L'allestimento di Carmen, firmato da Franco Zeffirelli per l'Arena di Verona una quindicina di anni fa, piace ancora al numeroso – seppur in calo – pubblico festivaliero, ma risulta essere notevolmente ridimensionato rispetto l'originale, a causa della ridotta mole di scenografie e di un minor intervento in scena di animali, di cui restano soltanto pochi asini e cavalli. Sembra pur diminuito il Coro di voci bianche.
Non c'è molto da aggiungere riguardo regia e scene dell'artista fiorentino, né sui magnifici costumi di Anna Anni o sulle coinvolgenti coreografie di El Camborio, già oggetto di molteplici critiche, sia di approvazione sia di opposizione, in tutti questi anni.
La direzione di Julian Kovatchev e la prova dell'Orchestra dell'Arena di Verona, nella recita di giovedì 15 luglio, non possono essere oggetto di valutazione, in quanto il suono della buca non raggiunge gran parte dei posti a sedere numerati (e più costosi). L'eventuale pulizia del suono, la linearità di conduzione, l'uso dei colori e delle cromature bizetiane purtroppo non sono state udite, a causa della nuova amplificazione che ha notevolmente penalizzato gli strumentisti.
In taluni momenti è parso che il direttore bulgaro rallentasse eccessivamente i tempi a discapito degli interpreti, costretti a prendere lunghi fiati, ma occorrerebbe riascoltare l'esecuzione senza gli enormi problemi di audio, che hanno certamente castigato l'intero spettacolo.
Anita Rachvelishvili è una Carmen giovane, ma degna di essere affiancata alle grandi interpreti del difficile ruolo francese. La voce è calda e suadente, morbida e piena, ben intensa ed appoggiata sui gravi, massiccia nei centri, facile nell'acuto. Tutto quanto può essere sicuramente migliorato con l'esperienza, soprattutto nel fraseggio e nei chiaroscuri, ma la strada è spianata e la salita del mezzo soprano georgiano non appare particolarmente ripida.
Marcelo Alvarez è purtroppo discontinuo e non esegue il ruolo in maniera particolarmente espressiva e sentita. Non vengono commessi errori e il canto giova certamente delle rinomate e risapute qualità vocali del tenore argentino – che rendono notevolmente piacevoli certe pagine, dal duetto con Micaela a "La fleur que tu m'avais jetée" – ma pur cercando di impreziosire taluni passaggi con i pianissimi e le mezzevoci, il Don José della recita di giovedì 15 luglio è poco passionale e appena sufficientemente elegante nelle pagine in cui occorre.
Mark S. Doss è un Escamillo appariscente, autorevole ed efficace nel personaggio, in possesso di una voce chiara e vigorosa, molto naturale negli acuti baritonali, ben emessi e potenti, ma decisamente in difficoltà nelle note più gravi, traballanti, poco appoggiate e senza potenza, soprattutto in certi passaggi della celebre aria, come "senors, car avec les soldats" oppure "le cirque est plein du haut en bas". Malauguratamente il ruolo del toreador è ricco di insidie e necessita di una grande estensione vocale, ma spesso si tende a prediligere l'effetto strappa applausi degli acuti a discapito delle zone più basse del pentagramma.
Silvia Dalla Benetta è una Micaela delicata nell'interpretazione, ma decisa e imponente nella vocalità. Il duetto "Parle moi de ma mère" è intenso, toccante e soprattutto raffinato, dove i due artisti si prodigano in un canto spianato musicalmente espressivo, con eleganti filati ed un sapiente uso dei colori. "Et tu lui diras que sa mère" è decisamente emozionante, come pure l'aria di terzo atto "Je dis que rien m'épouvante".
Completano la rosa degli artisti Carla di Censo e Cristina Melis nei ruoli di Frasquita e Mercedes, Fabio Previati e Luca Casalin nei panni del Dancairo e del Remendado, Manrico Signorini e Giorgio Ferretti in quelli di Zuniga e Morales. |