In breve: Per i lettori di Liricamente il tenore Marcello Giordani ha rilasciato una simpatica intervista raccontando la sua esperienza e i progetti per il futuro... ma basta con le anticipazioni e non perdetevi le sorprese di questa lettura!!!
All'apice della sua carriera Marcello Giordani ha deciso di "investire" tempo e risorse a beneficio della lirica e dei giovani cantanti creando una Fondazione che organizza Concorsi, Audizioni e Masterclass finalizzate a diffondere la cultura dell'opera e a premiare la professionalità dei giovani artisti che con umiltà e spirito di sacrificio desiderano migliorare la propria arte. Per i lettori di Liricamente ha rilasciato una simpatica intervista raccontando la sua esperienza e i progetti per il futuro... ma basta con le anticipazioni e non perdetevi le sorprese di questa lettura!!!
1) Come ha iniziato lo studio del canto lirico?
Cominciai a studiare nel 1983. Poi, esattamente venticinque anni fa, nel 1986
debuttai. Il tutto, quasi come una scommessa tanto che, al mio paese, Augusta in
Sicilia, erano in pochi a credere che ce l'avrei fatta. Molti mi prendevano per
un folle che viveva di chimere e di sogni di gloria, altri mi deridevano
esortandomi ad “andare a lavorare”. Quando poi debuttai a Spoleto nel
Rigoletto e quando iniziai a cantare “sul serio”, tutte le prefiche, i
corvi, e tutti quelli che non avrebbero mai scommesso su di me, diventarono
immediatamente i mentori della mia carriera e cominciarono a capire che non
stavo giocando. A venticinque anni di distanza dall'inizio della mia
carriera, quando ci rivediamo, sorridiamo insieme ricordando quei momenti.
2) Con chi ha studiato? Quando si è sentito padrone della sua
tecnica? Ho cominciato a studiare canto a Catania con il
soprano Maria Gentile, già maestra di Salvatore
Fisichella. A lei devo grandi insegnamenti di vita che mi hanno aiutato
ad affrontare meglio questo mestiere. Mi ha insegnato soprattutto quanto sia
importante essere umile e quanto serio debba essere lo studio: approfondimento,
umiltà e un pizzico di temerarietà. Dopo tre anni di sereni studi a Catania, mi
trasferii a Milano con la speranza di trovare L'ELDORADO della tecnica. Vorrei
soprassedere su quegli anni e concentrarmi sui successivi, dal 1994 ad oggi:
anni di intenso e serio lavoro tecnico-interpretativo con il mio attuale
maestro, Bill Schumann, sempre alla ricerca della “perfezione”. Per rispondere
alla sua domanda: credo che forse oggi, a 48 anni, posso dire di conoscere bene
la mia voce, di saperla plasmare e gestire. Nel tempo, siamo diventati veramente
“amici”. Con ciò intendo dire che ho smesso di avere patemi d'animo per il
timore magari di poter perdere la voce. Se ti senti bene con te stesso, se hai
raggiunto una maturità non solo artistica, ma umana, se ti senti realizzato e,
soprattutto, se hai messo al centro della tua vita la lista delle reali
priorità, allora puoi veramente sentirti appagato e sereno per affrontare questo
lavoro al meglio.
3) Quando ha debuttato?
Nel 1986 vinsi il Concorso di canto di Spoleto, e quello stesso anno ci fu il
debutto professionale come Duca di Mantova in Rigoletto
al Festival di Spoleto. Il debutto negli Stati Uniti invece è
stato nel ruolo di Nadir per Les Pêcheurs de Perles
alla Portland Opera durante la stagione 1988-89. Hanno fatto
seguito debutti al Teatro alla Scala di Milano come Rodolfo
ne La Bohème nel 1988, e al Metropolitan Opera di New
York come Nemorino nell'Elisir d'Amore nel
1993.
4) Sono stati più importanti gli insegnanti di canto o
gli agenti lirici? Entrambi. L'importante è affidarsi alle
persone giuste. Ho conosciuto il mio primo agente a Spoleto, Gianni
Lupetin, e qualche anno dopo, in una prova di Butterfly a Fano, un
agente americano, Matthew Laifer, che mi ha fatto fare la
gavetta vera nei teatri americani per più di dieci anni. Oggi ho un solo agente
italiano, Virginio Fedeli, che oltre ad essere un grande
manager è, soprattutto, un amico e un “essere umano” con il quale poter parlare
e confrontarsi in modo costruttivo. Qualità rara oggi in teatro.
5) Per la sua esperienza è meglio cantare in Italia o all'estero?
Le posso dire che la mia esperienza americana è stata assai formativa dal lato
psicologico. Anche oggi trovo un pubblico assai più partecipe, con questo non
voglio dire più sprovveduto. L'applauso sfrenato, l'attesa dei fans nel
backstage, le lettere che si ricevono, appagano e ripagano l'artista degli
sforzi sul palcoscenico. In Italia, ahimè, questo succede ormai assai raramente.
