Artemio Cabassi è, come sempre, un'artista di alta levatura e firma una regia originale all'insegna del patriottismo. Se il terzo lavoro di Giuseppe Verdi, soprattutto il suo "Va pensiero", è da sempre considerato un canto risorgimentale, Cabassi trasforma la scena in un salotto milanese degli anni '40 del XIX secolo, all'epoca della composizione dell'opera e dei primi movimenti che poi portarono alle Guerre d'Indipendenza.
Purtroppo la bellissima idea, perfetta per l'apertura dei festeggiamenti per il Centocinquantenario dell'Unità d'Italia e nel cento decimo anniversario della nascita di Giuseppe Verdi nella sua città natale, è sviluppata con metodi e schemi presi a prestito, gestualità e drammaturgia quasi assenti, nonché scene e costumi in apparenza provenienti da altri titoli, o forse più adatti a tali.
Il coro abbigliato all'ottocentesca, con qualche accenno ebraico – perché richiesto dal libretto, ma certamente anche ad omaggiare la comunità ebraica bussetana e ad onorare il Giorno della Memoria – e qualche fastidioso richiamo a "I vespri siciliani", è fisso ai lati del palcoscenico e non partecipa alla vicenda che si svolge al centro, se non durante la preghiera di Zaccaria, in cui un levita si avvicina al sacerdote, e nel celebre "Va pensiero" bissato, come di consueto, a gran richiesta del pubblico.
Un coro alla greca in Nabucco sarebbe interessante, se non fosse già stato utilizzato nello stesso identico modo in un recente allestimento al Castello di Vigoleno firmato da Paolo Panizza.
I protagonisti vestono costumi d'epoca, ma solo Anna e Zaccaria sembrano appartenere al melodramma verdiano. La corazza armata indossata dal Re babilonese sopra l'abito in velluto, al suo ingresso in scena, assomiglia all'armatura di un guerriero cinese altomedievale; la sopravveste di Fenena sembra essere un chimono più adatto a Liù o Suzuki; il costume di Abigaille ricorda facilmente La ragazza con l'orecchino di perla di Jan Vermeer e in parte La schiava turca del Parmigianino; il vestito e la parrucca di Ismaele fanno pensare a Calaf, mentre i suoi stivali tipici da Trovatore non rammentano affatto i calzari utilizzati dalle popolazioni israelite dell'epoca. Le poche scenografie baroccheggianti, che nascondono semplicemente le quinte nere, sarebbero più adatte ad un Rigoletto, mentre i tagli luce disegnati da Stefano Gorreri sanno fortunatamente rendere la giusta suggestione.
Marcello Rota guida con polso fermo e ricchezza di colori l'Orchestra del Teatro Giuseppe Verdi di Busseto – nel cui organico si distingue con piacere il flauto di Serena Bonazza – e accompagna i solisti lungo le difficili pagine del dramma verdiano.
Enrico Iori tiene a battesimo i giovani interpreti selezionati in collaborazione con il Dipartimento di canto del Conservatorio Arrigo Boito di Parma, e lo fa col solito vigore e l'intensità drammatica che ovunque lo contraddistinguono. Come già detto in altre occasioni, il basso parmense può essere considerato uno specialista del ruolo di Zaccaria, sia per la vocalità particolarmente adatta a dispiegare le insidie della parte, sia per la ricchezza di accenti e cromatismi, sia per le qualità drammaturgiche che portano alla commozione. Il pubblico bussetano lo accoglie con particolare calore e alcuni ricordano la sua interpretazione di Ramfis di esattamente dieci anni fa, nel celebre spettacolo firmato da Franco Zeffirelli.
Stefano La Colla, nel ruolo di Ismaele, possiede indubbiamente una voce adatta ai ruoli lirico spinti, sia per il timbro, sia per l'emissione, ma l'impostazione e la tecnica vanno migliorate, poiché spesso perde d'intonazione.
Negli altri ruoli protagonisti, ognuno dei giovani interpreti selezionati dal Conservatorio possiede particolari doti naturali degne di interesse, che con il dovuto studio e la necessaria preparazione tecnica potranno essere ulteriormente sviluppate.
Dong Chu Son è un Nabucco dalla voce brillante, ben impostata e con uno squillo potente e sonoro. La pronuncia, il fraseggio, gli accenti, l'uso dei colori ed in generale l'impiego delle espressività necessitano di ingenti miglioramenti, ma il materiale vocale di partenza è certamente importante.
Maria Simona Cianchi è Abigaille, possente, salda e sicura in tutto il registro acuto, ma assente in quello grave. Anche in questo caso i cromatismi devono essere sviluppati, ma la sua buona intonazione può essere un grande aiuto. Il soprano non sembra possedere agilità naturali, ma che sono opportunamente costruite e possono essere indubbiamente perfezionate.
Erika Beretti veste i panni di Fenena e purtroppo lo fa senza partecipazione, quasi assente nel personaggio, come se stesse pensando ad altro. Non la aiutano le scelte di regia, che all'inizio dell'opera la vogliono seduta, come se stesse in un salotto anziché in prigionia. La voce è molto interessante, ma sembra più adatta al registro sopranile. In effetti i passaggi acuti della preghiera "Oh dischiuso è il firmamento" sono resi più che correttamente, dove invece molte professioniste mezzosoprano incontrano evidenti difficoltà, per poi scomparire nelle note più basse.
Se Yun Kim è un baritonale Gran Sacerdote di Belo, Dong Won Woo è un efficace Abdallo e Barbara Aldeghieri è una Anna in possesso di acuti ben saldi.
Successo e applausi per tutti, soprattutto per Enrico Iori e il Coro guidato da Emiliano Esposito. |