(Clicca sulle immagini per allargarle - Foto tratte dal sito del Teatro Regio di Torino)
Il Teatro Regio di Torino torna alla ribalta con La traviata nell'allestimento di Laurent Pelly ripreso da Laurie Feldman, con scenografie di Chantal Thomas e luci di Gary Marder, già messo in scena durante la scorsa stagione, ma che ancora gode di vivacità, colore e gusto nelle intenzioni.
L'effetto "cubo" porta a pensare alla mentalità dell'epoca, molto inquadrata, personificata nel ruolo di Giorgio Germont, che porta Violetta verso il suo triste ed inesorabile destino.
Patrick Fournillier è un bravo accompagnatore, sempre attento al palcoscenico e sa guidare l'Orchestra del Teatro Regio di Torino con polso sicuro, anche se i colori e gli spunti drammatici sono nella norma. Le arie, purtroppo, sono eseguite solo nella prima strofa, come da tradizione.
Silvia Dalla Benetta esegue la parte di Violetta con estrema precisione tecnica e notevole intensità interpretativa, tanto da poter essere considerata un riferimento per il complesso ruolo verdiano. Le abilità virtuosistiche e la facilità negli acuti e sovracuti che le derivano dal repertorio leggero frequentato per molti anni, si amalgamano agli accenti drammatici intensificati col debutto di personaggi come Norma, Gulnara o Giselda, creando una vera sintesi nel canto e nella recitazione della Signora delle Camelie. I cromatismi e le moltitudini di colori usati fin dal brindisi, senza tralasciare le pagine più intense, da "Ah! Fors'è lui che l'anima" a "Dite alla giovine", da "Amami Alfredo" a "Addio del passato", si sommano ad un fraseggio altamente espressivo che vede il suo culmine in "Ah! Gran Dio! Morir sì giovane". Le appoggiature sono al loro posto, i passaggi sono perfettamente omogenei, i fiati sono lunghi, i filati sono eleganti, i gravi sono sostenuti, soprattutto nei passaggi più ardui.
In questa circostanza pare doveroso domandarsi come mai cantanti italiane come Silvia dalla Benetta, che possiedono tutti i numeri per essere delle Violette molto interessanti, sono sempre più spesso surclassate da giovani interpreti straniere, chiaramente in possesso di bellezza fisica, notevole presenza scenica e importante personalità artistica, ma al contempo provviste di forti carenze tecniche, intonazione scadente, dizione quasi assente, per non parlare di grossi problemi sugli acuti, i fiati e i piani. È altresì lecito domandarsi come mai gran parte della critica tende a soffermarsi su una o due sbavature commesse dalle interpreti italiane, mentre sorvola sulle centinaia di errori delle artiste straniere, osannando invece le sole due o tre pagine riuscite di un intero ruolo.
Purtroppo sempre più spesso si cerca di investire sulla pelle di giovani artisti provenienti dall'estero, ignari della dura lotta che bisogna combattere sul palcoscenico, talvolta poco consapevoli delle proprie potenzialità e limiti vocali, dunque spinti inappropriatamente verso repertori a loro poco congeniali, col risultato di creare presunte star internazionali, ma che in poco tempo scompaiono come meteore, e al contempo determinando la crisi delle carriere di cantanti tecnicamente e vocalmente più preparati, ma non in possesso di quel ché di esotico che tanto attira gli avvoltoi dell'opera.
Stefano Secco è il tipico tenore lirico all'italiana, con voce morbida e squillante, passaggio omogeneo e uniforme, accento marcato e fraseggio elegante. Il ruolo di Alfredo gli calza a pennello, anche grazie alla lunga esperienza nel personaggio e al progressivo mutamento della sua voce, che lo sta portando sempre di più verso una maggiore pienezza di suono. Il tenore sa interpretare il giovane innamorato senza cadere in inutili comportamenti infantili, come pure sa lasciarsi trasportare nei momenti di rabbia senza essere troppo eccessivo. Il saper fraseggiare, unito ad un buon uso dei colori e delle mezze voci, dona un sicuro valore aggiunto alla sua esecuzione.
Fabio Maria Capitanucci svolge correttamente il suo compito, ma accanto alla coppia Dalla Benetta-Secco cade un poco nell'ombra. Complice è la voce leggermente opaca e che difetta in parte degli accenti e degli squilli tipicamente verdiani e che caratterizzano tutti i ruoli baritonali del compositore delle Roncole. La linea di canto è buona, alcune frasi sono piacevolmente lunghe, gli acuti sono ben eseguiti, il personaggio è misurato - seppur poco autorevole - ma il valore intrinseco che tradizionalmente appartiene a Giorgio Germont manca nell'esecuzione di Fabio Maria Capitanucci. Ciò non è un danno se l'artista sta cercando di rendere un'interpretazione molto personale, che però ancora non si riesce a notare.
La voce di Chiara Fracasso nel ruolod i Flora Bervoix spicca per la scurezza del colore e la profondità del timbro, piacevolmente molto discosta da quella di Violetta.
Il Gastone di Enrico Iviglia si fa notare per uno squillo sonoro seppur leggero, nonchè per la buona intonazione. Meno incisivi, ma efficaci, gli altri comprimari.
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