La nuova produzione di Ciro in Babilonia dovrebbe essere il fiore all'occhiello della XXXIII edizione del Rossini Opera Festival, ma i dubbi sono piuttosto numerosi.
Innanzitutto la regia concepita da Davide Livermore, pur essendo particolarmente elegante, è poco chiara: non si comprende l'esigenza di rappresentare il dramma come se fosse una vecchia pellicola di inizio ‘900, né si capisce quale sia la ragione dell'interazione tra gli attori e i presunti spettatori di tale film. Inoltre la continua simulazione della rottura o dell'inceppamento della bobina è particolarmente fastidioso per la vista. Infine la comparsa di tableau, come accade nel muto, con la conseguente eliminazione dei sovratitoli, non è certo agevole per i numerosi spettatori che, molto presumibilmente, non hanno mai assistito ad una rappresentazione dal vivo di quest'opera.
I costumi di Gianluca Falaschi sono raffinati tanto quanto la concezione di Livermore, ma altrettanto poco comprensibili: mentre gran parte dei babilonesi vestono abiti che ideologicamente rimandano alla loro epoca, non tutti i persiani sono immediatamente riconoscibili e non appare molto logico – nonostante la dubbiosa visione cinematografica – che Amira sia più riconducibile ad una diva del Liberty.
Le scene e le luci di Nicolas Bovey e il video design di D-Wok sono efficaci nel rendere l'idea di regia, anche se non accessibile a tutti.
Ewa Podles è chiaramente una professionista di livello supremo, dotata di fortissima personalità e presenza scenica ragguardevole, tanto da creare un personaggio veramente intenso, nonostante le tremende lacune del libretto. Purtroppo la sua linea di canto è arrivata al tramonto e si presenta con una disomogeneità tale da cantare con una voce che sembra non essere la sua, sia dopo il passaggio all'acuto, sia nel registro grave. Nulla da dire sull'intonazione, né sull'appoggio, tantomeno sullo stile, ma non si può più dire che l'ascolto sia piacevole. La meritatissima ovazione ricevuta dal pubblico è da riferirsi alla sua grinta e alla sua carriera, ma non alla sua performance.
Jessica Pratt si riconferma sopraffina interprete di questo Rossini, dotata di bel colore, ottimi filati naturali ed eccellenza nei virtuosismi, con acuti e sovracuti perfetti e pulitissimi. Purtroppo, nonostante l'esibizione quasi esemplare, non è stupefacente come in Adelaide di Borgogna, forse complice l'inadeguatezza della regia, ma forse ancor più corresponsabile la staticità della direzione di Will Crutchfield.
Michael Spyres è un Baldassarre dalla voce chiara e duttile e mostra le sue doti – bellissime le note basse – fin dal primo duetto con Amira. La padronanza tecnica, anche se non pregevole, è più che sufficiente a portare in scena col dovuto controllo le sue qualità naturali, dall'intonazione alla stabilità, dal vibrato all'uso degli accenti e la lunga scena della profezia è certamente la pagina meglio riuscita di tutta la rappresentazione.
Robert McPherson è un Arbace brillantissimo e squillante; Mirco Palazzi manca un po' di elasticità nell'introduzione, ma si riprende nel secondo atto; Carmen Romeu è un'Argene corretta, mentre Raffaele Costantini è un Daniello appena sufficiente.
La prova musicale di Will Crutchfield è corretta e ben equilibrata, ma ci si ferma qui. Manca di brio e di verve rossiniana, è povera di colori e di accenti e non pare molto corretta la decisione di non accogliere al fortepiano il maestro collaboratore responsabile Gianni Fabbrini.
Buona la prova dell'Orchestra e del Coro del Teatro Comunale di Bologna.
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