(Clicca sulle immagini per allargarle - Foto tratte dal sito del Maggio Musicale Fiorentino)
"Sono tornato a Manon Lescaut, ma mi fa disperare il libretto che ho dovuto far rifare. Anche adesso, non si trova più un poeta che faccia qualcosa di buono!" Questo scrive Puccini da Milano alla sorella Tomaide, nel giugno 1890, a proposito della stesura di Manon.
Com'è noto, è solo uno dei travagliati iter che conducono ai grandi capolavori del Maestro lucchese: i librettisti devono infatti far fronte alla tenace volontà del compositore, alle mille idee e ai ripensamenti che spesso li obbligano a rivedere ciò che è già stato fatto.
Non è un caso, quindi, che tra i nomi illustri avvicendatisi in quest'opera (Ruggero Leoncavallo, Domenico Oliva, Marco Praga) solo Giuseppe Giacosa e Luigi Illica riescano a sostenere tale metodo di lavoro, tanto da diventare, nel tempo, i librettisti pucciniani per eccellenza.
Per quanto riguarda Manon Lescaut, poi, tutto è ulteriormente complicato dalla volontà di prendere le distanze sia dalla fonte letteraria (Abbé Prevost – 1731) sia dall'opera di Jules Massenet (1884), delineando i tratti di uno strazio d'amore letto in chiave novecentesca. Il primo risultato di questa complessa operazione letteraria e musicale sarà quello di un libretto inizialmente pubblicato senza firme, su cui avranno messo mano anche lo stesso Puccini e Giulio Ricordi, e corredato da una premessa circa i criteri adoperati per stesura e tagli. Il compositore, infatti, rifugge la cronologia degli eventi, riduce le peripezie degli innamorati ed elimina i personaggi secondari; con una passione moderna e tutta italiana, che sempre contraddistingue i lavori pucciniani, viene totalmente tralasciato il racconto della felicità vissuta dai due, perché interessante non è tanto la gioia dell'amore quanto lo smarrimento e la perdizione dovuto alla sua privazione.
Saranno Illica e Ricordi a suggerire un aggancio a ciò che viene tralasciato: nel finale del primo atto, le parole di Geronte servono appunto a prevedere come a un primo momento felice seguirà la fuga della protagonista dalla modesta vita con Des Grieux.
L'allestimento di Olivier Tambosi dà concreta espressione alla quotidianità e all'introspezione psicologica, aspetti molto cari a Puccini; d'impianto sostanzialmente tradizionale, le scene e i costumi di Frank Philipp Schlössmann ben fondono un'efficace visione d'insieme a un'estrema cura per il dettaglio. Il piazzale di Amiens, su cui si affacciano un balcone e ampie finestre, è un brulicare di allegri carretti di mercato: dominano vivaci toni di giallo, ripresi dagli abiti dei vari personaggi. A quest'unico momento iniziale di spensieratezza si contrappongono, in vari modi, gli atti successivi. La splendida camera blu di Parigi, con le trine morbide sormontate da un vertiginoso baldacchino, è il luogo in cui Manon si circonda di ricchezze e subisce volutamente imposti minuetti; si passa alla tetra prospettiva del porto di L'Havre, con una prigione e una cancellata, oltre la quale si trovano sagome di navi. Il tutto è avvolto da una penombra rossastra che ben si accorda con la violenza della scena, espressa da corde, catene e dalla marchiatura a fuoco delle deportate. La conclusione è, come noto, nella landa desolata americana, dominata solo da qualche masso e dal freddo blu del cielo.
Sul podio fiorentino, il grande ritorno di Bruno Bartoletti, cittadino onorario di Firenze e, per diversi anni, Direttore Stabile dell'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino e Direttore Artistico: tra i più grandi interpreti della partitura pucciniana, dirige esaltando tutta la modernità del compositore e dando rilievo alle varie linee melodiche degli strumenti, in un perfetto bilanciamento tra lirismo e drammaticità. I cantanti, così come il Coro, riescono a dare il massimo anche grazie al corposo sostegno dell'orchestra: splendida la coppia di protagonisti Adina Nitescu e Walter Fraccaro, le cui voci sicure e potenti si accordano splendidamente nei duetti; convincenti anche le performance di Roberto De Candia (Lescaut) e Danilo Rigosa (Geronte de Ravior).
Al di là del bell'allestimento, vera protagonista è la musica che Bartoletti riesce a esaltare con rara sapienza, conferendole un risalto tale da rendere superfluo lo sguardo sul palco: le affascinanti ambientazioni sono, infatti, degna cornice di una storia che è tutta lì dentro, nel complesso pentagramma del Maestro Puccini.
|