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Recension dell'opera Rigoletto al Teatro La Scala di Milano

guglielmo novalis, 19/11/2012

In breve:
"Avrei un altro soggetto che se la polizia volesse permettere sarebbe una delle più grandi creazioni del teatro moderno...... Il soggetto è grande, immenso, e avvi un carattere che è una delle più grandi creazioni che vanti il teatro di tutti i paesi e di tutte le epoche. Il soggetto è Le Roi s'amuse, ed il carattere di cui ti parlo sarebbe Triboulet........." (Lettere di Giuseppe Verdi, 28 aprile 1850)


Dudamel inizia con la mano tremante a dirigere il Rigoletto scaligero. La cosa mi fa sorridere, ma fa anche in modo che ancor prima che inizi mi stia già enormemente simpatico. D'altronde è giovane (classe 1981) anche se già famosissimo a livello internazionale. Cosa gli fa mai tremare il braccio? Rigoletto o la Scala? Mi piace pensare che sia l'emozione di accingersi a dirigere il capolavoro verdiano a mettergli l'adrenalina in circolo.

Adoro enormemente Verdi, più di tutti gli altri. Oserei definire il mio rapporto col grande compositore di Busseto quasi esclusivo, nel senso che nessun altro mi da le emozioni che riesco a ricevere dalle sue opere. Rigoletto è catartico. Soprattutto alla fine. Un'opera a tinte forti, tremendamente moderna per il tipo di concezione musicale e per lo scavo psicologico affrontato in essa. Dudamel mettendoci coerenza e il talento che lo contraddistingue ha condotto l'orchestra con sapienza ed è stato sempre corretto, sempre vigile e con un occhio di riguardo verso il palcoscenico. La sua prova è stata assolutamente apprezzabile. Da verdiano appassionato avrei voluto tinte più forti, alcuni punti più vividamente accessi e infuocati. 

La regia invece è stata deludente, o meglio, nulla che non avessi già visto. Gilbert Deflo si è insinuato senza colpo ferire nella tradizione più collaudata, e le scenografie di Enzo Frigerio così come i costumi di Franca Squarciapino mi sono parsi assolutamente nella norma. Niente da criticare, nulla da elogiare.

Il cast di cantanti merita un discorso molto particolare.

Il protagonista  Zeljko Lucic è dotato di voce veramente ragguardevole, la pasta è di primissima qualità, ed è ampia sia in acuto che nel grave. Nulla da dire. Per quanto riguarda l'aspetto interpretativo il protagonista non sembra cogliere appieno la dicotomia che anima Rigoletto, e che a mio avviso rende davvero inossidabile nei panni del gobbo buffone, anche se ormai ha quasi settant'anni, Leo Nucci. Ovvero l'immagine che vuole che di lui abbia la società e la sua identità di persona capace di sentimenti. Questo è un dualismo che affiora in maniera più che palpabile nel suo ritorno a corte dopo il rapimento di Gilda e nell'aria che ne segue, e che affiora anche nella parte orchestrale. Peccato che Lucic non abbia saputo renderlo appieno in tutta la sua profondità, nonostante, ci tengo a sottolinearlo, abbia cantato estremamente bene sia l'aria che tutto il resto dell'opera.

Valentina Nafornita, fresca di primo premio presso il Cardiff Competition, incarnava Gilda. Una Gilda aihmè monotona e esangue in molti punti. Il personaggio viene troppo spesso travisato, non si scorge il contrasto acceso da due sentimenti forti e irriducibili che animano la giovane: l'eros e l'amore filiale. La Nafornita ha reso una Gilda priva di eros, immatura in molti sensi, anche se con un materiale vocale decisamente interessante. Esemplare la resa dell'aria con dei filati ragguardevolissimi e di assoluto pregio, tesi a sottolineare nella scrittura verdiana l'ingenua felicità della fanciulla. Purtroppo al di là dell'aria, non è stata un'interpretazione memorabile.

Il duca di Francesco Demuro ha eseguito la parte con assoluta professionalità, la voce però non mi è parsa abbastanza ampia per un ruolo del genere. Al di là del fatto che sia in difetto per volume rispetto agli altri, interpretativamente Demuro mi pare troppo “duca” e non sono riuscito a percepire quella rapace e aggressiva concretezza che caratterizza in primis il libertino cinquecentesco verdiano. Quando la parte presupponeva lo slancio elegiaco e la tenerezza d'accenti Demuro si è dimostrato raffinato cesellatore, ma mi è mancata quella vis e quel temperamento esuberante che fa del Duca di Mantova uno dei personaggi più cinici e, da un certo punto di vista, più spregevoli di Verdi.

Lo Sparafucile di Alexander Tsymbalyuk si è potuto vantare di una voce cavernosa e davvero enorme, esattamente come avrei immaginato il bravo, mentre la Maddalena di Keteven Kemoklidze si è contraddistinta soprattutto per una presenza scenica avvenente e accattivante. La Giovanna di Anna Victorova come il paggio di Rosanna Savoia mi hanno lasciato perplesso, e anche Ernesto Panariello nei panni di Monterone  ha assolto il suo ruolo non superando a mio avviso la sufficienza. Il Marullo di Mario Cassi è stato squillante e corretto, come lo sono stati Andrea Mastroni ed Evis Mula nei panni dei Conti di Ceprano, bravi attori e buoni cantanti. Completavano il cast Nicola Pamio, Borsa e Valeri Turmanov, l'usciere.

Pubblico educato e freddino, per un Rigoletto che avrebbe potuto essere catartico, ma che lo è stato solo a metà.

 

 
 
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