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“LE DISGRAZIE D'AMORE” DI ANTONIO CESTI

Maria Valeria Della Mea, 18/11/2009

In breve:
A PISA, SECONDO TITOLO DELLA STAGIONE LIRICA, UN RARO GIOIELLO DEL TEATRO MUSICALE SEICENTESCO. In scena sabato 21 e domenica 22 novembre. Dirige Carlo Ipata, regia di Stephen Medcalf. Venerdì pomeriggio, per introdurre gli spettatori a questo ‘dramma giocosomorale', conferenza di Jean-François Lattarico. Nell'occasione sarà presentato il cd inciso da AuserMusici per Hyperion


È un vero e proprio gioiello del teatro musicale seicentesco il secondo titolo in programma nella Stagione Lirica del Teatro di Pisa.

Sabato 21 novembre alle ore 20.30 (recita che la Scuola Normale ha inserito in abbonamento nella propria 43^ Stagione dei Concerti) e domenica 22 novembre alle ore 16 infatti, dopo le due rappresentazioni promozionali per le scuole del 18 e del 19 novembre, è in scena al Teatro Verdi LE DISGRAZIE D'AMORE, “dramma giocosomorale” messo in musica a Vienna, nel carnevale del 1667, per il teatro dell' Imperatore Leopoldo I d'Asburgo, dal compositore aretino Antonio Cesti, “cappellano d'onore” e “intendente delle musiche teatrali” della corte viennese, sul libretto scritto dal gentiluomo lucchese Francesco Sbarra, poeta di corte.

LE DISGRAZIE D'AMORE è stata recentemente incisa per l'etichetta Hyperion (il cd è in uscita nel 2010) da AuserMusici l'ensemble che, diretto da Carlo Ipata, si è specializzato sul repertorio toscano del periodo rinascimentale e barocco dando vita al progetto Tesori Musicali Toscani con il sostegno di due Fondazioni bancarie (la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e la Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa), e stipulando un protocollo di residenza proprio presso il Teatro Verdi, ed il Teatro di Pisa ha scelto con convinzione di produrre l'allestimento all'interno della propria stagione per la direzione di Carlo Ipata, orchestra AuserMusici.

La regia è di Stephen Medcalf, l'artista inglese di notevole sensibilità e talento, protagonista di importanti produzioni liriche nel Regno Unito e nei maggiori teatri europei, già noto in Italia per le sue regie alla Scala di Milano, al Lirico di Cagliari, al Regio di Parma, al Massimo di Palermo, alle Muse di Ancona, premio Abbiati 2006 per la regia. Scene e luci sono di Simon Corder, costumi di Massimo Poli.

Il cast è composto da specialisti del recitar cantando e dell'opera sei-settecentesca: Cristiana Arcari (Allegria), Maria Grazia Schiavo (Venere), Furio Zanasi (Vulcano), Paolo Lopez (Amore), Enea Sorini (Sterope), Antonio Abete (Bronte), Gianluca Buratto (Piragmo), Carlos Natale (Inganno), Gabriella Martellacci (Adulatione), Martin Oro (Avarizia), Elena Cecchi Fedi (Amicizia), Filippo Mineccia (Un cortegiano) e Alessandro Carmignani (Un Amante).
Per introdurre gli spettatori all'ascolto, venerdì 20 novembre, alle ore 18, nella Sala “Titta Ruffo” del Teatro Verdi avrà luogo una conferenza di Jean-François Lattarico, già allievo della Scuola Normale Superiore di Parigi ed attualmente professore associato all'Università Jean-Monnet di Saint-Etienne, esperto della letteratura e dell'opera del Sei e Settecento. Nell'occasione verrà anche presentato il cd edito da Hyperion.

La figura di Antonio Cesti, insieme a quella di Claudio Monteverdi e di Francesco Cavalli, occupa un ruolo di primo piano nel panorama dell'opera italiana del Seicento. Se il nome di Monteverdi segna di fatto la nascita dell'opera in musica e quello di Cavalli si identifica con l'opera in stile veneziano, la produzione di Cesti invece si caratterizza per un linguaggio in cui convivono diversi elementi dello stile operistico seicentesco e diverse tradizioni teatrali e compositive (da quella romana a quella veneziana, con un legame sempre molto presente con le radici dell'opera fiorentina). Un linguaggio operistico composito, dunque, che ben riflette il respiro europeo della carriera del “genial aretino”che fu attivo a Firenze, Roma, Venezia, Innsbruck, Vienna.

LE DISGRAZIE D'AMORE, appartenente all'ultimo periodo dell'attività di Cesti, è una commedia delle apparenze che, denunciandolo, riduce l'Amore a un semplice bene di mercato. In scena, in modo divertito e ironico, sono i perenni alterchi e gli infiniti battibecchi amorosi di Venere e Vulcano, coppia di amanti male assortita, le cui vicende finiscono per coinvolgere una serie di divinità (a cominciare ovviamente da Amore), raffigurate con uno sguardo realistico e dissacratorio, tale da renderle assai più umane che divine.

Qual è il vero tema del dramma?” annota Medcalf  “Se dobbiamo credere agli autori, la loro intenzione era quella di celebrare il trionfo del Cattolicesimo su ogni altra religione, non cantandone le virtù, bensì mediante la derisione dei vizi degli dei dell'antichità, il cui paganesimo era stato sconfitto dalla Vera Fede … Ma è abbastanza evidente come gli autori fossero intenti non tanto a ridere degli dei dell'antichità, quanto a farsi beffe dei comportamenti e della moralità della Corte di Leopoldo: in altre parole Le Disgrazie d'Amore fu composto come una satira sociale di estrema attualità, e a tutt'oggi ci appare sorprendentemente attuale…. Il mondo dell'opera riflette il mondo di Corte dove l'amore è una merce di scambio che può essere comprata e venduta; Amore è venuto a significare Lussuria – l'ossessivo inseguire il desiderio. La lussuria dà adito alla gelosia e a tutti gli altri vizi: gli dei si circondano di adulatori e ingannatori che traggono vantaggio dalla loro Vanità – e gli autori riservano infatti la loro satira più feroce alla Vanità, il più mortale dei vizi capitali”. Per restituire il significato dell'opera, Medcalf ha scelto una linea di rigore, atemporalità, essenzialità, tutta giocata sull'interpretazione dei personaggi e su un sapiente gioco di luci. Un palcoscenico vuoto, pochi elementi scenici, l'orchestra protagonista in primo piano.
Su tutto la musica, a cominciare dagli splendidi intermezzi strumentali e dalla grandiosa sinfonia bipartita iniziale, a cui devono aggiungersi anche la squisita morbidezza delle linee vocali e l'interessante trattamento contrappuntistico delle voci nei pezzi d'assieme. La sicurezza compositiva con cui vengono tracciati i personaggi, poi, è esemplare. Facendo sfoggio dell'ampio vocabolario musicale dell'epoca, fatto di alcune forme sterotipate, ma ricchissimo di sfumature, Cesti consegna anche ai giorni nostri un vero gioiello di teatro musicale.

I biglietti (dai 27 agli 11 euro) sono in vendita al Botteghino del Teatro Verdi e nei punti vendita greenticket .
Per informazioni Teatro di Pisa tel 050 941111.

 
 
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