In breve: In vent'anni di carriera Luisa Maragliano, soprano drammatico d'agilità, ha calcato i palchi di tutto il mondo diretta dai direttori d'orchestra e registi più celebri del panorama lirico, a fianco degli artisti eccellenti del periodo d'oro della lirica. Sempre amata ed apprezzata dal grande pubblico, ha rilasciato una piacevole intervista ai microfoni di Liricamente tutta da leggere ed ascoltare!
Di origini genovesi, Luisa Maragliano debuttò nel 1955 al
Teatro Carlo Felice di Genova in una delle Fanciulle Fiore nel
Parsifal di Richard Wagner, scelta dopo un'audizione dal direttore d'orchestra
Tristano Illersberg (figlio del compositore Antonio Illersberg), che successivamente divenne suo marito.
Nel 1959 debuttò a soli 28 anni all'Arena di Verona, come protagonista de La forza del destino in sostituzione di Antonietta Stella.
In vent'anni di carriera, ha cantato in tutti i principali teatri del mondo:
La Scala di Milano, San Carlo di Napoli, Teatro dell'Opera di Roma, Staatsoper di Vienna, Metropolitan di New York, Opera di Chicago, Teatro Colón di Buenos Aires. A seguito della malattia del marito ha poi abbandonato la carriera dedicandosi successivamente
all'insegnamento.
Rimasta vedova, nel 2000 si è risposata con il tenore Enzo Consuma.
Grazie all'amicizia che lega la signora Maragliano al sig. Francesco Mancuso, direttore artistico dell'associaziona
AMG Classica di Genova, ha accolto con molta gentilezza il nostro invito a fare una piacevole intervista per tutti i nostri lettori!
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sul seguente link per ascoltare l'intervista, attendendo, però, che il file venga scaricato):
Intervista a Luisa Maragliano
(30 MB)
Da parte di tutto il team di Liricamente, la ringraziamo molto per la gradita disponibilità a voler rispondere ad alcune nostre domande.
Poterla intervistare è grandissimo piacere perché siamo grandi estimatori della sua arte, della sua voce e delle sue sentite interpretazioni.
Più che un'intervista questa vuol essere una conversazione amichevole ripercorrendo i suoi studi, la sua carriera raccontandoci le fatiche e le gioie di una grande cantante lirica.
Come ha iniziato lo studio del canto lirico? Io sono una persona molto fortunata perchè ho conosciuto giovanissima il maestro Illesberg, che è poi diventato mio marito, il quale mi ha fatto subito capire le difficoltà dello studio del canto.
Mi ha fatto debuttare per capire se avevo la forza psicofisica per stare in palcoscenico e poi mi ha tenuto ferma due anni prima di lasciarmi cantare ancora.
La strada per arrivare ad essere qualcuno è difficilissima: tanto studio, tanti sacrifici, rendere molto. Bisogna fare la vita dell'atleta: grandi ritiri e molto allenamento.
Bisogna poi avere fiducia del proprio insegnante: è inutile cambiarne molti. Se si ha fiducia bisogna seguire sempre lo stesso. Naturalmente bisogna essere molto onesti e sinceri, bisogna sempre dire all'insegnante tutti i problemi che si hanno al fine di adottare
il sistema migliore per superare l'ostacolo.
Questo serve anche per salvaguardare il proprio strumento perchè se noi ci guastiamo una corda, non possiamo poi andare da Ricordi a comprarne una nuova e siamo rovinati tutta la vita.
Grande attenzione, quindi, al nostro organo vocale, fiducia nell'insegnante e tanto, tanto studio perchè è molto difficile.
Quando io ho incominciato a fare qualcosa di importante, di fianco a me avevo colleghi mostruasamente bravi, dei veri miti.
Fare una discreta figura (non pretendo trionfare) di fianco a loro era già un grande risultato.
Noi andavamo a dormire presto, parlavamo poco.
