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» Recensione dell'opera PAGLIACCI di R.Leoncavallo al Teatro Franco Zappalà di Palermo

Gigi Scalici, 14/11/2010

In breve:
Palermo, 04/11/2010 - Meritato successo di Pagliacci “ uomini in carne ed ossa”, al Teatro Franco Zappalà che ha inaugurato le tre nuove compagnie di Opera, Musical e Balletto.


Il Teatro Franco Zappalà  è una consolidata realtà artistica del capoluogo siciliano. Oltre alla rappresentazione di commedie popolari, da anni produce spettacoli musicali con particolare attenzione per le operette più note ed adesso anche per l'opera lirica.
Dopo la prima prova operistica con "L'Elisir d'amore" all'inizio dell'anno, la nuova stagione 2010/11 è stata inaugurata con il noto capolavoro di Ruggero Leoncavallo, trentacinquenne compositore verista napoletano della giovane scuola, autore dello stesso libretto.

Un'iniziativa  assolutamente coraggiosa della produzione in un momento di particolare crisi per i settori artistici a causa dei noti tagli economici, tuttavia ben riuscita e che avvicina ancor di più il grande pubblico, solitamente più numeroso per la prosa e per l'operetta, anche al melodramma consentendo ai giovani artisti emergenti di esprimere le loro qualità.

La scelta di Pagliacci, solitamente messa in scena insieme a Cavalleria Rusticana con cui  condivide varie affinità teatrali e musicali, è ideale per un'occasione del genere: un'opera breve, suggestiva, che infonde tante emozioni per la struttura drammatica e ben equilibrata con gli aspetti sentimentali e patetici, talvolta anche grotteschi, oltre a tanti momenti corali brillanti come quelli del primo atto.

L'allestimento di Franco Zappalà, direttore di produzione e regista, è di carattere tradizionale, fedele a tutti i particolari rappresentanti la trama del melodramma che ne valorizzano lo spettacolo, con l'utilizzo di  ogni angolo del modesto palcoscenico e dell'altezza con sopraelevazioni, offrendo un quadro d'insieme piuttosto chiaro, significativo e molto dinamico, con  costumi appropriati e con un funzionale impianto di luci. Tutto nel contempo contenuto e  senza alcuna esagerazione.

Lo spettacolo di ottima professionalità cui si fa riferimento è quello del 4 novembre scorso, con lo stesso cast della prima del 30 ottobre, ad eccezione soltanto per il ruolo sopranile di Nedda/Colombina interpretata da Elisabetta Giammanco, alternatasi alla signora  Anita Venturi.

La signora Giammanco, diplomatasi al Conservatorio Bellini di Palermo, sin dall'inizio di questo decennio si cimenta in tanti ruoli lirici, si è specializzata con artisti di alto livello come Anita Cerquetti, Enzo Dara, Magda Olivero, Renato Bruson, si è cimentata in concerti di musica lirica, da camera e sacra, si è esibita nei teatri lirici di Palermo, Catania, Messina ed anche a Roma ed in Trentino. Nel 2007 ha vinto una borsa di merito del concorso Giuseppe di Stefano, ha nel repertorio le pucciniane Mimì, Liù, Suor Angelica oltre a Violetta e Medora di Verdi e da qualche anno è anche interprete nella Compagnia  Palermo Operette del Teatro Zappalà, insieme alla signora Venturi.

Nedda è frivola, volubile ed appassionata, con una certa carica sensuale, ma se necessario riesce a sfoderare il suo forte temperamento, come negli accesi duetti con Canio e tanta crudeltà, quando infierisce contro lo storpio e malvagio Tonio nel respingere le sue avances.
La brava cantante entra appieno nel merito, favorita dall'armoniosa vocalità del suo esteso registro di soprano lirico, dall'esperienza recitativa e dalla sicura bella presenza.

L'unica aria dedicatele dall'autore nel primo atto non è certamente di facile esecuzione e di immediato impatto con la platea, come  talune altre arie sopranili più conosciute.
Richiede innanzitutto una buona coloratura ed una corretta agilità, prima nell'evidenziare il timore prodotto dal monito di Canio  "Qual fiamma aveva nel guardo”  e successivamente per esprimere la serenità suscitata dal volo degli uccelli nella ballata "Stridono lassù" in cui contemplandoli ed identificandosi per il desiderio di libertà, Elisabetta Giammanco si distingue particolarmente per qualità vocali e  raffinatezza interpretativa.

