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» Recensione dell'opera Salome di Richard Strauss al Teatro Comunale Firenze

Silvia Cosentino, 27/10/2010

In breve:
Firenze, 15/10/2010 - Venerdi' 15 ottobre al Teatro Comunale di Firenze si e' svolta l'ultima replica del capolavoro di Richard Strauss Salome, nel potente allestimento realizzato in coproduzione con il Regio di Torino e il Real de Madrid.


Venerdì 15 ottobre al Teatro Comunale di Firenze si è svolta l'ultima replica del capolavoro di Richard Strauss Salome, nel potente allestimento realizzato in coproduzione con il Regio di Torino e il Real de Madrid: ulteriore occasione, per il regista Robert Carsen, di proseguire il fortunato sodalizio con lo scenografo Radu Boruzescu, la costumista Miruna Boruzescu, il coreografo Philippe Giraudeau e il lighting designer Guido Petzold (qui con la preziosa collaborazione di Manfred Voss).


La conturbante vicenda di Salomè è ben marginale nella narrazione evangelica: incitata dalla madre Erodiade, la giovane principessa esige la testa del profeta Giovanni Battista come ricompensa per aver danzato davanti al patrigno Erode Antipa. Il crudo racconto si arricchisce nel tempo di connotati inquietanti e feroci soprattutto durante l'Ottocento, quando Romanticismo e Decadentismo trovano in questa storia terreno congeniale all'espressione di certe inquietudini dell'epoca. In particolare, il dramma di Oscar Wilde Salomè contribuisce a modificare per sempre nell'immaginario collettivo questa straordinaria figura femminile: scritto in francese nel 1891 per l'attrice Sara Bernhardt, pubblicato nel 1893 con le geniali illustrazioni liberty di Aubrey Beardsley e successivamente tradotto in lingua inglese, il dramma potrà essere rappresentato senza censura solo nel 1931.

Dopo aver assistito a una messinscena a Berlino nel 1902, Richard Strauss decide di utilizzare questo soggetto per una nuova opera: il compositore preferisce non servirsi di un adattamento in versi realizzato ad hoc, ma mettere in musica l'intero dramma di Wilde, nella traduzione tedesca di Hedwig Lachmann. Salome va in scena al Konigliches Opernhaus di Dresda il 9 dicembre 1905, riscuotendo un grande successo malgrado lo scandalo suscitato. Questo è il primo capolavoro del teatro musicale tedesco dopo le colossali opere wagneriane: non siamo più di fronte al dramma nazionale delle idee, ma all'analisi dell'esperienza psicologica, alla celebrazione di un eros esplicitato che va a scardinare illusioni e ipocrisie borghesi. Dopo il ciclo dei poemi sinfonici, Strauss va verso il teatro e la parola, naturale chiave espressiva per le suggestioni decadenti presenti nel testo di Wilde e per gli impulsi orchestrali: in un organico con un ampio numero di voci, tra le quali nessuna ha il sopravvento, la musica composta è nervosa, disorganica, procede con una rapida e violenta tensione interna, negazione del canto spontaneo.

“Chi è stato in Oriente e ha osservato il ritegno delle donne locali, comprenderà che Salome, una vergine casta, una principessa orientale, deve essere recitata solo con gesti semplici e aristocratici, se non si vuol suscitare disgusto e orrore invece della pietà nella sua sconfitta di fronte al miracolo, a lei ostile, di un mondo grandioso”. Si rimane indubbiamente colpiti confrontando queste parole di Strauss con le atmosfere e le suggestioni di cui è intriso l'allestimento di Carsen, che offre una rielaborazione originale, personalissima e assolutamente convincente. La vicenda si svolge in un inquietante caveau di un casinò: di un grigio metallizzato come il pavimento, le altissime pareti sono riempite da cassette di sicurezza; sulla sinistra, una scala conduce alle sale da gioco, monitorate da schemi posizionati sopra un bancone di controllo (le sequenze video sono di Dario Cioni); sulla destra, un grande oculo di cassaforte delimita la prigione di Jochanaan, il vigoroso baritono Mark S. Doss. La reggia di Erode, di cui rimangono come retaggio ricchi arredi e schiavi dall'abbigliamento esotico, diviene quindi una sala brulicante di agenti in uniforme grigia (tra cui Narraboth, interpretato dal tenore Mark Milhofer) e giocatori, o meglio maschere grottesche: donne non più giovani con abiti provocanti, trucco e parrucche vistose, uomini che nascondono il decadimento morale e fisico dietro l'eleganza di un frac. Erode, il tenore Kim Begley, ed Erodiade, il mezzosoprano Irina Mishura, sono i padroni di questo delirio, turbinio di corpi-manifesto della nevrosi moderna, in cui si inserisce Salome, il soprano Janice Baird: pantaloni, casacca e anfibi neri, la giovane si tiene ai margini della scena, mostrando disprezzo ed estraneità verso questa ostentata corruzione.

Tutto cambia con l'aprirsi del fondale su una dorata prospettiva desertica e con l'arrivo di Jochanaan: la voluttà si scontra con la rettitudine, la bambina diventa donna con una trasformazione che trova il proprio culmine nella danza dei sette veli. La rapida catena di eventi trova così una sosta attraverso questo lungo brano sinfonico, in cui le emozioni vengono descritte attraverso il mutamento del mezzo espressivo, dall'opera al ballo. Salome compare con un look identico a quello della madre e danza sia per soddisfare Erode sia per liberare gli istinti, scanditi dai vari mutamenti ritmici; mentre le melodie orientaleggianti si alternano al valzer con violenza e ossessività, il re riprende con una telecamera, le cui immagini scorrono sugli schermi insieme a sequenze pornografiche. Gli uomini perdono il controllo di fronte alla sgraziata e provocatoria danza della ragazza fino prostrarsi ai suoi piedi, spogliandosi e mostrando le ormai tristi nudità. A nulla vale la cascata di oro e gioielli mostrata da Erode, perché Salome vuole e ottiene la testa di Jochanaan: in un complesso grumo di pulsioni e sentimenti, espresso in musica con il ritorno dei più importanti temi precedentemente affrontati, la protagonista può finalmente baciare l'ormai fredda bocca del profeta. Il fondale desertico compare nuovamente a inghiottire la principessa, mentre un fermo immagine lascia sospesa l'uccisione di quella donna, forse la stessa Salome, forse Erodiade.

Sul podio dell'Orchestra del Maggio, Ralf Weikert sa esaltare la complessità della partitura, dando forza alle voci di volta in volta preponderanti senza per questo perdere la visione d'insieme. Il tutto ben si accorda con le performance dei cantanti, calibrati e sicuri nei vari ruoli; spicca di certo Janice Baird, capace di adattare la propria espressività vocale alle molte sfumature, spesso contrastanti, presenti nell'animo della protagonista. Si esce dal teatro impressionati e colpiti, consapevoli di quanto le scelte estreme di questo allestimento abbiano saputo restituire a pieno, senza forzature, quanto vi è di inquietante nell'opera Salome.

 
 
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