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» Recensione dell'Opera I vespri siciliani di Giuseppe Verdi al Teatro Regio di Parma

William Fratti, 04/11/2010

In breve:
Parma, 24/10/2010 - L'opera più attesa dai melomani al Festival Verdi 2010 è I vespri siciliani, non solo per il cast stellare dei protagonisti chiamati ad interpretare il difficile titolo, ma soprattutto per la lunga mancanza dal palcoscenico del Teatro Regio di Parma.


Come recita la locandina, Pier Luigi Pizzi è chiamato a mettere in scena un "nuovo allestimento" che tale è tecnicamente, poiché nuova è la scenografia e parzialmente nuovi sono i costumi, ma l'idea drammaturgica e registica è la medesima del 2003 a Busseto, che in quest'occasione è rivisitata e certamente migliorata, ripulita e sviluppata. Scompare la copertura di stoffa nera, per lasciare spazio ad un pavimento di legno bianco; è eliminato il fondale a specchio, a favore di uno sfondo nero, con una specchiera incorniciata utilizzata soltanto in terzo atto. Inoltre fanno il loro ingresso alcuni elementi scenografici più importanti, come tavoli e panche, le sbarre della prigione e l'altare della cappella nel finale; mentre altri sono numericamente rinforzati, come le barche dei pescatori siciliani nei primi atti o i divani nel palazzo di Monforte.
Anche le coreografie, qui affidate a Roberto Maria Pizzuto, sono notevolmente migliori delle precedenti, più adeguate e meno baroccheggianti. Lo spettacolo è pregevole e ben equilibrato, interessante nelle gestualità imposte dal regista, avvalorato dalle bellissime luci di Vincenzo Raponi, affascinanti e suggestive, ma se nella piccola bombonnière bussetana era un'esigenza di spazio utilizzare la platea per un'adeguata ed originale mise-en-scène, a Parma diventa una scocciatura per le centinaia di spettatori alloggiati nei secondi e terzi posti di palchi e galleria, che riescono a vedere soltanto ciò che avviene sul palcoscenico.
Come da tradizione l'opera è rappresentata in italiano con alcuni tagli, tra cui il balletto de Le quattro stagioni, una parte del concertato e l'aria di Arrigo "La brezza aleggia intorno", sortendo le ire dei puristi che si aspettavano dal Festival l'edizione francese integrale.

La direzione è affidata a Massimo Zanetti, che si dimostra preciso ed equilibrato nel gesto e nel suono fin dalla sinfonia, mantenendo l'orchestrazione omogenea fino al termine dell'opera.

Daniela Dessì, una delle più grandi interpreti del repertorio verdiano e verista, non s'intimorisce nel mettersi in mostra col difficile ruolo di Elena, dopo trenta anni di carriera. La sua grande personalità e l'imponente presenza scenica contribuiscono a disegnare un personaggio altamente espressivo e ben delineato. L'aria di ingresso "In alto mare e battuto dai venti… Coraggio, su coraggio" è eseguita con perizia, più fedele allo spartito che alla consuetudine nell'uso dei colori, decretando la gioia dei puristi del canto, ma sollevando qualche leggero mormorio tra i tradizionalisti affezionati alle più efficaci, ma talvolta meno corrette, esecuzioni drammatiche. Il celebre soprano si abbandona al lirismo più raffinato nei duetti con Arrigo, eccellendo nella tecnica e nell'uso di piani e pianissimi, che fanno del suo canto uno dei più eleganti, arrivando ad eseguire integralmente al quarto atto la terribile "Arrigo! Ah! Parli a un core" senza apportare variazioni all'ardua cadenza, che va dal do acuto al fa diesis grave, mostrando una grande intelligenza professionale, un ottimo controllo dei fiati e una linea di canto tanto musicale quanto toccante nelle tinte e nel fraseggio. Durante i concertati sa dosare i forti e i fortissimi senza mai affaticarsi, facendo risaltare il carattere dolce e al tempo stesso combattivo del personaggio, ma rischiando talvolta di scomparire sotto la compagine orchestrale. Dopo quattro lunghi atti sembra perdere l'elasticità occorrente per affrontare il bolero, da Verdi inserito nella scena conclusiva, ma il terzetto seguente è una pagina toccante eseguita con maestria.

