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Recensione dell'Opera La battaglia di Legnano di Giuseppe Verdi presso il Teatro Regio di Parma

William Fratti, 16/10/2012

In breve:
Il teatro di Parma propone la Battaglia di Legnano, ma nonostante il calore che il pubblico gli riserva lo spettacolo non raggiunge la sufficienza. Cast impreparato e inadeguato guidato dal maestro Boris Brott che si rivela scolastico e non trascinante.


Dopo dilazioni e ripensamenti, La battaglia di Legnano approda finalmente sul palcoscenico del Teatro Regio di Parma. Purtroppo lo fa durante il Festival-della-salvezza, in un clima economico, finanziario, politico e soprattutto direzionale molto incerto e il risultato che ne deriva è una messinscena che potrebbe essere applaudita con sincerità solo nella provincia più infima, mentre i cittadini di Parma, il tanto temuto loggione, le tanto preparate associazioni musicali del territorio (che sono rimaste inorridite durante la prova generale), accolgono con smisurato entusiasmo, con ovazioni da stadio, con calore sconfinato uno spettacolo che, rappresentato in altri tempi, sarebbe stato interrotto dai fischi soltanto dopo la prima aria. Non si tratta di esagerazioni fatte dal sottoscritto,  ma è ciò che è accaduto in ben più di un'occasione, e se ne potrebbero citare a decine, a partire dalla quasi totalità dei titoli proposti nel 2001 fino ad arrivare al Rigoletto che ha fatto crollare e concludere l'era Rubiconi.

Complice di tanto entusiasmo è il timore che il tempio della lirica chiuda definitivamente le sue porte; complice è il desiderio della città di ricominciare (un'altra volta); complice è la speranza derivante dai neoeletti Amministratore esecutivo Carlo Fontana e Direttore artistico Paolo Arcà. La speranza è l'ultima a morire, ma nel frattempo si vendono biglietti di platea che vanno da € 120 a € 250, proponendo esecuzioni che dovrebbero essere il massimo dell'ispirazione verdiana, ma il compositore delle Roncole, durante questa Battaglia, non si è fatto vedere neppure in una vecchia e scolorita fotografia.

E i posti vuoti, tra platea e palchi, si fanno notare numerosi.

L'allestimento interamente firmato da Pier Luigi Pizzi è senza pretese, molto semplice, ma opportuno ed efficace, soprattutto elegante nel disegno delle situazioni e suggestivo nell'impianto luci di Vincenzo Raponi. Purtroppo si tratta di un'accuratezza più fotografica che teatrale, poiché succede poco e ci si annoia. È vero che Verdi e Cammarano non hanno dato il meglio di sé in questa vicenda, ma è anche vero che se ci si affida ad uno dei migliori registi al mondo, si pretende che in scena accada qualcosa di diverso. Arrigo è spesso fermo in proscenio; Lida è quasi sempre a terra; Barbarossa è improbabilmente circondato da avversari armati che non lo colpiscono.

Dal punto di vista musicale Boris Brott, che sostituisce l'indisposto Andrea Battistoni, offre un'esecuzione che non va oltre la media; neppure la Filarmonica Arturo Toscanini compie le prodezze cui spesso ha abituato il proprio pubblico. Il Coro del Teatro Regio di Parma, diretto da Martino Faggiani, è la vera star della serata, anche se non si prodiga nel proprio meglio.

Alejandro Roy ricopre il difficile ruolo di Arrigo fermandosi alla lettura dello spartito. Presenta una voce dal volume ragguardevole, ma poco morbida nel timbro e non riesce neppure ad avvicinarsi a quelle sfumature di colori e accenti minimi indispensabili al canto verdiano. Pertanto la resa dell'aria “La pia materna mano” è quasi trascurabile; il duetto con Lida riesce meglio, ma è evidente che il tenore si trova a suo agio solo col canto in forte; infine il finale manca quasi completamente delle mezze voci, dei chiaroscuri e di un minimo di espressività nel fraseggio.

Aurelia Florian appare inizialmente molto più navigata e sortisce con una cavatina ricca di lirismo, di colori e di eleganti filati naturali, che danno un senso alla sua interpretazione di Lida, pur mancando di tinte drammatiche, assolutamente necessarie nell'esecuzione del ruolo. Con la cabaletta arrivano a farsi notare i primi grandi difetti, tra cui poca preparazione nelle agilità, gravi poco udibili e certe raucedini – soprattutto dopo la discesa dal registro acuto – che portano a un canto non sempre pulito. La parte meglio riuscita è il duetto con Arrigo, mentre terzo e quarto atto sono intrisi di numerose incespicate, soprattutto nel recitativo e duetto con Rolando e nella preghiera.

Gezim Myshketa è da sempre un baritono elegante ed espressivo, ma in altro repertorio. La sua vocalità non è sufficientemente dotata di spessore, capacità d'accenti e buon squillo per poter affrontare il repertorio verdiano, soprattutto quello più drammatico. Ad ogni modo, tra un intoppo e l'altro, riesce comunque ad arrivare alla sua bell' aria del secondo atto ornandola di qualche nunaces, ma la voce è troppo stanca, causa inadeguatezza della tessitura, per poter eseguire correttamente la cadenza e la successiva cabaletta.

L'affascinante William Corrò, che prima pronuncia le poche battute del Primo Console, veste i panni di un intrigante Federico Barbarossa, ma l'esecuzione canora si ferma esattamente là dove comincia il canto verdiano. Purtroppo, nonostante sia corretto e intonato, non può ricoprire a dovere un ruolo affidato ad una vocalità ben più scura della sua, facendo così risultare poco consistente il bellissimo concertato del secondo atto.

Voce corposa e ben intonata quella del Marcovaldo di Valeriu Caradja; soddisfacenti Erika Beretti nel ruolo di Imelda e Emanuele Cordaro in quello del Secondo Console e del Podestà; non classificabile l'araldo di Cosimo Vassallo.

 
 
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