6) Quali sono le caratteristiche del teatro d'opera dei giorni
nostri? A livello generale la situazione globale non è rosea
però all'estero, a differenza del nostro paese, pur soffrendo della crisi
economica, gli spettacoli sono sempre di alta qualità. In Italia la crisi ha
forse colpito più che negli altri paesi, poiché vedo con grande tristezza,
quanto marginale è diventato il Teatro e il mondo culturale in genere.
Bisognerebbe fare più formazione nelle scuole, avvicinare i giovani a questo
mondo e farli appassionare: non dimentichiamoci che l'opera ha radici profonde e
lontane nella nostra cultura e andrebbe valorizzata, protetta e fatta conoscere
di più alle nuove generazioni. Dopotutto, l'abbiamo inventata noi italiani!
7) Dalle testimonianze di artisti del passato ci viene detto che
oggi non si tiene più conto della tradizione e che il teatro d'opera non è più
come una volta, per questo il grande pubblico diserta i teatri perché non si
emoziona più come prima. Lei cosa ne pensa? È d'accordo? Il
pubblico da sempre va a Teatro per provare emozioni, vuole sognare e immergersi
completamente nell'atmosfera delle opere. Ama le voci, ama i cantanti, i
direttori e i compositori, tanto da aver creato nel tempo i propri miti e
beniamini, ma non ama così tanto chi, per il semplice fatto di dover fare
notizia, sconvolge i drammi, creando a volte produzioni irriconoscibili. Oggi
nei cartelloni si parla dell'ennesima “Traviata di” e non della Traviata di
Verdi! Cosa s'intende per tradizione? Bisogna capire veramente cosa si vuole:
se per annullare la “tradizione” si intende sconvolgere la tematica, la storia,
l'idea drammatico-musicale dell'opera solo per “fare notizia” nel bene o nel
male, allora dico no. Non sono d'accordo. Se, al contrario, intendiamo creare
qualcosa di innovativo per valorizzare lo spettacolo, facendolo diventare
“valore aggiunto” allora ben vengano le cosiddette regie alternative, purché nel
rispetto e in nome del Teatro. Il fatto che il pubblico non va quasi più a
Teatro non è dato solo da questo, ma dal fatto che l'artista è diventato quasi
superfluo. Le conferenze stampa, quelle sì invece sono veramente deserte,
sono diventate “accademie per i registi“ (non tutti per fortuna!), che da buoni
imbonitori speculano su cosa veramente avrebbe voluto Verdi, Puccini o Rossini,
magari non sapendo nulla di opera lirica. I cantanti sono diventati meri
esecutori di note, troppo spesso senza più emozionarsi e far emozionare. Poiché
“le nostre lagrime son false” (sic!) trovo questo ruolo poco generoso per noi
artisti: se io per primo non provo un'emozione come posso pretendere che la
provi il pubblico?
8) Cosa manca alla lirica di oggi?
Tante cose. Ma quella più eclatante è la spontaneità. Nel modo di cantare, nel
modo di interpretare, nel modo di andare a Teatro. Quella spontaneità che faceva
ridere e piangere il pubblico. Spontaneità di emozioni, di sensazioni.
9) Un anno fa ha creato una Fondazione in America per aiutare i
giovani e quest'anno un Concorso Internazionale sebbene all'apice della propria
carriera, perché? Già, di solito i Concorsi vengono dedicati a
cantanti del passato per onorarne la memoria, non parliamo delle Fondazioni.
Io ho voluto dare un segnale concreto nel mondo dell'opera lirica anche per dare
un ulteriore significato a questi primi 25 anni di carriera. I giovani, al
giorno d'oggi, fanno sempre più fatica, il mercato è diventato troppo
competitivo e soprattutto non si hanno molte occasioni per farsi notare sul
serio. Purtroppo so molto bene quanta fatica si debba fare all'inizio.
Promisi a mio padre che mi sarei sempre ricordato delle mie origini e dei tanti
sacrifici che ho dovuto sostenere per intraprendere questo mestiere e che, se
avessi avuto la possibilità, avrei aiutato i giovani, che considero il nostro
futuro. E' proprio in questo momento della mia vita, all'apice della mia
carriera, che sentivo importante creare qualcosa di significativo per sentirmi
realizzato come artista e come uomo. La Fondazione è nata per mia volontà e
di mia moglie Wilma, che da sempre mi è vicina e condivide con me tutte le
decisioni importanti della mia vita, credendo negli stessi valori e negli stessi
ideali. E' anche grazie a lei se ho lo stimolo e il coraggio di andare magari
controcorrente, mettendomi al servizio degli altri, anche con il rischio di
ricevere molte critiche. Anche il Concorso l'ho voluto con tutte le mie
forze. L'ho fortemente desiderato in Sicilia come prima edizione perché è la mia
terra e, artisticamente, sono molto affezionato al Teatro Bellini di Catania. Ho
cercato di offrire qualcosa di nuovo, a partire dall'abolizione della tassa di
iscrizione che a volte grava troppo sulle tasche dei giovani. Se bisogna andare
incontro a qualcuno in modo disinteressato, non si devono fare speculazioni. In
più, ho voluto una giuria solo di direttori artistici e agenti che, in amicizia,
hanno scelto di farsi coinvolgere in questo progetto. Vedere 150 ragazzi
provenienti da tutto il mondo arrivare a Catania per il Concorso è stato davvero
incredibile. Alcuni di loro hanno avuto opportunità lavorative da più Teatri e
non solo i vincitori: di questo sono molto orgoglioso. Con alcuni dei ragazzi
poi, abbiamo già fatto insieme dei concerti a Catania e ad Augusta, il prossimo
sarà a New York il 31 ottobre per il Gala annuale della Fondazione, durante il
quale quest'anno daremo il premio alla carriera alla grande Renata Scotto. Sono
doppiamente emozionato.
