(Clicca sulle immagini per allargarle - Foto tratte dal sito del teatro Municipale di Piacenza)
Il Teatro Municipale di Piacenza conclude la Stagione Lirica 2010-2011 con uno spettacolo davvero terribile, riproponendo l'allestimento di Macbeth di Giuseppe Verdi creato una decina di anni fa da Giancarlo Cobelli, con un cast purtroppo inadeguato.
Nel 2001 le rappresentazioni del melodramma verdiano ad opera del regista milanese avevano già suscitato un certo scalpore e anche allora la rosa dei cantanti protagonisti era di un livello insufficiente, ad eccezione di una straordinaria Francesca Patané e della stella nascente di Alessandra Rezza nella seconda recita.
È importante e lodevole che oggi i teatri si adoperino per rispolverare vecchi allestimenti allo scopo di risparmiare su scenografie e costumi, ma sarebbe opportuno correggere il tiro, aggiustando, tagliando e ricucendo dove necessario.
Certe intuizioni di Cobelli sono molto interessanti, come il ripristino dell'Ecate shakespeariana (che è qui rappresentata da una figura che sembra un angelo della morte transessuale) e delle tre streghe al posto dei tre cori; oppure l'idea di strappare le apparizioni dal grembo delle megere barbute (anche se uno spettatore piacentino si è lamentato di avere appena cenato).
Di dubbia comprensione può essere la scelta dei costumi, oppure la visione del banchetto, più simile ad una carneficina che ad una festa, apparentemente più adatti al tempo delle invasioni barbariche; ma se si pensa realmente al tempo e al luogo in cui è vissuto il Re scozzese – nella prima metà del Mille, nel freddo nord dell'isola britannica abitata dai Celti – e volendo calcare la mano a sottolineare ulteriormente la crudeltà dei coniugi reali, forse tutto assume un senso.
Restano indecifrabili i collant autoreggenti e le scarpe col tacco indossate dalla Lady a fine secondo atto, come pure gli stivali e il soprabito da motociclista di Macbeth. Ancora più enigmatica l'ambientazione da manicomio di inizio Novecento durante la scena della pazzia.
I cantanti non contribuiscono certamente a risollevare le sorti dello spettacolo.
Dario Solari, come già detto in altre occasioni, è un baritono in possesso di un bel timbro e di una linea di canto molto lirica, ma le sue qualità non gli permettono ancora di risolvere la difficile parte di Macbeth, che non è fatta soltanto di "Pietà, rispetto, amore" che risulta essere ben eseguita, ma anche della gran scena e duetto "Mi si affaccia un pugnal", del banchetto, dell'atto delle apparizioni, dove sarebbe necessaria una vocalità più spiccatamente drammatica.
Susanna Branchini è una Lady Macbeth poco intonata e dedita all'urlo. Si è già ribadito che gode di un bel colore e di un timbro più che apprezzabile, ma le lacune tecniche sono così numerose che rischiano di portarla in breve tempo alla totale rovina vocale. Il pubblico la disapprova a scena aperta sia dopo "La luce langue" sia dopo la scena della pazzia.
Pavel Kudinov, che da curriculum sembra essere una rivelazione – apparentemente in grado di risolvere ruoli che vanno dal Turco e l'Alidoro rossiniani, al Sarastro mozartiano, da Escamillo a Colline, fino al Requiem verdiano – tale da giustificare la sua presenza, si rivela possedere una vocalità più chiara di quella del baritono e di conseguenza le numerose note gravi sono totalmente assenti.
La situazione non migliora con il Macduff di Lorenzo Decaro, né con i comprimari, se non con le apparizioni e il sicario, ben eseguiti dai coristi Romano Franci, Gloria Contin, Alessandra Cantin e Daniele Cusari.
Aldo Sisillo dirige in maniera discontinua, molto rilassato per quasi tutta l'opera e decisamente troppo accelerato nelle strette di alcuni cori, come "S'allontanarono" e "Sparve il sol". Interessante è la scelta di ripristinare l'aria della morte del protagonista mutuata dall'edizione di Firenze del 1847.
Sufficiente la prova del coro.
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