Dal 19 al 24 febbraio il Maggio Musicale Fiorentino ha ospitato
Adriana Lecouvreur, opera che Francesco Cilea trasse, a inizio
Novecento, dal dramma di Eugène Scribe ed Ernest Legouvé: viene
narrata l'affascinante storia di una stella della Comédie Française,
realmente vissuta nella prima metà del Settecento, attraverso una delle sempre
stimolanti letture di Ivan Stefanutti.
Come di consueto impegnato anche nella firma di scenografie e costumi, il
regista sposta lo svolgersi della vicenda nel periodo in cui il teatro classico
si confronta con l'emergente cinema: sulla scia di interpreti definitive come
Eleonora Duse e Lyda Borelli, Adriana vive con identica
travolgente passione l'amore per il Conte di Sassonia Maurizio e quello
per la scena. Umile ancella del Genio creator e fiera Melpomene allo stesso
tempo, la donna non dimentica neppure per un attimo la propria vocazione
artistica, evidente in movimenti e parole. Il soprano Annalisa Raspagliosi
coglie alla perfezione la fierezza del personaggio, con una recitazione
volutamente compiaciuta, fatta di gesti esasperati e ampi; la voce è calda,
sicura nell'esprimere quella vis tragica comune alle dive di Primo Novecento.
Stefanutti invita il pubblico a osservare la coinvolgente macchina
teatrale attraverso indefiniti spazi in bianco e nero, incorniciati da imponenti
pilastri dalle linee liberty e resi inquietanti dal gioco di luce-ombra
ideato da Gianni Paolo Mirenda (su un progetto di Eduardo Bravo
Fernández).
Particolarmente interessante è il primo atto ambientato in caotici camerini dal
forte richiamo hollywoodiano, in cui le fredde lampadine delle toilettes
contrastano con lo scuro mobilio; pannelli scorrevoli posti in secondo piano,
una sorta di quinte viste dal retro, vanno a scoprire un palco sul palco, quello
dell'esibizione di Adriana nella tragedia Bajazet di Racine.
Sullo sfondo, l'immagine di un emiciclo teatrale visto dalla prospettiva
dell'attore crea un affascinante effetto specchio sul pubblico, andando così a
destrutturare la canonica e rassicurante suddivisione degli spazi.
Pochi, raffinati elementi alla Grange Batelière e a palazzo
Bouillon lasciano il campo ai sontuosi abiti di Adriana e della
Principessa, il vigoroso mezzosoprano Elena Bacharova, al già citato
ampio respiro recitativo e all'essenziale coreografia di Luca Veggetti
per il Giudizio di Paride, eseguita con pulita espressività da tre
ballerini del MaggioDanza. Di forte potenza visiva è l'ultimo atto, tutto
incentrato sulla devastante passione dell'attrice: la morbida linea curva
dell'estroso drappeggio al centro è ripresa dallo schienale della chaise longue,
con cui Adriana pare quasi mimetizzarsi nel momento del delirio, e dalla
piega dell'ampio strascico nell'enorme ritratto della diva, dove lo sfondo a
motivi circolari tanto ricorda una decorazione di Klimt. Il grigio quadro
assume poi sgargianti colori al momento della morte di Adriana.
A completare il cast il basso Francesco Palmieri (Principe di Bouillon),
il tenore Mario Bolognesi (Abate di Chazeuil), il baritono
Stefano Antonucci, particolarmente intenso nell'esprimere la tenera
devozione che lega Michonnet ad Adriana, e il tenore Warren Mok,
i cui notevoli problemi di dizione conferiscono un'involontaria quanto
inappropriata comicità alla figura di Maurizio. A dirigere l'Orchestra
del Maggio è il Maestro Patrick Fournillier, dalla pluripremiata
carriera internazionale.
Si assiste con curiosità e interesse agli allestimenti di Stefanutti, in
grado di fornire nuovi spunti di riflessione e spesso di stupire anche là dove
tutto sembra già stato detto. Nell'oggettiva difficoltà di rinverdire i
capolavori della lirica pur mantenendo salda la coerenza con partitura e
libretto, il regista riesce a sorprendere con suggestioni che, se in un primo
momento possono risultare estreme, non mancano di coinvolgere lo spettatore e
soprattutto di mantenere la necessaria pertinenza con gli intenti dell'opera.