I numerosi posti vuoti in platea e nelle gallerie durante la seconda serata del Don Pasquale fiorentino evidenziano il crescente malcontento degli spettatori, che hanno scelto il pacifico sistema di protesta di non presentarsi in teatro, nei confronti della presidenza e della sovrintendenza del Maggio. L'entrata in buca del direttore è pertanto salutata da flebili applausi, che però si fanno sentire spesso durante il corso della rappresentazione. Riccardo Frizza è un concertatore intelligente, indubbiamente esperto del repertorio, che sa fraseggiare con l'orchestra, dipingendo chiaramente le varie situazioni emotive della vicenda, donando colori interessanti tipicamente donizettiani.
L'apertura del sipario sulle belle scene di Isabella Bywater crea una certa aspettativa sulla resa dello spettacolo, ma la regia di Jonathan Miller è pressoché senza contenuto ed inconcludente. Dopo i primi dieci minuti lo spettatore attento già si stanca della casa delle bambole in cui è costruita l'opera, poiché nulla accade se non nei gesti dei mimi chiamati ad impersonare la servitù del vecchio scapolo. Alcuni passaggi sono davvero soporiferi, come il momento in cui Ernesto scopre il matrimonio di Norina e Don Pasquale, tanto intenso musicalmente, quanto vuoto drammaturgicamente. Lo stesso poi accade nel finale del secondo atto.
Andrea Concetti è certamente uno dei bass-barytone di riferimento, soprattutto nel belcanto buffo, ma la partitura di Don Pasquale non sembra essergli troppo congeniale. "Un foco insolito" e il terzetto "Fresca uscita di convento… Mosse, voce, portamento" sono ben eseguiti, ma manca quel valore aggiunto che ci si aspetta da un tale professionista del canto e neppure il fraseggio è dei migliori. Si denotano soprattutto alcune difficoltà nelle note più gravi, purtroppo ben udibili nel duetto "Cheti cheti immantinente".
Silvia Dalla Benetta è una Norina che sprizza energia, gioia ed entusiasmo da tutti i pori e mostra fin da subito una vocalità che sovrasta di molto tutti i colleghi, in emissione, proiezione, precisione musicale e tecnica vocale. La sua aria di sortita è resa con la giusta dose di comicità belcantista che si differenzia e spezza la noia di un allestimento grandioso ma monotono, con una regia che non si riesce a delineare precisamente. L'intonazione è delle migliori, la linea di canto è sempre omogenea, le agilità e le appoggiature sono ben eseguite, soprattutto nella cabaletta "So anch'io la virtù magica", ed il personaggio è disegnato con un suo carattere distintivo.
Il soprano vicentino sa portare nel suo canto una serie inesauribile di colori, che abbinati alla sua generosità – le cadenze sono cantate per intero, comprese le ripetizioni, al contrario degli altri interpreti – e all'intesa col direttore denotano una professionalità musicale ragguardevole. Il rondò finale è di una precisione e di una musicalità notevole; peccato l'assenza di regia. Sarà certamente interessante udirla nel repertorio donizettiano serio, in altri personaggi più drammatici.
Edgardo Rocha è un giovane tenore dal timbro leggero, morbido, ben intonato e possiede certamente le doti necessarie per migliorare costantemente con la maturità. "Sogno soave e casto" e la successiva "Povero Ernesto" sono eseguite con grazia e buon uso dei colori, anche se non è molto apprezzabile il suo tacere interamente la cadenza "il tuo fedel" per avere l'energia necessaria per prodigarsi in un acuto – non scritto – strappa applausi.
Enrico Marrucci è un Malatesta dalla vocalità piuttosto intensa e già da "Bella siccome un angelo" mostra una pasta più lirico drammatica, forse più adatta ad un repertorio verdiano. Effettivamente la tessitura della parte sembra essere troppo alta per le sue corde, facendo poi fatica a scendere e nelle note più gravi perde di intonazione.
Buona la prova del coro diretto da Piero Monti.
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