Il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino ha veramente superato se stesso presentando al pubblico Anna Bolena di Gaetano Donizetti, nel già fortunato allestimento di Graham Vick per l'Arena di Verona ripreso da Stefano Trepidi. Un cast di eccellenze, proprio come il complesso dramma richiede, per una serata conclusasi con vere e proprie ovazioni.
L'opera che nel 1830 vide la consacrazione del musicista bergamasco aveva debuttato in contesto fiorentino due anni dopo alla Pergola: a parte altre tre riprese ottocentesche, il capolavoro non era stato più messo in scena, molto probabilmente anche a causa dell'estrema difficoltà esecutiva che richiede interpreti d'eccezione. Incentrata sulla tragica fine della seconda consorte di Enrico VIII (che riesce a farla condannare a morte con l'accusa di adulterio per poter sposare la damigella Giovanna Seymour), Anna Bolena necessita infatti di un cast che ben sappia valorizzare sia gli aspetti canori sia interpretativi inquadrati da Donizetti, che intesse una complessa partitura di cui sono protagoniste figure tutt'altro che scontate.
Tra i vari motivi di forte interesse che questo allestimento suscita, c'è certamente la regia spiccatamente simbolica di Vick, interessato non tanto a restituire la veridicità della vicenda, quando a dare espressione alle varie metafore presenti: lo stesso librettista Felice Romani, del resto, nel suo Avvertimento, precisa come la narrazione vada oltre i fatti storici, interessandosi maggiormente all'aspetto lirico e rendendo Anna una sorta di eroina romantica. Sul palco è montata una pedana semovente articolata in più livelli; vari fondali realizzati con un materiale che consenta alla luce di trasparire vanno a individuare i vari spazi; sullo sfondo campeggia spesso la luna, ora insieme di candele, ora groviglio di spine. Pochi gli oggetti che via via si avvicendano sul palco, anch'essi fortemente simbolici: un'alcova a baldacchino, i due seggi regali, un'enorme spada, i cavalli della battuta di caccia... Legati al periodo storico di ambientazione, i costumi vengono ancora più accesi nei toni, in netta corrispondenza con le passioni che entrano in gioco. Interessantissimo il coinvolgimento dello straordinario Coro del Maggio: impegnati nel commentare gli eventi, alla maniera del coro greco, i componenti diventano essi stessi parte della scenografia, allineandosi ai vari elementi secondo file perfette, parallele o trasversali, sezionando il palco come neri, uniformi pilastri. Il lungo e complesso dramma viene quindi scandito dai movimenti di questi blocchi, viventi e non, su più livelli, creando un affascinante dinamismo che, ora accerchiando i protagonisti, ora creando spazio, va a sottolineare in vario modo i momenti della vicenda.
Straordinaria la direzione di Roberto Abbado alla guida dell'Orchestra del Maggio, che riesce a dare la giusta vitalità alla partitura, anche a quelle sezioni maggiormente “di maniera", ancora legate alla trazione compositiva più canonica. Raramente è possibile apprezzare un cast così ben calibrato e impeccabile: dalla potenza del basso Roberto Scandiuzzi (Enrico VIII), alla limpidezza del tenore Shalfa Mukeria (Lord Percy), fino alla versatilità del mezzosoprano Sonia Ganassi (Giovanna Seymour). Su tutti, splende e trionfa la grande Mariella Devia, un'Anna vibrante, complessa nei vari sentimenti che la animano, inarrivabile nei virtuosismi vocali: la sua interpretazione è tutta un crescendo che trova il suo climax nella pazzia finale, accolta da un vero e proprio delirio di pubblico.
A queste condizioni, ben vengano quindi capolavori più ostici come questo, che meglio possano farci apprezzare la genialità dei grandi personaggi della lirica, dando così modo di cogliere la varietà della loro linfa ispiratrice. Non "solo" L'elisir d'amore, Lucia di Lammermoor (sorella, nella tragica sorte, più famosa di Anna) o Don Pasquale, ma tante altre memorabili pagine come questa, da scoprire e gustare grazie alle stelle del nostro tempo.
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