10) Progetti futuri con i giovani?
A settembre, sempre in collaborazione con il Teatro Bellini, farò una
masterclass e un ciclo di lezioni provate: mi piace lavorare con i
giovani e lo trovo molto formativo anche per me stesso. Gli impegni
lavorativi sono tanti ma voglio riuscire a conciliare la mia carriera con la
didattica continuando ad aiutare i giovani: volere è potere! Dall'anno
prossimo il Concorso sarà sia in Italia che in America, per dare la possibilità
a più ragazzi di esibirsi davanti ad una giuria internazionale e con la
possibilità di debuttare per un titolo messo a Concorso: per me una competizione
internazionale deve essere un po' come un'audizione importante con direttori
artistici e agenti in grado di farti poi lavorare, non la vincita di una somma
di denaro, che può far tanto comodo, ma fine a sé stessa.
11) Cosa
insegna ai suoi allievi? E quali sono le caratteristiche che deve avere un
cantante che vuole fare carriera oggi? Che vale di più un atteggiamento
mantenuto con la tolleranza e la perseveranza, che cento successi ottenuti con
l'arroganza. Cosa voglio dire con questo? Mi piacerebbe che i giovani
avessero contezza di ciò che li ha sfiorati nella vita. Tenere ben presente che
il talento ricevuto deve essere ben conservato, curato, con grande parsimonia e
con tanta umiltà. La pazienza, la cura del proprio strumento e, soprattutto,
quando se ne è consapevoli, cercare di affrancarsi dai falsi amici, dai “grandi,
ottimi, saccenti consiglieri”, quelli che credono di saperne sempre di più.
Bisogna avere la fortuna di potersi circondare di amici che ti dicano sempre la
verità, anche quando hai fatto male. Sono loro le tue orecchie.
L'esaltazione, il complimento esagerato, la comparazione con altri grandi
artisti del passato e/o “l'adulazione” sono il cancro per la carriera di un
giovane. La mia fortuna è stata quella di avere sempre avuto accanto persone
oneste, sincere che mi hanno fatto stare con i piedi per terra, a cominciare
dalla mia famiglia. Tutto il resto viene dopo, ma senza questi presupposti è
bene non avventurarsi. Una carriera che duri nel tempo richiede umiltà,
sacrificio e spirito di autocritica, anche se a volte è difficile.
12)
Quali sono i limiti per un cantante che oggi vuole fare carriera? Diciamo che
molti non se ne pongono. Hanno questa frenesia di debuttare e diventare star, se
possibile, in una notte. Ci sono molti ragazzi invece che, con grande spirito di
sacrificio, riconoscendo i propri limiti, riescono a spuntarla. Una piccola
parte, e mi auguro si assottigli sempre più con il tempo invece, pensa solo al
guadagno immediato, tenendo tutto nella mediocrità assoluta e sprecando in pochi
anni il dono ricevuto gratuitamente da Dio, compiendo un delitto per non aver
saputo utilizzare il talento donatogli.
13) Ci racconti un aneddoto
simpatico e divertente della sua carriera Credo sia stato alla Scala alcuni
anni fa. Turandot, atto IIº: Calaf deve indovinare i tre enigmi. Ebbene, ho
scambiato le risposte! Sangue come prima, e speranza come seconda risposta.
Attimo di panico ma il Coro, più sveglio di me, per salvarmi risponde:
SPER-ANGUE o qualcosa del genere. E' stato un momento di grande imbarazzo, ma
decisamente assai divertente.
14) Prossimi impegni? A settembre Faust
ad Amburgo, Tosca a Berlino. Trovatore a Salerno e Palermo, oltre che Carmen,
per poi tornare al Met con Butterfly e a Chicago con Aida. Poi, di nuovo la mia
amata Cavalleria Rusticana a Parigi la prossima primavera e ancora Tosca a
Vienna.
15) Qual è il palcoscenico che l'ha emozionata di più? Tutti,
anche il meno importante. Quando calpesto il magico legno mi emozione sempre e
la magia inizia.
16) Qual è il peggior difetto di Marcello Giordani?
Forse prendermi troppo sul serio, con il rischio di essere troppo critico con me
stesso e accentratore.
17) E il suo miglior pregio? Fidarmi SEMPRE
dell'Uomo oltre alla mia pazza generosità. Chissà, forse sono da considerare
difetti?
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