Nella recita di domenica 24 ottobre Daniela Dessì è affiancata da Kim Myung Ho che sostituisce l'indisposto Fabio Armiliato. Trentenne, studente al quinto anno del Conservatorio di Parma, esegue l'opera in maniera sufficientemente corretta, seppur abbassata di tono in certe pagine, ma è ancora scolastico e privo di colori e brillantezza. Il giovane tenore coreano va certamente premiato per aver salvato diverse recite e per aver avuto il coraggio di salire sul palcoscenico ad interpretare un'opera così difficile, ma la direzione del Teatro Regio, che nei giorni precedenti aveva già subito la disastrosa riuscita de Il trovatore, asserendo la motivazione che tracheite e mali di stagione avevano colpito alcuni interpreti, ha indubbiamente commesso una gravissima leggerezza nel non prevedere la copertura dei protagonisti in un'opera così poco frequentemente rappresentata e spesso assente dal repertorio dei grandi cantanti. Fabio Armiliato, udito durante la prova generale di giovedì 7 ottobre, ha dimostrato di saper fraseggiare con eleganza, donando intense emozioni alla parte di Arrigo, arricchita di colori raffinati e mezze voci delicate, sempre attento alla tecnica e alla corretta emissione vocale, pur avendo a che fare con una tessitura particolarmente ardua.

Leo Nucci è un Monforte di classe, dal fraseggio espressivo, dallo stile inconfondibile, dalla linea di canto morbida ed esemplare, dalle frasi delicatamente musicali. La lunga scena e aria "Sì, m'abborriva ed a ragion!... In braccio alle dovizie" è eseguita a regola d'arte e il cittadino onorario di Parma dona agli spettatori una vera e propria lezione di canto. Purtroppo, a causa di un testo che per tutti è difficile da memorizzare, in taluni passaggi si nota qualche incertezza nella parte, a cui forse sopperisce un suggeritore, ma ciò richiede all'artista una profonda concentrazione sulla parola, che sembra togliere peso all'interpretazione.

Giacomo Prestia è assolutamente perfetto nel ruolo di Procida, tanto nel personaggio quanto nella linea vocale brillante e carica di accenti. L'interpretazione è eccezionalmente efficace, adeguata e autorevole, mentre il canto è totalmente impeccabile, senza alcuna minima sbavatura. Al termine dell'aria d'ingresso "O patria, o cara patria, alfin ti veggo!... O tu, Palermo, terra adorata" il pubblico lo accoglie con acclamazioni e applausi interminabili, che decretano per il basso fiorentino un vero successo personale. Colpiscono l'eccellente intonazione, l'esemplare uso dei chiaroscuri, l'eleganza del fraseggio, che fanno dell'artista fiorentino – debuttante nell'Alzira fidentina alla prima edizione del Verdi Festival nel 1990 – uno dei migliori bassi verdiani nel panorama lirico internazionale.


Accanto ai protagonisti si cimentano dei comprimari esperti e di tutto rispetto, tra i quali si distingue per bravura il Danieli di Raoul D'Eramo, mentre risulta essere un poco stridula la frase di apertura "Evviva, evviva il grande capitano!" del Tebaldo di Roberto Jachini Virgili. Completano il cast Adriana Di Paola, Alessandro Battiato, Camillo Facchino, Andrea Mastroni, Dario Russo.

Eccezionale è il Coro del Teatro Regio guidato da Martino Faggiani, che risponde con maestria all'arduo compito di mantenere l'eccellenza della compagine parmigiana, capitanata dal tenore Eugenio Masino, anche in un'opera mai eseguita in precedenza, se non dagli artisti presenti nel Coro della Fondazione Arturo Toscanini nella precedente edizione bussetana.
 
 
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