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» Recensione dell'opera Senso di Marco Tutino al Teatro Massimo di Palermo

Gigi Scalici, 03/02/2011

In breve:
Palermo, 23/01/2011 - L'agitazione sindacale fa saltare la prima assoluta del 20 gennaio, ma Senso avvia ugualmente la stagione del 2011 al Massimo di Palermo, slittando a giorno 22 con il secondo cast ed al 23 con quello principale.


In effetti un'occasione unica come questa non meritava un esordio così contrastato, purtroppo è il risultato di quel diffuso malcontento che affligge ormai tutti i settori della cultura.

Commissionata dal Massimo in occasione della ricorrenza del 150º dell'Unità d'Italia al compositore milanese Marco Tutino  - con libretto di Giuseppe di Leva  tratto dal celebre romanzo di Camillo Boito, da cui è stato realizzato l'ormai storico omonimo film di Luchino Visconti nel 1954 - è stata oggetto di particolare attenzione da parte della stampa specialistica e dallo stesso Teatro del capoluogo siciliano, con approfondimenti e mostre fotografiche della suddetta rappresentazione cinematografica.

Un allestimento moderno con riferimenti di tradizione risorgimentale, in cui non mancano scene di spiccata realistica sensualità e d'erotismo. Sontuoso ed elegante, ricco di effetti luminosi, con regia molto dinamica, scene e bellissimi costumi d'epoca del famoso argentino Hugo de Ana, in cui predominano dei lunghi e stretti specchi opachi che delimitano le quinte e costituito da un breve prologo, due  atti ed un epilogo, con brevissimi cambi  di scena a sipario aperto, compiuti in semioscurità con pronta tempistica. Prevale in particolare in entrambi gli atti una grande teca di cristallo sospesa a mezz'aria, con arredi molto dorati, forse atti a richiamare i lussi dell'epoca e con all'interno nella seconda parte Livia Serpieri.
 
Lavoro sicuramente interessante quello di Marco Tutino  – internazionalmente noto sin dal 1985 per più di una dozzina di opere teatrali, tra cui Pinocchio, Cirano, La lupa e Vita, oltre che per la consistente attività di compositore sinfonico e cameristico iniziata negli anni settanta dello scorso secolo - che non deve essere ascoltato come un melodramma classico, né tantomeno confrontato con lo stesso, ma che deve essere recepito come un'opera dal contenuto storico e dalla tessitura musicale moderna, che richiama tuttavia  in alcuni righi la struttura  verdiana, cui il compositore come ha precisato si è ispirato, oltre al riferimento del Trovatore all'inizio del primo atto, come nel film di Visconti.

Nella partitura domina una tessitura sinfonica con tempi piuttosto larghi e colori tenui, che secondo lo svolgersi degli eventi si trasforma invece con dei tempi sostenuti, colori molto accesi ed innovazioni ritmiche. I motivi con i tempi dispari e le parti corali rendono poi la composizione più vicina al classico melodramma.  

Pregevole la sinfonia dell'ouverture del secondo atto in cui sono evidenti alcuni riferimenti allo stile di  Bruckner  voluti dall'autore, che ha opportunamente affidato la concertazione e la direzione d'orchestra  all'esperto maestro Pinchas Steinberg, di fama internazionale nel campo sinfonico ed operistico, che ha sicuramente interpretato le intenzioni del compositore, alla guida di un'attenta orchestra dall'organico al completo.

Un vantaggio dei compositori moderni è appunto quello di poter scegliere il direttore d'orchestra e gli interpreti, così come si faceva un tempo. Nessuno corre il rischio di essere criticato per l'interpretazione, come accade spesso invece oggi facendo un confronto con il passato ed a tal proposito tutti i cantanti sono stati all'altezza dei ruoli, soprattutto in questa nuova esecuzione per il notevole impegno nella tessitura vocale medio alta.

Nel baricentro dell'opera è indubbiamente posta la contessa Livia Serpieri che sin dal primo atto è coinvolta in una struggente - ed ardua per quell'epoca - storia d'amore, in un conflitto interiore tra passione e doveri patriottici  e che al termine attua  una sofferta vendetta nei confronti del libertino ed egoista tenente austriaco Hans Büchner.
I due noti amantisono interpretati da lirici spinti in carriera: il  soprano di origini tedesche Nicola Beller Carbone e lo statunitense tenore  Brandon Jovanovich, ai i quali la partitura richiede un'impegnativa estensione fuori pentagramma, resa ancora più complessa dalla mancanza delle tradizionali arie melodiche e ricca invece di recitativi ed aspri declamati.
Unica ma trascurabile eccezione la non corretta dizione, a fronte invece di un'adeguata interpretazione scenica di entrambi.

Dignitosi pure il noto  basso-baritono Giorgio Surian, poco impegnato nel ruolo del consapevole tradito   anziano conte Serpieri,  il baritono slovacco Dalibor Jenis  patriota marchese Roberto Donà, amato cugino di Livia ed il basso veneto Giovanni Furlanetto nelle vesti del rigido comandante austriaco Hauptmann.

Il coro ben coordinato come sempre da Andrea Faidutti si è distinto per la corretta armonia in tutti gli interventi, compreso il lento Inno di Mameli dopo la battaglia di Custoza.

Uno spettacolo in definitiva gradito e molto applaudito da un pubblico non molto folto come per le grandi occasioni, nonostante la rappresentazione del 23 gennaio, con il cast principale cui si riferisce questo articolo, ospitasse anche  spettatori della prima annullata per lo sciopero.

 
 
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