La Stagione Lirica 2009-2010 del Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia
prosegue con Idomeneo, opera sperimentale del compositore salisburghese,
ricca di splendide pagine liriche e altrettanto meravigliose atmosfere tragiche,
che già presagisce la genialità della trilogia dapontiana, la drammaticità di
alcuni passaggi del Flauto Magico e le tinte melodiche dell'ultimo
capolavoro, La Clemenza di Tito.
Michele Mariotti, delicato e raffinato, alla guida dell'Orchestra
del Teatro Comunale di Bologna, sa dipingere con perizia i caratteri e i
sentimenti umani di cui è intrisa la partitura, dirigendo gli interpreti e i
complessi artistici verso cambiamenti di colore e variazioni nelle dinamiche, in
modo da evidenziare l'eterogeneità delle situazioni e rispettare la musicalità
mozartiana. Al termine del secondo atto il direttore urbinate si spinge
lentamente verso il tragico finale, prima con il magnifico terzetto tra
Idomeneo, Idamante ed Elettra, poi con la terribile scena
della tempesta e l'apparizione del mostro, che sembra anticipare di oltre un
secolo l'uragano dell'Otello di Verdi.
Jason Collins veste con disinvoltura i panni del re cretese,
convincente nell'interpretazione ed in possesso di una vocalità adeguata, anche
se talvolta macchiata da un leggero accento anglosassone. Il tenore americano è
apprezzato per la sua intensità soprattutto nella bellissima e temibile aria “Fuor
del mar ho un mare in seno”, oltreche nel celebre quartetto “Cieli! Che
vedo?... Andrò ramingo e solo… Soffrir più non si può” sapientemente
accostato dai giovani de La Scuola dell'Opera Italiana di Bologna.
Giuseppina Bridelli è un Idamante giustamente maschile
nell'esibizione, musicalmente gradevole e ben preparata, seppur non in possesso
di una voce particolarmente scura e dal timbro mezzosopranile.
È affiancata
dalla Ilia di Barbara Bargnesi, elegante e lirica nella linea di
canto, ulteriormente ingentilita da pianissimi misurati e correttamente
impostati, anche se non spicca per brillantezza ed espressività.
Valentina Corradetti si cala nel ruolo di Elettra con impeto e
sicurezza, eseguendo i passaggi drammatici con particolare vigore, soprattutto
nella violenta sortita “Oh smania! Oh furie!... D'Oreste, d'Aiace”. Forse
l'intonazione non è perfetta e certi punti non sono del tutto puliti, ma la
vocalità piena e rotonda, unita ad un colore imponente, permettono di perdonare
le mancanze tecniche, con l'augurio che siano colmate al più presto.
Enea Scala è un Arbace discreto nell'interpretazione e abile
nelle agilità di “Se colà ne' fati è scritto”. Concludono il cast
Paolo Cauteruccio nei panni del Gran Sacerdote di Nettuno e la
Voce di Sandro Pucci.
L'allestimento del Teatro Regio di Torino e del Teatro Comunale di
Bologna, coprodotto con il Teatro Valli di Reggio Emilia, il Teatro Comunale di
Modena, il Teatro Comunale di Ferrara e il Teatro Alighieri di Ravenna, è
firmato da Davide Livermore, che sceglie di scostarsi da un'ambientazione
realistica per rappresentare il dramma senza tempo e senza spazio, giocando
soltanto su alcuni simboli.
Così appaiono l'occhio e la mano di Dio e del mostro
marino, ma che al tempo stesso appartengono a Idomeneo e al suo sé
interiore; il talamo di Ilia e Idamante bramato da Elettra;
l'automobile che dovrebbe portare Elettra e Idamante ad Argo;
il faro che guida Idamante nella lotta contro la divinità; il mare,
elemento scenico principe, come se l'intera vicenda si svolgesse negli abissi
(dell'animo).
Il lavoro toccante ed evocativo del regista torinese è avallato dal
bell'impianto scenografico di Santi Centineo, dall'interessante
disegno luci di Andrea Anfossi e dai costumi di Giusi
Giustino, utili allo scopo, ma non particolarmente attraenti.
Molto buona la prova del coro diretto da Paolo Vero, soprattutto nella
cavatina “Accogli, o re del mar, i nostri voti”.
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