anonima talvolta (d'altronde il personaggio di Meg non permette chissà quali virtuosismi).

Un grande successo e un pubblico entusiasta. Unico neo...Povero cavallo! Che bisogno c'era di far cantare a Falstaff la propria aria in faccia a quella povera bestia sedata chissà in quale maniera?

Ecco da amante degli animali faccio un appello accorato a Carsen, quando il nesso è così forzato io eviterei...

 

 

 

 
 
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