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recensione dell'opera Attila di Giuseppe Verdi dal teatro Filarmonico di Verona

William Fratti, 13/02/2013

In breve:
Attila che convince con una Amarilli Nizza splendida e un Tagliavini che si mette in rilievo con la sua vocalità sempre corretta. Direzione di Battistoni neo della serata.


Finalmente un Verdi fatto bene! Non si pretende sempre l'eccellenza assoluta, né l'esecuzione memorabile, ma almeno una rappresentazione che sia all'altezza del compositore, che porti in scena un minimo di qualità e di quella teatralità verdiana che ha cambiato il corso della storia.

Il Teatro Filarmonico di Verona riprende lo spettacolo di Georges Lavaudant con scene e costumi di Jean-Pierre Vergier e la scelta è scusata solo per necessità economiche e la situazione di crisi in cui versa il Paese. Per il resto è un allestimento abbastanza inutile, che dice pressoché nulla ed è ulteriormente abbruttito da presenze mimiche incomprensibili ai più. Il suo unico pregio è quello di non disturbare la vicenda ed il pubblico che, seppur visibilmente inorridito da una specie di danza in secondo atto, non protesta e si gode musica e canto. Anche la suddivisione in due tempi è fortunatamente efficace, mentre un'altra nota dolente è il trucco. Si sta attenti che Attila abbia dipinta una bella muscolatura pettorale e addominale, ma indossa una parrucca riccia e castana, sembrando più un barbaro europeo piuttosto che il Re di un popolo di stirpe uralica. Al contrario, la mancanza di un trucco adeguato per Leone ottiene l'effetto diametralmente opposto e ricorda più verosimilmente un monaco orientale piuttosto che un papa del V secolo.

Sul fronte musicale l'Orchestra dell'Arena di Verona è in ottimo stato e qualche piccola pecca nella prima parte sui fiati è pienamente perdonata. Sul podio è il concittadino Andrea Battistoni, che torna all'opera che gli ha aperto le porte dell'attenzione internazionale, seppur non compiendo lo stesso prodigio di Busseto. La predilezione per il suono, l'accento e l'uso dei colori sono ottimi, ma sembra che nelle ultime direzioni verdiane Battistoni sia troppo concentrato sul vero effetto voluto dal compositore, tralasciando il fatto che forse le masse artistiche non riescano a seguirlo. Difficoltà di dialogo? Eccessiva sicurezza di sé? Poche prove? La lettura del direttore, come in altre opere del giovane Verdi, è molto rispettosa delle indicazioni presenti sullo spartito, ma il risultato finale non riesce più a raggiungere l'eccellenza e non se ne comprende il reale motivo. A tale proposito è però doveroso segnalare che, all'epoca dell'Attila bussetano, Battistoni era presente anche alle prove di regia, sempre attento a dare i tempi al pianista. È così ancora oggi?

Roberto Tagliavini, basso parmigiano davvero promettente, segue le orme dei suoi celebri colleghi concittadini e debutta con successo il ruolo del protagonista, attentissimo all'uso della parola ed eccellendo nella brillantezza del suono. Il passaggio all'acuto è ottimo, meno efficace è la robustezza dei gravi, pertanto la parte, che in alcuni tratti è quasi baritonale, pare perfetta per la sua vocalità. Tagliavini è certamente più concentrato sull'impeccabilità del canto piuttosto che sull'espressività del fraseggio e sull'interpretazione, ma questo è un bene, poiché se la resa vocale è solida, quella del personaggio non può che avere ampio spazio di miglioramento in futuro.

Odabella è Amarilli Nizza che, arrivata al suo quindicesimo debutto verdiano, si riconferma eccellente interprete dell'opera del Maestro di Busseto. Per tanti anni, nella seconda metà del Novecento, si è parlato di voce verdiana pensando al timbro e al colore , ma fortunatamente la critica e il pubblico più attendo si sono discostati da questo credo per avvalorare il vero volere del Cigno, ovvero che la vocalità da egli immaginata fosse un insieme di accenti e di espressività tali da far vivere i suoi personaggi. Amarilli Nizza, ogni volta che indossa un costume, diventa quella specifica eroina. Odabella è interpretata con un'ottima attenzione alla parola e al fraseggio, con un gusto raffinato del canto e del gesto, eseguita in perfetto equilibrio tra la recitazione e l'uso dei colori. Le parti drammatiche sono giustamente intense, soprattutto la prima cavatina, intrisa di note basse che il soprano sceglie di calcare con alcune emissioni di petto, che potrebbe non avere il favore dei puristi del suono, ma è altamente efficace nella resa dell'impeto della protagonista verdiana. Sublimi i pianissimi e il canto spianato della seconda aria, ricchissima di chiaroscuri emozionantissimi, dove la tecnica, il controllo dei fiati e l'appoggio si fanno notare in tutta la loro importanza. Questo è il vero Verdi.

Giuseppe Gipali si fa annunciare indisposto, ma la sua esecuzione di Foresto non è inficiata da particolari problemi, se non da un accenno di opacità e nasalità probabilmente dettate dal raffreddore. La voce del tenore non è particolarmente voluminosa, ma i suoi personaggi verdiani più lirici sono sempre resi con perizia e anche in questa occasione ottiene un meritato successo.

Un solo appunto va sottolineato, riguardante l'esecuzione di Nizza e Gipali, in merito ad un paio di variazioni in acuto al termine delle loro cabalette. È chiaro che si tratta di un effetto molto amato dal pubblico e pertanto accettato anche dalla critica, ma non è particolarmente interessante. Solo alcune delle variazioni inserite in Verdi possono dirsi piacevoli e infatti, già in uso ai tempi del compositore, sono sempre state tollerate e poi sono entrate stabilmente in repertorio. Altre, purtroppo, esulano così tanto dal contesto che, seppur correttamente eseguite dai cantanti, a un orecchio attento possono apparire più fastidiose che utili allo scopo.

Roberto Frontali si presenta, come sua consuetudine, con autorità e spessore, qualità necessarie al ruolo di Ezio ed in generale ai personaggi verdiani interpretati dal baritono. Il fraseggio e l'espressione sono sempre eccellenti, mentre il canto è meno preciso e pulito del solito. Ma corre voce tra le fila di platea che abbia l'influenza e la febbre molto alta.

Seung Pil Choi è un Leone dalla voce imponente e voluminosa, così come dovrebbe essere; mentre Antonello Ceron possiede una vocalità particolarmente importante, più adatta a ruoli drammatici o spinti, e diventa troppo dura nello svolgimento delle poche righe dedicate qua e là ad Uldino, non lasciandogli neppure il tempo di scaldarsi.

Buona la prova del Coro dell'Arena di Verona guidato da Armando Tasso, soprattutto all'apertura con “Urli, rapine… Viva il re delle mille foreste”.

 
 
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