Spesso quando avevo molte recite (come a Caracalla che avevo tredici, quattordici recite di seguito di Aida) parlavo poco, addirittura scrivevo per non parlare.
Ero la moglie di un direttore d'orchestra, pertanto dovevo essere molto preparata anche musicalmente per non mettere in difficoltà i colleghi di mio marito che si sarebbero trovati in una situazione imbarazzante a dovermi riprendere.
Il mio percorso quindi è stato questo: ho studiato tanto con un direttore d'orchestra, che a sua volta veniva da un altro grande maestro (suo padre, il compositore Antonio Illersberg).
Io oggi avrei un problema ad insegnare ai ragazzi, perchè insegnerei quello che hanno insegnato a me, ma è davvero troppo dura e non credo che mi seguirebbero.
Cosa ha fatto in quei due anni in cui non ha calcato il palcoscenico?
In quei due anni ho fatto una rieducazione vocale, perchè inizialmente cantavo da mezzosoprano calcando molto sulle note gravi e avendo difficoltà sugli acuti.
In quei due anni il maestro mi ha fatto esercitare molto sui semitoni per eguagliare la voce, per far suonare le corde nel terzo inferiore.
Naturalmente mi ha preparato anche musicalmente.
Quando ero più giovane avevo cantato anche Cavalleria Rusticana, poi avevo un cugino che cantava come corista al Carlo Felice e avevo studiato anche dal suo maestro, ma un conto è studiare da corista (con tutto il rispetto per gli artisti del coro), diversa
è la preparazione che serve per fare la carriera da solista.
Quanto tempo impiegava per studiare un ruolo?
Quando sono arrivata di tempo per studiare ce n'era abbastanza, ma non sempre: ad esempio, abbastanza tragica è stata la mia entrata alla Scala, perchè in cinque o sei giorni ho dovuto studiare Mosé di Rossini. Io non ero abituata a cantare Rossini, però avendo
vicino l'uomo che avevo sono riuscita a farlo.
Poi si prende una certa abitudine.
In genere, però, si sapevano i ruoli con un anno di anticipo, quindi si studiavano, poi si lasciavano riposare per un po' di tempo, e poi si riprendevano, aggiungendo sempre qualcosa di più.
Era difficile se si cantava contemporaneamente autori diversi, perchè prima di cantare un autore, facevo uno studio sulla vocalità che seviva e preparavo la voce per quel ruolo.
Se cantavo Guglielmo Tell il maestro mi alzava la voce, se cantavo Cavalleria la abbassavamo. C'era tutto un meccanismo per adattare l'apparato alla partitura. Non mi inventavo dall'oggi al domani, se non per necessità.
Allenavo prima le corde vocali al ruolo che dovevo sostenere.
Pensi che per l'arietta della Luisa Miller, da soprano leggero, ho dovuto adattare la voce e studiare per dieci anni prima di farla in un certo modo. Questo non significa che per dieci anni ho cantato quell'aria prima di esibirla, ma significa che ho appreso
una tecnica e una sicurezza tale del mio strumento che mi ha poi consentito di adattare un'aria da soprano leggere alle mie corde da soprano drammatico d'agilità.
Una volta si stava molto attenti alle distinzioni dei repertori, oggi le noto meno. Io avevo un tipo di repertorio e i colleghi che facevano il mio stesso repertorio erano più o meno sempre gli stessi.
Quali sono le basi della sua tecnica di canto?
Le mie basi di tecnica di canto sono gli armonici. Tutta la mia voce è basata sugli armonici. Avendo cantato moltissimo in spazi aperti come le arene, opere come Nabucco, Aida... era importante che la mia voce si sentisse e passasse l'orchestra per arrivare
al pubblico. E' stato un alzare la voce e portarla sugli armonici della maschera.
Il mio desiderio era che la mia voce fosse uno strumento.
