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»: Recensione de Il Trovatore di Giuseppe Verdi in forma di concerto a Busseto e Fidenza

William Fratti, 16/11/2011

In breve:
Busseto, ottobre 2011 - Nell'ambito del Festival Verdi 2011, a Busseto e a Fidenza va in scena il Trovatore in forma di concerto


L'esecuzione in forma di concerto de Il trovatore, a Busseto e Fidenza, in occasione del Festival Verdi 2011, molto probabilmente effettuata per ragioni economiche, al posto della versione scenica di Aida e La battaglia di Legnano precedentemente annunciate, non va a sminuire la qualità del lavoro del Teatro Regio di Parma, anzi, forse ne avvalora il contenuto. Chi non si aspettava nulla da questo spettacolo, è certamente uscito piacevolmente colpito.

Innanzitutto Michele Mariotti compie le stesse prodezze di Nabucco di qualche anno fa: respira con l'orchestra – i cui musicisti mantengono un naturalissimo sorriso sulle labbra per tutto il tempo – cesellando l'intera partitura di colori e di accenti, non dimentica alcun pianissimo, accompagna i giovanissimi e preparatissimi interpreti col rigore e la dolcezza di un padre saggio e severo, ridando al pubblico una musica verdiana che, pur mantenendo il nervo e il vigore del compositore delle Roncole, sa essere elegante e raffinata, se eseguita nel modo corretto.

Il coreano Ji Myung Hoon, nella difficile parte di Manrico, dimostra di possedere le giuste qualità. La voce c'è tutta ed è bella, coadiuvata di buon squillo e centri sonori che salgono all'acuto in maniera molto omogenea, ma è ancora molto acerbo e pertanto carente di accenti e chiaroscuri. Certamente si tratta di una vocalità su cui investire, bisognosa di tanto studio e poca fretta di fare debutti importanti. Le incertezze in “Deserto sulla terra”, nel Miserere e nei duetti con Azucena sono tante, ma nulla di irrimediabile. “Ah! Sì, ben mio… Di quella pira” e il quartetto finale sono particolarmente degne di nota, soprattutto per l'intonazione, la tenuta e la generosità: oggi, molti tenori ben più famosi, tendono a lasciare al coro la quasi totalità della cadenza della cabaletta per avere l'energia di un si o un do, cosa che non fa il giovane Ji Myung Hoon. Peccato che la paura lo immobilizzi sul palcoscenico fino a non muovere nemmeno un capello.

La cinese Yu Guanqun, in arrivo dalla Scuola dell'Opera Italiana di Bologna, è sorprendentemente perfetta e ritorna immediatamente alla memoria la vittoria della sua conterranea He Hui al Concorso Internazionale Voci Verdiane del 2002. Il fraseggio è ottimo, la dizione è magistrale, l'uso dei colori è particolarmente significativo, tanto da sembrare quello di un soprano esperto, la tecnica è invidiabile – le cantanti europee dovrebbero imparare – i centri sono musicalissimi e ben sostenuti fino all'acuto, la linea di canto è molto omogenea, a cui si aggiunge una recitazione davvero intensa, nonostante l'esecuzione in forma di concerto. La preparazione di Yu Guanqun è così elevata che si nota la mancanza di qualche accento di tradizione, ma talvolta è un toccasana per le orecchie sentire tanta precisione. L'unica pecca è la mancanza dei pianissimi e dei filati, soprattutto in “D'amor sull'ali rosee”, ma è certo che col tempo arriveranno anche quelli.

Il giapponese Hayato Kamie parte un po' in sordina, ma da “Il balen del suo sorriso” mostra apertamente il suo fraseggio elegante ed espressivo, la ricchezza di sfumature e cromatismi, perfettamente all'unisono con la guida di Mariotti e l'Orchestra del Teatro Regio, lo squillo baritonale fresco e pulito. Ottima è la resa del duetto con Leonora in quarto atto. Anche per Hayato Kamie la preoccupazione gioca un brutto scherzo, ma forse più che di paura si tratta di timore riverenziale: cantare a Busseto, nel Teatro e durante il Festival dedicati a Verdi, ha un suo significato, anche se oggi molti non lo tengono più in considerazione.

L'americana Nicole Piccolomini, dotata di bel colore, timbro scuro e tanta voce, ha purtroppo dei seri problemi d'intonazione e negli acuti, oltre agli attacchi che sono quasi tutti sporchi. Il mezzosoprano sopperisce alle mancanze con un notevole volume, una presenza scenica molto importante e una buona recitazione. Purtroppo alla fine della lunga scena di secondo atto “Stride la vampa… Condotta ell'era in ceppi… Ma nell'alma dell'ingrato… Perigliarti ancor languente” risulta essere quasi afona.

Il georgiano George Andguladze possiede la classica precisione e preparazione dello studente modello e pur non avendo lo spessore e il recitativo che solo l'esperienza potrà dargli, mostra un buon accento e un bel fraseggio, oltre a delle accurate agilità che dispiega più che correttamente lungo la difficile aria di “Abbietta zingara”.

Completano il cast Norbert Nagy ed Eugenio Masino negli efficaci ruoli tenorili di Ruiz e di un messo, oltre a Tania Bussi e Riccardo Certi. Ottima la prova del Coro del Teatro Regio di Parma guidato da Martino Faggiani, soprattutto nell'intenso e commovente Miserere.

 
 
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