Il Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste conclude la
Stagione Lirica 2010-2011 con una ben poco dignitosa esecuzione di Lucia
di Lammermoor, molto lontana dalla tendenza degli ultimi anni che vuole
un ritorno del melodramma alla partitura originale. Il recente orientamento di
molti teatri di ripulire le opere più popolari dai tradizionalismi, che nel
corso del tempo le hanno sempre più allontanate dalla concezione autentica del
loro compositore, è completamente ignorato da questa edizione triestina: la
prima aria di Raimondo “Ebben? Di tua speranza… Deh, cedi, o più
sciagure… Al ben de' tuoi qual vittima” e il celebre duetto della torre
“Orrida è questa notte… Qui del padre ancor s'aggira… O sole più rapido a sorger
t'appresta” sono tagliati, come quasi tutte le seconde strofe e pressoché
tutti i da capo.
Lo
spettacolo firmato da Giulio Ciabatti è molto noioso, non dice
nulla di diverso da ciò che già si conosce ed è evidente la sua mancanza di
idee, di intenti e di nuovi spunti drammatici, in quanto i protagonisti si
muovono ognuno per conto proprio, senza coesione, dimostrando che hanno dovuto
interpretare i rispettivi ruoli attingendo dalle proprie pregresse esperienze
personali. Le stesse note di regia pubblicate sul libretto, dove si legge una
certa poesia in parte toccante, non aggiungono alcunché alla già nota storia di
Scott.
Le scene di Pier Paolo Bisleri danno un impatto molto
positivo all'apertura del sipario, ma si rivelano presto molto monotone –
perfettamente in linea con la noia della regia – e l'unico elemento visivamente
accattivante – il pavimento – si dimostra presto essere un ambiente ostile, che
tiene i cantanti costantemente in bilico per tutta l'opera, come se stessero
camminando sugli scogli.
Più gradevoli sono i costumi ottocenteschi di Giuseppe Palella,
mentre le luci di Nino Napoletano passano inosservate: non
disturbano, ma nemmeno danno quel minimo di suggestione che ci si aspetterebbe.
La direzione di Julian Kovatchev è una delle peggiori che si
sia mai sentita. Oltre ai già citati cuci e ricuci, il suono è sempre forte, mai
elegante, senza cromatismi, non un colore, non una sfumatura, quasi mai in
accompagnamento alle belle voci dei solisti. Sembra che diriga una banda di
paese in piazza. Complice anche l'Orchestra del Teatro Lirico Giuseppe
Verdi, un po' svogliata e dozzinale.
Il ruolo della protagonista calza a pennello a Silvia Dalla Benedetta,
che dimostra, come di consuetudine, una padronanza tecnica pressoché perfetta.
La tradizione ha per lungo tempo spostato l'attenzione verso la scena della
pazzia, mentre il soprano vicentino sa riportare “Regnava nel silenzio”
al suo antico splendore, con la pienezza di suono e le agilità che questa
cavatina e la successiva cabaletta richiedono. I colori e le sfumature, i
pianissimi e i filati con cui la Dalla Benedetta arricchisce tutta la partitura,
impreziosiscono il suo fraseggio già particolarmente espressivo, che si sfoga in
un'interpretazione emozionante e quasi maniacale de “Il dolce suono”,
dove alcuni passaggi, i fiati e certi legati contribuiscono ad ammorbidire la
lunga aria. È chiaro che il repertorio serio donizettiano le è particolarmente
congeniale e ci si aspetta pertanto di udirla presto in altri ruoli più
drammatici del musicista bergamasco.
La protagonista è affiancata da un bravissimo Aquiles Machado,
che pur volgendosi ad un repertorio sempre più pieno – è doveroso citare il
recente successo ne La forza del destino a Parma – sa ancora
trasmettere la giusta eleganza del belcanto. Il suono è molto piacevole e sempre
pulito, lo squillo è ben luminoso e le mezze voci sono raffinate. Il tenore
venezuelano e la Dalla Benedetta, nel duetto di primo atto “Sulla tomba che
rinserra” dipingono la pagina più bella della serata, forse anche quella
meno avvelenata da regia e direzione. Volendo cercare il pelo nell'uovo la
cavatina conclusiva “Tombe degli avi miei… Fra poco a me ricovero” non
è allo stesso livello del resto dell'opera, mentre la scena che lega i due
grandi concertati “Tremi! Ti confondi!... Hai tradito il cielo e amor!... Ti
disperda” è di assoluto rilievo.
Giorgio Caoduro è un Enrico severo, altero ed
autorevole nell'interpretazione, brillante e squillante nella vocalità e
dimostra di essere un belcantista di pregio. Gli acuti ben saldi e i lunghi
fiati sono un valore aggiunto al canto del baritono triestino, che possiede una
linea di canto ben omogenea e particolarmente musicale. Peccato per gli omissis.
Giovanni Furlanetto è lo specialista di sempre e piace nel
ruolo di Raimondo – seppur tagliato – anche se non fa faville.
Gianluca Bocchino sa far sentire la sua voce nel cantabile
di Arturo “Per poco fra le tenebre”, mentre il Normanno
di Francesco Piccoli è purtroppo sempre coperto dal fracasso
orchestrale. Conclude il cast l'Alisa di Annika Kaschenz.
Chiaramente insufficienti sono le prove dell'Orchestra e del Coro del
Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste diretto da Alessandro
Zuppardo, ma il dato non può essere oggettivo considerata la direzione
grossolana di Kovatchev. Andrebbero chiaramente riascoltati.
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