Il mio orgoglio è che tutti i grandi critici hanno ammirato la mia tecnica, che mi permetteva di superare le orchestre, il coro, il vento, le cicale di Caracalla che cantavano più forte di noi!
Ma allora erano lezioni di tecnica di canto o di fisica?
Erano lezioni di tecnica vocale, però ci vuole un orecchio assoluto che sente gli armoni ci della voce.
Ci sono delle voci grandissime che risuonano importanti in una sala, ma che non hanno l'altezza dell'armonico e in un ambiente più vasto si perdono.
Quando partono gli strumenti dell'orchestra, sono armonici puri e costituiscono un muro per la nostra voce, se non risuona giusta.
A Parma abbiamo fatto un Requiem in duomo con trecento tra coro e orchestra. Come facevamo a superarli, se non usando gli armonici?
Come si fa a mantere gli armonici alti?
Serve il fiato, sempre. La gola è apertissima, quindi l'aria passa e il suono delle corde vocali risuona nella maschera prendendo tutti gli armonici.
E' molto difficile però tenere la gola larga, dosare bene il fiato e condurlo alla maschera.
Poi ci sono tutte le regole che ogni voce deve rispettare: io facevo il passaggio sul fa. Ho sempre rispettato il passaggio della voce per andare alla maschera.
Dopo la tecnica, parliamo di qualcosa di divertente: ci racconti un aneddoto simpatico della sua carriera...
Guardi, non ne ho tanti, perchè ero sempre preoccupata per quello che dovevo fare, però una cosa simpatica ce l'ho da raccontare!
Ero a Chicago a fare Un ballo in maschera. Terminate le mie recite sono tornata a Milano. Appena entrata in casa, suona il telefono e da Chicago mi richiamano disperatamente perchè
Renata Tebaldi si è ammalata dopo la prova generale di Manon Lescaut.
Ritorno a Chicago ed entro in camerino. Appesi nel camerino ci sono i costumi di
Renata Tebaldi... La sarta, imprudente, me ne infila uno.
Ecco, facevo lo stesso effetto del nano Cucciolo di Biancaneve con il costume che abbondava da tutte le parti: io peso sessanta chili e sono molto più corta di Renata Tebaldi!
La risata che mi son fatta davanti allo specchio mi ha aiutato a rilassarmi, perchè ero tesissima: subentravo, senza nessuna prova d'orchestra, in un'opera allestita per
Domingo e la Tebaldi! Naturalmente poi fu provveduto e mi diedero dei costumi più adatti a me.
Un altro episodio è avvenuto a Filadelfia. Io venivo da cinquanta recite di
Traviata in tedesco a Vienna. Arrivo il giorno della generale e al momento dell'attacco del "Sempre libera" sono partita in tedesco. Non le dico, la disperazione del maestro che mi guardava con certi occhi... Poi però mi sono ripresa e ho
continuato in italiano.
Io però ero molto associale, non facevo molta vita mondana.
Qual è il palcoscenico che l'ha emozionata di più?
Sempre La Scala.
Come le ho accennato prima, il mio debutto è avvenuto con Mosè, che avevo "appiccicato lì", ma poi sono tornata molte altre volte ed ogni volta che arrivavo nella piazza davanti al teatro mi veniva voglia di scapparmene via perchè provavo sempre tanta, tanta
emozione.
Devo dire, che allora alla Scala cantavano sempre degli artisti eccezionali e quindi era emozionante anche per quello.
Inoltre, sempre relativamente a quel Mosè, fui recensita dal grande Eugenio Montale che per un breve periodo scrisse le recensioni delle "Prime" della Scala.
In quell'occasione ebbi una bellissima recensione. "Nuova alla Scala, ma già in possesso di un vasto repertorio, Luisa Maragliano è stata un'Anaide di notevole virtuosismo ed ha stravinto l'ardua prova. Il successo è stato pari alla complessiva eccellenza
dell'esecuzione.".
