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Recensione dell'opera Turandot di Giacomo Puccini presso il Teatro Verdi di Pisa

William Fratti, 21/10/2012

In breve:
Una Turandot guidata dal giovane Valerio Galli in maniera precisa e sicura, trionfatrice assoluta la Turandot, di nome e di fatto, di Giovanna Casolla, deludente il Calaf del tenore Stefano Lacolla


Il Teatro Verdi di Pisa apre la Stagione Lirica 2012-2013 con l'ultimo capolavoro di Giacomo Puccini nell'allestimento proveniente dal Festival di Torre del Lago firmato da Maurizio Scaparro.
Nella serata inaugurale del 12 ottobre è una vera gioia vedere la sala stracolma di giovani e senza alcun posto vuoto, e assistere all'annuncio del Dott. Maurizio Cecchini che fieramente informa il pubblico che il Teatro Verdi di Pisa, il primo in Italia, è stato dotato di un defibrillatore e una parte del personale è stata formata al suo utilizzo.
Le scenografie di Ezio Frigerio, studiate per il grande spazio all'aperto di Torre del Lago, riempiono fieramente il palcoscenico pisano, pur non soffocando nella loro mole imponente. Efficacissime, con qualche richiamo liberty al lavoro originario di Chini, sanno rendere in maniera appropriata il clima del palazzo imperiale cinese, giustamente e validamente coadiuvate dai bei costumi di Franca Squarciapino. Forse manca un po' di quel carattere suggestivo che una miglior illuminazione avrebbe potuto donare; presumibilmente il disegno luci di Valerio Alfieri non è stato toccato nel suo trasferimento al chiuso, pertanto ogni tinta chiara è sembrata più forte del dovuto.
 
La regia di Maurizio Scaparro è pulita e adeguata, anche se si notano alcuni momenti di vuoto, il coro è quasi ridotto alla folla e ai ragazzi, e si presentano alcune inesattezze rispetto al libretto, ad esempio quando i ministri vogliono far vedere la testa mozza del principe di Persia a Calaf, questa è già scomparsa; oppure i ministri cercano di tenere il principe ignoto lontano dal gong, che però non è in scena, ma arriva solo al momento in cui viene suonato; o ancora quando la folla pronuncia “Ecco Ping. Ecco Pong. Ecco Pang” questi sono già in scena e mai se ne erano andati.
 
La direzione di Valerio Galli è particolarmente morbida e fluida e ciò contribuisce a trasmettere una certa tranquillità al palcoscenico, ottenendo come risultato un amalgama e una coesione consistenti. Ciononostante l'Orchestra del Festival Puccini non appare proprio precisa e la qualità del suono non è delle migliori. Lo stesso vale per il Coro diretto da Stefano Visconti, i cui tenori spesso sforano nel canto in forte. Si comporta meglio il Coro Voci Bianche guidato da Sara Matteucci.
Giovanna Casolla è Turandot. La sua non è un'interpretazione, bensì la personificazione della “Principessa di morte! Principessa di gelo!” e ben poco c'è da aggiungere sul magnetismo della sua indiscutibile presenza scenica, ipnotica e irraggiungibile. La voce è ancora sicura, saldissima sui centri e sui bellissimi acuti, anche se la sonorità non è più così rotonda e pastosa. Solo il registro grave è un poco più debole, ma è un appunto quasi trascurabile. Degni di particolare nota sono i piani di “No, non dire! Tua figlia è sacra!”, toccanti e sapientemente eseguiti, che arrivano dopo la lunga aria e la lunga scena “In questa Reggia… Straniero, ascolta!” cantata quasi interamente in forte o mezzo forte.
 
Stefano Lacolla, che veste i panni di Calaf, è naturalmente dotato di un bellissimo timbro, tipico da tenore all'italiana, del quale molti colleghi ben più blasonati potrebbero essere invidiosi, ma gli basterebbe registrarsi e riascoltarsi per rendersi conto dei numerosi errori che commette e che rischiano di compromettere il suo futuro. Si notano problemi nei fiati e nell'intonazione del registro medio grave; inoltre il suono non è sempre pulito, talvolta è secco e qualche acuto non è perfettamente avanti e lo squillo si smorza in gola. I numerosi applausi che riceve sono molto dannosi, poiché gli fanno credere ciò che non è. Stefano Lacolla può diventare un valore aggiunto al canto italiano, ma necessita di studio ed esercizio continuo.
 
Silvia Dalla Benetta, debuttante nel ruolo di Liù, forse non ha la sicurezza dell'espertista, ma sa arricchire la parte di pregevoli e finissimi filati naturali fin da una delle primissime frasi “Perché un dì… nella reggia mi hai sorriso”. L'eleganza, la precisione nel canto, l'abilità nel legato, la proiezione dei pianissimi, già si notano in “Signore, ascolta!” ma culminano in “Tu, che di gel sei cinta” con un'esecuzione davvero notevole.
Choi Seung Pil è un Timur più che soddisfacente, corretto e adeguato, ben intonato ed efficace nel canto, nell'interpretazione e nella resa del personaggio.

Apprezzabile Massimiliano Valleggi nel ruolo di Ping; un po' dozzinali vocalmente il Pang e il Pong di Mauro Buffoli e Cristiano Olivieri. Poco incisivi il Mandarino di Roberto Nencini e l'Imperatore di Massimo La Guardia. Stonata la “Turandot!” di Stefano Fini. 

 
 
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