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» Recensione dell'opera La Gioconda di Amilcare Ponchielli al Teatro Massimo di Palermo

Gigi Scalici, 15/03/2011

In breve:
Palermo, 27/02/2011 - Ben tornata "La Gioconda" assente dal 1970. Primeggiano Daniela Dessi' e Marianne Cornetti, ma anche Elisabetta Fiorillo in un ruolo meno impegnativo ma non meno prezioso.


Certamente tra le opere meno prodotte e più complesse da mettere in scena, ben gradita dal grande pubblico, l'unico capolavoro del quarantaduenne Amilcare Ponchielli, si distingue per il genere romantico, melodico, lirico-drammatico della grand'Opera, con evidenti riferimenti donizettiani e verdiani, ricca di duetti, di parti corali e di molta enfasi di carattere verista.

L'affidamento del ruolo del titolo a Daniela Dessì, beniamina del pubblico palermitano, è più che appropriato. La soprano genovese di bella presenza ed in piena maturità artistica si rivela come al solito attenta ed elegante interprete dal ricco fraseggio, in un ruolo piuttosto complesso che impegna l'estensione del suo registro vocale, dal lirico, al lirico spinto, sino al drammatico alle soglie del mezzosoprano, nonché di agilità come nel monologo del "Suicidio" del quarto atto che risolve con sicurezza di colori ed intensità di volume, confermando anche in questo debutto la capacità di indossare ormai le vesti di quasi tutte le eroine dei maggiori compositori ed al termine delle sue performance i fragorosi e sinceri consensi del pubblico sono piuttosto eloquenti.

Primeggia come detto in premessa anche Marianne Cornetti, esperta ed affermata mezzosoprano internazionale in tutti i personaggi del suo registro, soprattutto verdiani ma anche wagneriani.

Risolve il ruolo di Laura Adorno, moglie di Alvise ed amante di Enzo Grimaldo, con ricca professionalità e generosità di canto che estende con facilità e ricchezza di colori e di volume sino al lirico spinto: è stata infatti ottima interprete di Abigaille in Nabucco dello scorso anno nel capoluogo siciliano. Eccellente l'invocazione in "Stella del marinar" nel secondo atto.

Completa il trittico delle voci femminili Elisabetta Fiorillo, altrettanto famosa mezzosoprano-drammatico, in questa occasione come contralto, nelle vesti della Cieca madre di Gioconda, ruolo meno gravoso ma altrettanto importante che definisce con la solita competenza.

Non per essere “vociomani ” a tutti i costi, ma non si può dire lo stesso per gli artisti del registro maschile.
Aquiles Machado - chiamato in sostituzione di Salvatore Licitra che non ha accettato, contrariamente a tutti gli altri colleghi, la riduzione del cachet a favore dell'economia teatrale in questo particolare momento di difficoltà generale – Enzo Grimaldo, nobile genovese sotto le mentite spoglie del pescatore, è sicuramente un ottimo tenore dal generoso bel timbro lirico ricco di armonici e dall'ottimo squillo, di formazione belcantistica e di lirico puro. E' costretto però ad estendersi troppo, con qualche forzatura a discapito della tenuta delle note più acute.

Il ruolo potrebbe non essere ben adatto alla maturità vocale dell'allievo del grande Alfredo Kraus (notevolmente dimagrito) , nonostante abbia eseguito tuttavia positivamente la famosa "Cielo e mar" del secondo atto, guadagnandosi ovviamente tanti applausi a scena aperta.

Mentre il tenore sudamericano è "ai limiti", Alberto Mastromarino, il cantastorie Barnaba spia dei Dieci già debuttato a Berlino, vocalmente non sembra essere nel personaggio. Rincresce perché il noto baritono teatralmente idoneo ed in scena dagli anni novanta nel repertorio verdiano, pucciniano e verista, è stato apprezzato in tante altre occasioni per qualità espressive. E' stato ad esempio un ottimo Tonio in Pagliacci, ma Barnaba è molto più complesso di quanto sembra: come in Jago ed in Scarpia, richiede un canto meglio recitato e con più adeguato fraseggio. Mastromarino in "O monumento" del primo atto, nella barcarola di "Pescatore affonda l'esca" del secondo e nei duetti, sembra ispirarsi a Sherril Miles ma è ben diverso dal famoso baritono statunitense, per qualità e per colore e la sua voce è spesso nasale piuttosto che in maschera.

Infine del basso trentacinquenne Alezander Vinogradov, di cui si apprezza il bel timbro tipicamente russo, potente e ricco di armonici, si può dire soltanto che proprio per l'età, quindi per l'esperienza, nonostante la sua rapida ed intensa carriera, al momento non è adatto all'interpretazione di Alvise Badoero, capo dell'inquisizione settecentesca.

Eccellenti invece il coro e le voci bianche ben preparati da Andrea Faidutti e da Salvatore Punturo.

Il concertato del terzo atto, di evidente struttura verdiana, è stato di rara e splendente esecuzione da parte di tutte le sezioni.

Uno spettacolo che sarebbe stato veramente completo senza le suddette parziali insufficienze vocali. Buono infatti l'allestimento di carattere classico ed essenziale con la regia firmata da Jean Louis Grinda e con bellissimi costumi e maschere dell'epoca.

Particolare la scena della "Danza delle ore" del terzo atto con lo sfondo di un noto dipinto di Tiepolo in cui in semi trasparenza figurano all'inizio i quattordici ballerini del Teatro Massimo, in una semplice coreografia, accompagnata dalla famosa composizione, ben eseguita dalla compagine orchestrale sotto la bacchetta del Maestro concertatore Srboljub Dinic, di cui si sarebbe maggiormente apprezzata in tutta l'opera una direzione più armoniosa nei colori e nelle dinamiche.

In definitiva una rappresentazione soddisfacente e molto gradevole dal punto di vista generale.

Gli artisti sono stati ringraziati dal gremito pubblico con lunghi ed intensi applausi per tutti, in particolare ovviamente per le Signore Dessì, Cornetti e Fiorillo, per Machado e per il Direttore, oltre che per il Coro al gran completo.

 
 
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