Il Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona inaugura la Stagione Lirica 2011-2012 con Don Carlo di Giuseppe Verdi, proposta nella versione in italiano in quattro atti.
Purtroppo il clima che si respira non è dei più felici, a causa dei recenti e gravi problemi economici e finanziari che attanagliano l'amministrazione teatrale, e ciò si sente anche in sala.
L'Orquestra Sinfònica Portuguesa e il Coro do Teatro Nacional de São Carlos non sono attenti e precisi come di consueto e questo va a inficiare tutta l'esecuzione.
Sicuramente complice è la direzione tutt'altro che verdiana di Martin Andrè, che ha un gesto troppo ampio, manca di accenti drammatici, non ha colori né sfumature, i suoni sono sempre legati e l'orchestrazione è abbastanza povera, pur avendo a che fare con la partitura di un grand-opéra.
Invece lo spettacolo moderno ideato da Stephen Langridge dona un certo valore aggiunto a questa inaugurazione, del quale certamente va apprezzato il lavoro svolto sui singoli personaggi. Forse le scene costruite da
George Souglides sono un po' spoglie, ma ciò aiuta ad entrare maggiormente nell'atmosfera dittatoriale, trasposta in un ipotetico XX secolo, da cui si evince facilmente che non vi è nulla di diverso rispetto ai rigori delle monarchie assolute. I
costumi, sempre di George Souglides, sono ben confezionati e contribuiscono positivamente, come le
luci di Giuseppe di Iorio, alla buona resa della rappresentazione.
Il regista inglese riesce a lavorare minuziosamente con ognuno degli interpreti: il gesto, lo sguardo, il movimento, la posizione, sono tutti studiati nello specifico, nulla è lasciato al caso e il risultato è più che ottimale.
A vestire i panni di Don Carlo è il cileno Giancarlo Monsalve, che gode di un'ottima presenza scenica oltre ad essere un buon attore, ma numerose sono le mancanze sul piano vocale. L'intonazione è buona, ma i centri sono poco corposi, molto opachi e un po' di lucentezza la si può sentire solo con l'acuto. Anche l'uso dei colori e degli accenti non è dei migliori, pertanto alcune lunghe scene, come i duetti con Elisabetta, risultano essere particolarmente noiosi.
Non lo aiuta certamente la diva nazionale Elisabete Matos nei panni di Elisabetta di Valois, che con l'avanzare dell'età:, il progredire dell'usura della voce e la frequentazione di un repertorio sempre più spinto e drammatico, perde costantemente di freschezza, la zona centrale, che già oscillava eccessivamente alcuni anni fa, è sempre più compromessa e solo la tecnica, l'esperienza e una grande professionalità le consentono di portare a termine la recita. Si riscatta nell'aria di quinto atto Tu che le vanità, dove trova terreno fertile grazie ai numerosi acuti – ancora belli, puliti e ben saldi – e agli accenti drammatici necessari all'esecuzione.
Enrico Iori è l'unico artista italiano della produzione e porta sul palcoscenico del São Carlos un Filippo II verdiano fino all'ultima fibra. La marcatura dell'accento, l'uso dei colori, l'espressività del fraseggio, l'intensità del recitativo, la musicalità del cantabile, fanno pensare a questo basso come un punto di riferimento per l'interpretazione del canto verdiano. I punti di eccellenza, oltre ai bellissimi duetti con Posa e il Grande Inquisitore, sono il grande concertato di terzo atto e la celebre aria Ella giammai m'amò, dove le già citate qualità della voce di Iori si impreziosiscono di vigore e passione nella recitazione.
Dimitri Platanias, nei panni di Rodrigo, mostra le sue pregevoli qualità baritonali fin dal primo duetto con Carlo, ma è soprattutto con la romanza Carlo ch'è sol che si evidenziano tutte le sue doti liriche. Il duetto con Filippo II è un chiaro esempio di vocalità verdiana e la doppia aria della morte è resa con ottima interpretazione e musicalità. Purtroppo le capacità di attore del baritono greco non sono delle migliori, ma c'è sempre speranza di perfezionamento.
Enkelejda Shkosa si rivela essere un'eccellente belcantista, dotata di tecnica importante, ma allo stesso tempo è evidentemente poco adatta a questo tipo di repertorio. Il ruolo della Principessa Eboli è sempre più spesso avvicinato, per diversi motivi, dai mezzosoprani provenienti dal belcanto, ma pur essendo intriso di numerosi acuti, necessita di un'impostazione completamente differente, da cui derivano dunque tutte le difficoltà. Proprio per questo la cantante albanese si trova a dover procurare maggiore corposità al proprio registro centrale, perdendo efficacia negli acuti, che deve tenere sempre molto corti. Altrettanti problemi la investono sul piano del volume, che nei momenti più intensi, come nel terzetto con Carlo e Rodrigo, non è sufficiente a oltrepassare l'orchestrazione verdiana. Ma pur non essendo adatta al ruolo, lo esegue con perizia, grande musicalità e l'interpretazione, soprattutto in O don fatale è davvero intensa.
Ayk Martirossian è un adeguato Grande Inquisitore, dotato sia di appropriati gravi, sia di acuti, ma svilisce la sua esecuzione vocale riempiendola di versi e di suoni, che forse crede donino maggiore drammaticità, e invece la ridicolizzano. Buona la resa del personaggio.
Completano il cast dei solisti i poco efficaci Joana Seara, Màrio Redondo, Bruno Almeida, Marco Alves dos Santos nelle rispettive vesta di Tebaldo e una voce dal cielo, un frate, il Conte di Lerma e l'Araldo reale.
Decisamente migliori i sei solisti impegnati nella piccola, ma tutt'altro che semplice, parte dei deputati fiamminghi, che riescono a uniformare le proprie voci creando un amalgama davvero interessante. Molto buona anche la prova degli inquisitori.
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