Che dice, questo basta ad emozionarmi, vero?
Come si fa a cantare più di 500 volte Aida riuscendo sempre ad emozionare il pubblico?
Come avrà capito, io sono un'estroversa, e in questo personaggio mettevo molto di me stessa, della mia anima, delle mie emozioni. Facevo poi sempre ogni volta una ricerca di miglioramento. Tutto partiva sempre dal mio cuore. Pensi che una volta a Parigi, proprio
con Aida, sono scoppiata in pianto perchè era una cosa bellissima.
Fuori ero musona e chiusa, ma sul palcoscenico ero estroversa ed ora, che non canto più, lo sono ancora!
Cosa manca alla lirica di oggi?
Secondo me i ragazzi oggi non hanno la visione chiara di ciò che era la tradizione, o forse vengono invitati a non rispettarla.
Io potrei tranquillamente dire ai giovani "Mascagni vorrebbe la Cavalleria cantanta così", e non per grazia ricevuta, ma perchè mio suocero collaborava spesso col maestro
Mascagni (ho delle splendide foto d'epoca che testimoniano le loro collaborazioni), ma forse oggi mi risponderebbero "Non è più di moda, così". Lo stesso discorso potrei farlo per
Andrea Chénier, per Siberia, perchè ho avuto il piacere di cantare con Sara Giordano vivente. Sia
Sara Giordano sia la città di Foggia mi hanno insignito del Giordano d'oro dicendo "Questo è lo Chénier come lo voleva il maestro". Io potrei dare questo, ma non lo si vuole. Eppure qui si risale agli autori, ma c'è qualcuno che pensa
di saperne più degli autori, quindi io mi arrendo.
I giovani dovrebbero prendere da noi, che veniamo dalla tradizione che ci è stata trasmessa dai questi grandi maestri e dai grandi registi, come
Luchino Visconi, Franco Zeffirelli e cercare di fare queste belle cose.
Le cose, anche per farle a quei livelli, occorre uno studio non da poco.
Per il Falstaff a Firenze abbiamo fatto 40 giorni di prove di scena.
Purtroppo, però, oggi la tradizione non conta più.
Forse è per questo che si svuotano i teatri?
Quando cantavamo noi c'era gente che faceva la fila fin dalla notte per prendere il biglietto alla Scala. Oggi non so, perchè io mi sono ritirata.
Intanto adesso noi stiamo insegnando alla Cina, al Giappone, alla Corea, perchè sono molto più ligi e studiosi di noi e i risultati si vedono e si sentono!
Quali sono le qualità che deve avere un cantante lirico?
Prima di tutto il cervello, perchè la sola voce non mi basta. Vicino alla bella voce, serve una bella intelligenza, una buona volontà e molto spirito di sacrificio.
Qual è il peggior difetto di Luisa Maragliano?
Sono possessiva e gelosa. Divento una furia quando mi si mente. La menzogna e essere colpita alla spalle mi urta molto.
E il suo miglior pregio?
L'amore. Per amore ho smesso di cantare per seguire mio marito che era malato di tumore. Stavo cantando Luisa Miller alla Scala e ho smesso di cantare. L'ho curato per dieci anni. Lui se lo meritava, abbiamo lottato contro la morte e speravamo che guarisse,
invece ha vinto la morte.
aPer amore da anni seguo mia mamma che ha oltre cent'anni e non sono quindi più andata in giro. Lotto per mantenerla viva e bene come sta adesso.
La vita purtroppo mi ha tolto il marito, ma mi ha lasciato la mamma.
Per amore ho aiutato tanti bimbi abbandonati e Papa Montini mi ha mandato anche una benedizione speciale.
Ho anche un grande amore per gli animali.
Credo di avere un gran cuore aperto.
E' stata gentilissima e ci ha raccontato molte cose interessanti. E' stato un piacere grandissimo.
Grazie per questa intervista e grazie per la bellezza della sua arte!
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