Di intenso trasporto il romantico finale del duetto "Tutto scordiam" di evidente ispirazione wagneriana, con il benestante campagnolo amante Silvio interpretato da Giovanni La Commare, esperto baritono trapanese dei ruoli comprimari nei maggiori teatri, ma anche dei primari come  l'apprezzato sergente Belcore nell'Elisir d'amore accennato in premessa.
Intensamente espressivo in "Decidi il mio destino, Nedda", preoccupato del suo futuro, come a presagire che sarebbe stato assassinato in piena scena insieme a lei da Canio/Pagliaccio  interpretato da Angelo Villari, tenore del coro del Teatro Massimo di Palermo, in veste di solista.

Vincitore del primo premio Bellini di Caltanissetta del 2009, ottimo comprimario in alcune recite, il cantante messinese possiede un notevole timbro esteso di tenore lirico spinto, con un po' di vibrato naturale ed un'ottima padronanza scenica. Angelo Villari si immedesima bene nel personaggio, possessivamente innamorato di Nedda, come Pagliaccio di Colombina sulla scena involato da Arlecchino ed altrettanto geloso e vendicativo sino all'uxoricidio, quando scopre grazie a Tonio  il  suo tradimento con Silvio.  Espressivo, intenso e convincente in "Un tal gioco credetemi”, nella famosa "Vesti la giubba" ed in  "Pagliaccio non sono" eseguite con ottima professionalità.

Originale la scelta registica al termine dell'opera, nell'ottima drammatica interpretazione degli artisti nell'ultimo duetto in cui Canio/Pagliaccio,  prima di pronunciare la classica frase "La commedia è finita" copre la moglie Nedda/Colombina  esanime  sulla scaletta del palchetto, con il drappo di una tenda bianca. 

Appartengono al coro del Massimo, anche in questa sede come solisti, il tenore Vincenzo Bonomo Beppe/Arlecchino che collabora già con la compagnia Zappalà ed il baritono Cosimo Diano Tonio/Taddeo.
L'esperto tenore dal bel timbro lirico leggero ha eseguito con sicurezza e qualità la famosa "Canzone di Arlecchino”, peccato che non sia stato possibile apprezzarlo in altre arie.

Sin dal prologo, da cui si comprende interamente il dramma che sta per svolgersi, Tonio ha molto più pagine della partitura da eseguire. E' un ruolo basilare, senza di esso sicuramente la conclusione sarebbe stata ben diversa. Il giovane Cosimo Diano, dal caratteristico timbro baritonale dalla facile estensione verso il registro acuto risolve con altrettanta professionalità il ruolo assegnatogli, sin dal famoso prologo in cui giunge senza alcuno sforzo al tradizionale Sol acuto non previsto dalla partitura di "Andiam, incominciate" ed esibendo anche le sue doti di attore nei tortuosi movimenti da uomo difforme, nella vita e sulla scena.

Ottima la prova dell'orchestra composta da un organico di oltre trenta unità, abilmente concertata e diretta dal maestro Michele de Luca, che ha saputo ottenere i migliori colori e le intense dinamiche con equilibrio, senza farsi trasportare eccessivamente dalla struttura verista della partitura.
La breve ouverture e l'intermezzo che richiama l'eccellente prologo, sono state una pregevole esecuzione sinfonica da parte di tutte le sezioni dell'orchestra.

Buono pure il ricco coro (nonostante qualche disordine vocale), voci bianche comprese, che nel primo atto con "Son qua, ritornano” conferisce all'opera tanta dinamicità ed allegria, composto da tanti giovani e da artisti del Teatro Massimo, tra cui il soprano Carmelina di Peri, in questa circostanza anche nelle vesti di direttrice .

In definitiva una rappresentazione completa e molto soddisfacente, applauditissima anche a scena aperta e gradita anche a coloro che come si diceva prima frequentano prevalentemente la prosa, che se trasferita in un ampio teatro lirico - quindi senza alcuni incidenti di percorso per gli arredi scenici e per l'amplificazione acustica non ben equalizzata - non avrebbe certo nulla da invidiare alle opere tradizionali, soprattutto per le meritevoli prestazioni delle voci soliste.

 
 
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