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» Recensione opera Madama Butterfly di Giacomo Puccini al 56esimo Festival Puccini

Silvia Cosentino, 19/08/2010

In breve:
Sabato 14 agosto il 56esimo Festival Puccini ha proposto la quarta replica di Madama Butterfly, quest'anno arricchito dalla presenza di Amarilli Nizza nel ruolo della protagonista.


Sabato 14 agosto il 56esimo Festival Puccini ha proposto la quarta replica di Madama Butterfly: il gia' noto allestimento del 2000, curato da Vivien Hewitt alla regia e da Kan Yasuda alle scene, e' quest'anno impreziosito dalla presenza di Amarilli Nizza nel ruolo della protagonista, regina incontrastata sul palco torrelaghese.
Giacomo Puccini assiste nel 1900 a Londra al dramma di David Belasco Madame Butterfly (tratto dal racconto di John Luther Long): il compositore non conosce la lingua inglese, ma rimane colpito dalla forza comunicativa di cui la vicenda e' intrisa e decide quindi di musicarlo, consapevole di quanto un soggetto esotico possa fare presa sul pubblico del tempo. Quella di Cio-Cio-San e' la tragica storia dello scontro tra due mondi lontani, ma ancor più dell'infrangersi di un'interiorita' fatta di cose piccole e silenziose, di una solitudine emotiva che non sembra trovare possibilita' di riscatto.

La scenografia minimalista realizzata dallo scultore giapponese Kan Yasuda (primo esperimento del progetto Scolpire l'Opera) mira appunto a tratteggiare un luogo dello spirito, in cui trovano svolgimento i sentimenti della protagonista. Due asettici monoliti chiari posti su una piccola pedana individuano le pareti della casa di Butterfly, sostituiti poi da una struttura aperta a forma di parallelepipedo, luogo di passaggio fisico e metafisico. Tutt'intorno, solo il nero di fondali e quinte. Nessun altro elemento (anche a causa dei problemi logistici dovuti alle avverse condizioni meteorologiche della serata) va a riempire il palco, suscitando un senso di vuoto: e' la desolazione, a tratti comica, del mondo giapponese, a cui Cio-Cio-San si oppone con la propria scelta d'amore; e' il baratro dell'inganno, della speranza tradita, che per la tenue farfalla non trova altra soluzione se non quella del gesto estremo.

In questo spazio spoglio, la cui vastita' e' esasperata dai pochi elementi citati, tutto e' affidato all'interprete, a voce e gesti che siano in grado di esprimere tutta la complessita' della partitura pucciniana: si e' nudi, senza possibilita' di dissimulare o di appoggiarsi ad altro se non alla propria abilita'.
Qui emerge una strepitosa Amarilli Nizza, il timbro inconfondibile e corposo, la fisicita' sempre convincente e dinamica. Avvolta di rosso (i costumi sono firmati da Regina Schrecker), la sua Butterfly fa un ingresso ieratico a braccia aperte, come a offrirsi, immolarsi per quell'amore che finalmente crede di aver trovato; si muove solenne seguendo i rituali, salvo divenire d'un tratto bambina nella descrizione dei cari oggetti, silenziosi testimoni della propria vita interiore. E' completamente bianca nel lungo duetto con Pinkerton (il potente tenore Massimiliano Pisapia): persa nel proprio sogno d'amore l'una, bramoso di possederla l'altro, i due restano distanti, dialogano senza tuttavia incontrarsi, metafore di una comunione impossibile.
Straziante l'interpretazione del soprano nel secondo e terzo atto, nell'ostinato tentativo di non cedere a una realta' che diviene sempre più evidente: avvolta in un pesante manto di piume grigio fumo, si scontra tenacemente con Sharpless (il baritono Fabio Maria Capitanucci), difendendo strenuamente un'illusione. Si muove leggera e sinuosa insieme a Suzuki (il mezzosoprano Renata Lamanda), in una danza di petali di pesco, resa ancor più poetica da un casuale e complice vento.
Recuperati gli abiti nuziali e il manto rosso, i gesti della protagonista divengono sempre più lenti, ampi, decisi, man mano che la tragedia volge al termine: una conclusione che ci e' impossibile gustare a causa della pioggia che costringe a interrompere la recita a soli pochi minuti dal noto hara-kiri. Poco importa, in realta', perché Nizza non si e' risparmiata, offrendo un canto preciso e vigoroso, movimenti capaci di riempire la scena, sguardi la cui forza sa arrivare lontano.

Ben interagiscono tutti gli altri interpreti citati e il Coro del Festival (diretto da Stefano Visconti), i cui componenti sono uniformati da abiti bianchi con ampi collari e copricapi, che tanto ricordano un abbigliamento da marziano. Il giovane Maestro Salvatore Percacciolo non sempre riesce a disciplinare l'Orchestra del Festival, in difficolta' anche per le condizioni meteorologiche che gravano sugli strumenti.

Uno spettacolo ben costruito, di forte impatto emotivo, ma anche particolarmente rischioso, visto che l'abilita' richiesta ai cantanti per sostenerlo e', purtroppo, non molto frequentemente riscontrabile.

 
 
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