Il terzo appuntamento lirico al Teatro Comunale di Firenze è stato
quello dal 22 al 29 gennaio con L'italiana in Algeri, nella
lettura di Joan Font e dei suoi Comediants, eclettico
gruppo teatrale catalano: la rossiniana perfezione del genere buffo, così
definita da Stendhal, viene proiettata in un affascinante luogo senza
tempo, in cui lo scontro tra forze suscita risate mai dimentiche della miseria
umana.
Prodotto dal Teatro Real di Madrid con Maggio Musicale Fiorentino,
Opéra National de Bordeaux e Houston Gran Opera, l'allestimento è un trionfo
di colore e luminosità, di un divertente eccesso visivo che, impedendo
l'immedesimazione, ben si accorda con la sempre distaccata (ma non per questo
meno travolgente), ironia del compositore pesarese.
Joan G. Guillén concepisce un impianto scenografico fisso con
gradinate in legno e praticabili in secondo piano, due serie di bianche colonne
ai lati e una brillante distesa azzurra sullo sfondo: simbolo di avventura verso
terre esotiche, il mare è uno dei protagonisti della vicenda, da cui giunge,
come in un sogno, la nave in miniatura su cui è imbarcata Isabella.
A fronte di questi scarni elementi, il palco si popola a ritmi serrati degli
oggetti più disparati e appariscenti, a ricreare ora la dimora e la spiaggia del
Bey, con sdraio, cuscini e tendaggi colorati, ora una distesa di panni al sole,
ora lo spartano luogo dell'abbuffata con tanto di tovaglie da osteria.
Impossibile restare indifferenti di fronte alle spropositate dimensioni della
buffa impalcatura carnevalesca riservata al Kaimakan (con tanto di
braccia e gambe giganti mosse dagli schiavi), del fiasco di vino gigante a
richiamare una patria lontana definita, ma al tempo stesso simbolo universale di
libertà, e dell'alto seggiolone su cui viene confinato Mustafà
nell'improbabile “versione Pappataci”.
Il ruolo espressivo determinate è
comunque riservato ai costumi, anch'essi di Guillén, giocati su una
vastissima gamma di colori quasi abbaglianti: tuniche sgargianti per le donne ai
bagni, ampie casacche e gonfi pantaloni stretti sopra la caviglia con scarpe
dalla vistosa punta all'insù per uomini e odalische. Il vero trionfo di
stravaganza sta negli irresistibili copricapi a forma di zucca, il cui tessuto
leggero oscilla comicamente a ogni minimo movimento di chi li indossa.
Tutti questi elementi concorrono a creare una luogo fantastico, astratto da
tempo e spazio, che trae richiami dalle terre esplorate da Gulliver,
dalle fiabe dei Grimm, dalle grottesche maschere della Commedia
dell'Arte. In questo mondo onirico si svolge l'analisi disincantata di
Rossini sul latente scontro tra il primitivo e l'evoluto, tra
l'annebbiamento del Bey e l'astuzia dell'italiana, destinata a vincere grazie a
una scaltra opera di seduzione.
In questo contesto, diventa ancor più necessario parlare di cantanti-attori,
quindi non solo di voci, ma di corpi alle prese con azioni, gesti e sguardi in
linea con la poetica espressa. Il Coro del Maggio è padrone dei movimenti
d'insieme (Xevi Dorca firma le coreografie), gioca con l'ambiguità
sessuale, si diverte nei momenti più concitati e assurdi, si integra alla
perfezione con i figuranti speciali dei Comediants: ammiccanti eunuchi,
odalische dark e una sorta di sinuosa pantera gialla e nera, animale fantastico
onnipresente al fianco del Bey.
A proprio agio tutti gli interpreti principali, generalmente puntuali in
vocalità e mimica, esilaranti nelle scene più folli di confusione collettiva, in
cui il gioco di suoni trova corrispondenza nei movimenti burattineschi di
braccia e gambe: peccato cogliere, in questi passaggi, difficoltà nel mantenere
il tempo musicale, forse dovuta proprio alla complessità dell'azione.
Il limpido tenore Enea Scala è Lindoro, il soprano Patrizia
Cigna e il mezzosoprano Katarina Nikolic' rispettivamente le
simpatiche Elvira e Zulma, mentre il baritono Walter
Franceschini veste i panni di Hali (basso). Colpiscono in modo
particolare il basso Carlo Lepore, un Bey particolarmente ridicolo grazie
a esasperate espressioni facciali, e il baritono Marco Filippo Romano,
Taddeo (basso) perennemente perseguitato da quell'amico del palo e in balia
delle folli circostanze che, suo malgrado, si trova ad affrontare.
A lasciare senza fiato è la performance del mezzosoprano Manuela Custer
(qui impegnata nella parte di contralto): bella tanto nelle corde vocali quanto
nel corpo spiccatamente teatrale, è un'Isabella spiritosa nei momenti
dell'inganno, rapida e disinvolta nel caos, seducente nel controluce dietro un
tendaggio esotico.
Quanto vi è di travolgente sul palco in parte distoglie l'attenzione da ciò
che accade nella buca: l'Orchestra del Maggio viene diretta non troppo
incisivamente dal Maestro Enrique Mazzola e viene da chiedersi se la
perfetta macchina concepita per la scena non sia in qualche modo ingombrante, a
tratti eccessiva seppur in linea con l'opera: la gran quantità di input visivi
richiede infatti un super lavoro da parte dello spettatore, tale da ridurre la
partitura se non a mera colonna sonora, a un fluire musicale di cui è facile
perdere più volte coscienza nel corso della rappresentazione.